Il 16 agosto si terranno in Wyoming le primarie repubblicane per la Camera dei rappresentanti. Di solito queste elezioni non suscitano particolare interesse. Si tratta di uno stato saldamente in mano ai repubblicani, che controllano il governatore, la camera e il senato statali. Ma la competizione elettorale ha ottenuto visibilità nazionale per la difficile battaglia di sopravvivenza politica che Liz Cheney, deputata repubblicana e strenua oppositrice di Donald Trump, sta combattendo contro l’influenza dell’ex presidente sul Partito repubblicano.
Quel che appare chiaro è che non sono per nulla primarie normali. Sono diventate una guerra per procura nella battaglia tutta interna al Partito repubblicano tra il trumpismo e i suoi oppositori, questi ultimi sempre più ridotti di numero. Una battaglia politica nella quale qualche giorno fa è intervenuto anche l’ingombrante padre della deputata, l’ex vice-presidente Dick Cheney che ha svolto un ruolo fondamentale nella risposta degli Stati Uniti agli attacchi terroristici dell’11 settembre. L’ex vice di G.W.Bush ha deciso infatti di partecipare ad un video nel tentativo di aiutare la candidatura della figlia, molto a rischio nelle primarie dello stato, dove affronta Hariet Hagemann, sostenuta da Trump.
Nel video Dick Cheney definisce Trump un “codardo”:
Nei 246 anni di storia della nostra nazione non c’è mai stato un individuo che abbia rappresentato una minaccia più grande per la nostra Repubblica di Donald Trump […] Ha cercato di rubare le ultime elezioni usando bugie e violenza per mantenersi al potere, dopo che gli elettori lo avevano respinto. È un codardo, un vero uomo non mentirebbe ai suoi sostenitori. Ha perso le elezioni, e ha perso alla grande. Io lo so, lui lo sa e in fondo credo che la maggior parte dei repubblicani lo sappia.
E ha poi continuato, promuovendo la candidatura della figlia, che è anche la vice-presidente della commissione d’inchiesta sull’assalto al Campidoglio del 6 gennaio:
Liz non ha paura, non si tira mai indietro di fronte a una battaglia. Non c’è niente di più importante che possa fare che guidare gli sforzi per assicurarsi che Donald Trump non si avvicini mai più allo Studio Ovale e ci riuscirà. Io sono Dick Cheney, ho votato con orgoglio per mia figlia e spero che lo facciate anche voi.
Il video è diventato subito virale, rilanciato anche dai media e da molti democratici. Un evento inusuale considerato che per decenni Dick Cheney ha rappresentato il “supervillain” dei democratici ed è stato considerato il presidente-ombra di G.W. Bush, la mente con Donald Rumsfeld dietro molte delle decisioni in materia di politica estera che i repubblicani allora presero, in primis la guerra in Iraq. Non è nemmeno una novità. I dem da anni si esibiscono in grandi dimostrazioni di affetto per Bush Jr, come se le “endless wars” e la crisi finanziaria fossero di colpo sparite dalla curriculum dell’ex presidente repubblicano. Nel tentativo di favorire una comparazione tra i repubblicani “uomini di stato” che hanno governato prima e l’incompetenza fuori controllo di Donald Trump. Si sa: “il nemico del mio nemico è mio amico”, in politica più che altrove.
E Liz Cheney è una strenua avversaria di Trump. È una dei dieci repubblicani alla Camera che hanno votato per la messa in stato d’accusa – l’impeachment – di Trump, dopo l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Di questi dieci, quattro hanno deciso di ritirarsi dalla politica per non dover affrontare delle primarie contro candidati di Trump; due hanno vinto recenti primarie; tre le hanno perse, non senza polemiche per il supporto ricevuto dagli sfidanti trumpiani anche dal Partito democratico, interessato a sfidare candidati più estremisti in circoscrizioni più difficili. A questi tre dovrebbe unirsi probabilmente anche Liz Cheney.
