Quale Venezia sotto i cinquantamila

Gianfranco Bettin
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La discussione aperta da Venessia.com e da chi pensa e agisce pur in tempi difficili. Con l’angoscia con cui a volte si osserva il salire della marea, così a Venezia si guarda scendere il numero degli abitanti. Tra questi due poli si gioca, nei nostri anni, il destino della città. Non basterà il Mose, da una parte, servirà ben altro, perché la marea è ormai una questione globale, pur anticipata e aggravata da locali manomissioni dell’ecosistema lagunare. Non basteranno, d’altra parte, palliativi o misure demagogiche, a ripristinarne una dimensione sociale e demografica adeguata. Non a caso la Legge speciale, con cui lo Stato si impegna a tutelare Venezia, riguarda entrambe le questioni: la salvaguardia fisica e la rigenerazione socioeconomica e demografica.

Su quest’ultimo punto ha attirato giustamente e con forza di nuovo l’attenzione in questi giorni (e da anni) Venessia.com, segnalando come si stia scendendo sotto la “soglia psicologica” dei cinquantamila residenti nella Venezia compresa tra i sestieri e la Giudecca. Mi è capitato spesso di spiegare altrove, in Italia e all’estero, che questa Venezia di cui si parla non è il “centro storico” e che, anche se il Comune ha un territorio più vasto, in realtà si tratta di UNA CITTÀ intera. Quindi, la perdita di popolazione non è qui comparabile a quella di altri “centri storici” (a Roma, Firenze, Parigi, Berlino, Londra eccetera).

Qui non si impoverisce una parte, ma tutta una città. È cosa diversa e più radicale. I numeri sono duramente eloquenti: si passa dai 175 mila abitanti del dopoguerra agli ottantamila di quarant’anni fa agli attuali men che cinquantamila presenti tra “sestieri e Giudecca”. Bisogna, leggendo i numeri, evitare tuttavia di creare ancor più rassegnazione, dando ragione a chi ha fretta di dichiarare morta la città. I cinquantamila citati sono, comunque, gli abitanti di una città ancora tale. Se ad essi aggiungiamo i circa diecimila tra Murano, Burano e isole minori, e i circa 18mila del Lido e Malamocco-Pellestrina, siamo a circa ottantamila abitanti. L’intero comune di Treviso ne fa circa altrettanti e l’intero comune di Belluno ne fa meno della metà, e nessuno si sogna di dire che non sono (più) città. Anche così com’è, la Venezia insulare, che giustamente sente il dolore dello spopolamento, è una delle maggiori città del Veneto e del Nordest.

Non si tratta di (auto)consolarsi. Sarebbe patetico.

Ma i numeri dicono che possiamo e dobbiamo impedire a chiunque di dare per morta la città, magari per spingerla ancor più nelle vesti di un parco a tema, mero oggetto di business. Se fosse davvero così, se la partita fosse già persa, ad esempio, perché non ridurre gli investimenti di Legge speciale soltanto alla parte destinata alla salvaguardia (tutelando una Venezia museo di stessa e messa ancor più a profitto)? Ovviamente, la salvaguardia è cruciale. Ma se non siamo più una città, perché non tagliare gli investimenti per il restauro degli immobili, i contributi all’acquisto, i fondi per le politiche abitative e per la realizzazione di nuovi alloggi per favorire la permanenza dei residenti e il ripopolamento? E perché non rinunciare a difendere e a potenziare servizi e funzioni destinate ai residenti, se sono sempre meno e ormai residuali? A questo serve ribadire che a Venezia – la “storica” – vivono ancora decine di migliaia di persone e famiglie e nuclei comunque composti.

È la loro resistenza, la loro insistenza a restare, a rendere ancora possibile parlare di una vera città, per quanto segnata dalla caduta demografica e dalle difficoltà socioeconomiche. Questa resistenza e quella di gruppi, comitati (come quelli riuniti in “Quartieri in movimento” che da tempo propongono iniziative, idee, aggregazione di forze), associazioni, categorie che hanno difeso il diritto ad abitare, la possibilità di lavorare, studiare, vivere in città e che a volte hanno imposto o favorito scelte, provvedimenti, politiche, che hanno frenato la deriva, anche se in modo drammaticamente insufficiente e ondivago.

Dopo l’assedio…

Se non ci fossero, tuttavia, state quelle lotte e quei provvedimenti (come quelli di Legge speciale citati più sopra) la sfida sarebbe stata ormai, e da tempo, davvero perduta. Lo dimostrano le stesse proposte su cui si sta discutendo e lavorando oggi, dalla riforma della Legge speciale fino ai modi di gestione dei flussi turistici (e il loro nesso con la questione dell’abitare, si vedano le proposte del gruppo “Alta tensione abitativa” e altre ancora, della stessa Venessia.com) o le varie idee sulla rigenerazione economica e produttiva e così via. La “città che resiste”, malgrado i tempi difficili, resiste con idee e percorsi aperti. Per questo non va accettata la “fine” di cui molto si parla. Quando non è il comprensibile effetto di un dolore civico che paventa il peggio, l’idea che Venezia non sia più una città può essere l’alibi dietro cui si nasconde chi pensa di specularvi e di spingerla a perdersi del tutto, a cadere del tutto nelle mani dei predatori.

Quale Venezia sotto i cinquantamila ultima modifica: 2022-08-12T11:44:51+02:00 da Gianfranco Bettin
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