In un sondaggio di fine 2021 Cheney infatti aveva un indice di disapprovazione in Wyoming del 72 per cento, un aumento di quasi 40 punti rispetto al 26 per cento dell’anno precedente. E attualmente le inchieste elettorali la pongono dietro a Harriet Hageman, sostenuta da Trump, con un margine significativo. La deputata ha anche cercato di coinvolgere gli elettori dem dello stato nella competizione ma senza successo. Nonostante la sua campagna abbia cercato di facilitare il cambio di affiliazione di partito per partecipare alle primarie repubblicane, il Wyoming è stato vinto da Trump con il 70 per cento dei voti nel 2020. E nel Partito repubblicano non c’è molto spazio per coloro che hanno votato per l’impeachment di Trump. Un sondaggio del Pew Research Center del 2021 ha rilevato che il 64 per cento dei repubblicani ha dichiarato che il partito non dovrebbe accettare coloro che hanno votato per la messa in stato d’accusa.
Già dopo il voto contro Trump, Cheney aveva perso la terza posizione di leadership del Partito repubblicano alla Camera ed era stata censurata dal Comitato nazionale repubblicano. Con una mossa insolita rispetto all’abituale neutralità sulle primarie, il Partito repubblicano alla Camera ha quindi poi deciso di sostenere la candidatura dell’avversaria di Cheney. Elise Stefanik, deputata di New York che ha sostituito Cheney come numero tre del partito alla Camera, ha spiegato qualche mese fa che la scelta di sostenere l’avversaria di Cheney dipende dal fatto che l’attuale deputata
[…] ha abbandonato i suoi elettori per diventare una marionetta dell’estrema sinistra di Pelosi. Liz appartiene tristemente alla poltrona di giornalista della MSNBC o della CNN, non al Congresso in rappresentanza del Wyoming – uno Stato che ha votato per il presidente Trump con oltre quaranta punti di scarto.
Nonostante la posizione dei colleghi della Camera, Cheney ha ricevuto anche sostegno da molti senatori repubblicani come l’ex candidato presidente Mitt Romney, il leader della minoranza del Senato Mitch McConnell e Lindsey Graham. McConnell ha anche preso le difese di Cheney, dopo che il Comitato nazionale repubblicano aveva votato per censurare la deputata per il suo ruolo nella commissione della Camera che indaga sull’attacco al Campidoglio.
Ma Trump ha fatto della sconfitta di Cheney una delle sue priorità. L’ha definita un “essere umano spregevole” ed è fatto campagna nello stato per raccogliere consensi per Harriet Hageman, l’avversaria di Cheney. Le sei settimane di udienze televisive della Commissione che indaga sull’attacco al Campidoglio l’hanno resa poi il bersaglio principale del mondo trumpiano. Il suo ruolo nella commissione è stato in effetti decisivo. Per esempio ha convinto ex funzionari riluttanti a farsi avanti. Tra questi Cassidy Hutchinson, ex assistente di Mark Meadows, ex capo dello staff della Casa Bianca, che ha dato una delle testimonianze più intense ad oggi delle vicende del 6 gennaio.
Dalla diretta televisiva dei lavori della commissione Liz Cheney ha anche avvertito i colleghi repubblicani che “verrà un giorno in cui Donald Trump non ci sarà più, ma il vostro disonore rimarrà”. Per Cheney infatti Trump rappresenta una minaccia esistenziale per le istituzioni della società americana, una minaccia che inaspettatamente viene dall’interno:
Ogni volta che vedo il video di Mike Pence che viene prelevato, mi torna in mente l’immagine di Jimmy Scott, l’agente dei servizi segreti che ha evacuato mio padre giù per le scale durante l’11 settembre 2001 […] Quell’evacuazione avvenne perché Al Qaeda stava prendendo di mira Washington, D.C., mentre Mike Pence fu evacuato perché una folla violenta e armata che Donald Trump aveva mandato al Campidoglio stava invadendo il Campidoglio.
Cheney sembra però già guardare oltre le elezioni di metà mandato. Analisti e commentatori pensano che possa decidere di correre alle presidenziali del 2024 per raccogliere alle primarie la guida della componente anti-trumpiana del partito. La deputata ha infatti dichiarato che:
La cosa più importante è proteggere la nazione da Donald Trump. E credo che questo sia importante per noi americani più di ogni altra cosa, ed è per questo che il mio lavoro nella commissione è così importante
Cheney ha anche sostenuto che il Partito repubblicano “non può sopravvivere” se Trump è il candidato repubblicano nel 2024:
Quelli di noi che credono nei principi e negli ideali repubblicani hanno la responsabilità di cercare di riportare il partito a ciò che può essere, e di respingere molte delle tossine e del vetriolo.
Anche dovesse perdere le elezioni primarie, il profilo anti-Trump di Cheney, rinforzato dalla partecipazione alla commissione congressuale che indaga sull’attacco al Campidoglio, ha ampliato la sua rete nazionale di finanziatori provenienti da entrambi i partiti che potrebbero favorire una sua eventuale corsa alla Casa Bianca. Qualora Cheney decidesse di correre come repubblicana. O come indipendente.

Il conflitto che oppone Cheney a Trump è anche un’indicazione però di come siano cambiati i rapporti di forza all’interno del Partito repubblicano. Come il padre, Liz Cheney è considerata una neocon, la fazione repubblicana che sostiene la promozione della democrazia e le posizioni internazionali degli Stati Uniti attraverso l’uso della forza. Ha ricoperto diverse posizioni nel Dipartimento di Stato americano durante l’amministrazione di George W. Bush, in particolare come vice assistente del Segretario di Stato per gli Affari del Vicino Oriente e coordinatore delle iniziative più ampie per il Medio Oriente e il Nord Africa. Come molti neocons ha promosso cambi di regime in vari paesi, come per esempio l’Iran.
Considerati come dei falchi in politica estera, i neocons sostenevano un confronto aggressivo e un enorme aumento delle spese militari ai tempi dell’Unione sovietica e la trasformazione democratica del Medio Oriente attraverso l’uso della forza durante gli anni Novanta. Con gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, questa visione è diventata la politica dell’amministrazione Bush, che ha poi portato all’invasione dell’Iraq.
Caduti in disgrazia durante gli anni di Obama per le conseguenze e le difficoltà legate alle varie guerre, i neocons hanno avuto un rapporto molto complicato con la presidenza di Donald Trump. Durante questi anni Liz Cheney è stata comunque una portavoce delle loro istanze critiche di fronte alle decisioni di politica estera del presidente. Per esempio quando nel 2019 Trump decise di annullare degli attacchi militari contro l’Iran per il presunto abbattimento di un drone americano, la deputata ha paragonato il mancato attacco all’Iran al mancato attacco alla Siria da parte di Barack Obama nel 2013. Una posizione da falco che ha tenuto anche nelle vicenda dell’invasione russa dell’Ucraina. Sostenitrice di una risposta dura nei confronti della Russia, Cheney ha criticato quella che definisce l’ala “putiniana” del Partito repubblicano.
La possibile mancata elezione di Cheney rappresenterebbe la definitiva sconfitta dei neocons. Coi quali tuttavia il presidente ha avuto rapporti altalenanti. Nel 2016 Trump è stato il candidato isolazionista e contro la posizione internazionale degli Stati Uniti, con un’opposizione feroce alle “endless wars” di Bush e un disprezzo per le alleanze storiche degli Stati Uniti. L’allora candidato repubblicano riteneva che l’azione globale degli Stati Uniti fosse economicamente e finanziariamente dannosa e durante la sua campagna elettorale si lamentava spesso di quanto fossero costose le centinaia di basi militari americane dislocate in tutto il mondo. Una posizione non condivisibile per molti neocons che sono stati sempre promotori della “politica imperiale” degli Stati Uniti e che vedevano nell’isolazionismo di Trump un mezzo per accelerare il declino del paese piuttosto che arrestarlo. Mentre per Trump la politica estera è basata essenzialmente sulla transazione di carattere economico e finanziario – per esempio la Nato, per la quale gli Stati uniti di Trump pagavano troppo senza trarne benefici economici diretti -, ma scarsamente interessata alle questioni strategiche internazionali che i neocons prediligono e per le quali forniscono risposte unilaterali e basate sulla minaccia dell’uso della forza.
Una volta eletto – e dopo il fallimento iniziale nel gestire la politica estera – Trump però si è affidato per una parte del suo mandato ai neocon. Per esempio con la nomina di John Bolton, l’ex ambasciatore alle Nazioni Unite di Bush jr e vate dell’unilateralismo manicheo americano, a consigliere per la sicurezza nazionale del presidente nell’aprile del 2018. Bolton è stato il principale responsabile del ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare con l’Iran (Bolton avrebbe poi cercato anche di definire dei piani per attaccare l’Iran). Trump ha poi promosso a segretario di stato Mike Pompeo – che da deputato fu uno dei maggiori oppositori all’accordo sul nucleare con l’Iran – e scelto Gina Haspel come direttrice della Cia, che distrusse delle prove in un’inchiesta sulle torture. All’epoca Liz Cheney difese Haspel contro i critici: “Gina Haspel ha speso la sua carriera per difendere il popolo americano e la patria”.
Era una fase quella in cui Trump e neocons condividevano una certo disprezzo verso le istituzioni multilaterali, delle organizzazioni internazionali e dei trattati tra gli Stati. Tuttavia a questa fase, che ha portato all’uscita degli Stati Uniti dall’accordo con l’Iran, Trump è poi progressivamente ritornato su posizione politiche che gli erano più consone ma non certamente ben viste dal mondo neocon. La decisione, per esempio, di ritirare le forze americane dall’Afghanistan e le relazioni con il dittatore nordcoreano Kim Jong Un non furono ben accolte, tanto che poco tempo dopo John Bolton fu “licenziato” da Trump.
Poi la relazione cambia ancora. Trump il 3 gennaio 2020 ordina l’attacco con un drone contro il generale iraniano Qasem Soleimani, inasprendo il conflitto tra Iran e Stati Uniti. Mentre Bolton elogiava il Presidente e dichiarava che la morte di Soleimani era “il primo passo verso il cambio di regime a Teheran”, Liz Cheney salutava l’“azione decisiva” del presidente.
Questo conflitto nel Partito repubblicano tra la componente non interventista e isolazionista e quella dell’unilateralismo e della dimostrazione e l’uso della forza nelle questioni internazionali non è nuova ma con Trump si è accentuato. Il presidente e i neocons si sono utilizzati a vicenda. Ma alla fine sembra che sia Trump a prevalere. E le primarie di Cheney, con l’intervento del padre, sembrerebbero confermare il declino inesorabile di queste posizioni.
Che la base repubblicana non condivida l’approccio dei necons sembra confermarlo anche l’influente presentatore di Fox News Tucker Carlson. Quando nel 2019 la possibilità di un attacco all’Iran da parte degli Stati Uniti era possibile, Carlson aveva dichiarato che “Donald Trump è stato eletto presidente proprio per tenerci fuori da un disastro come la guerra con l’Iran” e che i falchi del gabinetto di Trump e i loro alleati stavano spingendo il presidente a usare aggressivamente la forza militare per rovesciare regimi ostili e proiettare il potere americano sul mondo:
Uno dei principali alleati dei falchi“ disse Carlson “è il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti: John Bolton è un vecchio amico di Bill Kristol. Insieme hanno contribuito a pianificare la guerra in Iraq.
It’s Trump’s party now.


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