In questi giorni di campagna elettorale, giornali e social vengono invasi da slogan dei diversi partiti.
Una voce nuova a livello nazionale, ma ben conosciuta a Venezia, è quella del sindaco Luigi Brugnaro.
Fin dalla sua rielezione di due anni fa, ogni decisione, evento o dichiarazione del Sindaco è stata pensata per una futura campagna politica.
Infatti, finite le amministrative, Brugnaro subito si è messo in viaggio verso Roma alla ricerca di alleati. Trovati nuovi compagni e fondato il partito Coraggio Italia, venne già il momento delle prime amministrative in Sud Italia. Da lì un continuo di eventi nazionali: due crisi di governo, l’elezione del presidente della Repubblica, le amministrative di nuovo. E poi i conflitti interni: parlamentari che escono dal gruppo, Toti che c’è e non c’è, alla fine esce ma poi rientra ma con un altro simbolo. E così via fino ad arrivare a oggi.
Viene quindi da chiedersi come faccia a governare una città complessa come Venezia.
La risposta è molto semplice: non l’amministra. E non ha pensato di strutturare una giunta capace di farlo in sua vece.
Venezia infatti oggi risulta abbandonata da questa amministrazione: una politica che si caratterizza di micro interventi e frasi vuote per sfuggire alle proprie responsabilità che si possono riassumere in: “Tutta colpa di Roma “. Sempre più spesso intanto assessori della stessa giunta tendono a contraddirsi a vicenda e a chiedere colloqui e vertici con i colleghi tramite mezzo stampa.
La presenza del sindaco è sempre legata a eventi/passarelle. Vivendo così la Venezia non come una città da amministrare, ma una città location, promozionale della sua immagine personale.

Ma questa deriva era annunciata. Fin da subito Brugnaro ha dimostrato di essere un accentratore, rendendo molte deleghe e assessorati solo delle spille da appendere al petto e non dei veri poteri. Inoltre ha svuotato de facto di ogni potere il Consiglio comunale relegato inoltre a riunirsi solo “da remoto”. E non dimentichiamoci come ha svuotato di ogni potere le Municipalità.
È inevitabile dunque che quando tutto è accentrato su una persona, appena questa si distrae, ha altri pensieri, l’intera macchina si inceppa.
Intanto “Venezia Pesce” proprio in questi giorni arriva sotto la soglia dei cinquantamila residenti.
Le cause ovviamente sono molteplici, come sicuramente le responsabilità politiche. Ciò nonostante si può affermare con sicurezza che questa amministrazione è inerme da anni a tale problema.
Uno dei fattori legati alla perdita di residenti nonché alla mancanza di vivibilità è strettamente legato alla monocultura del turismo. Attenzione, non è il turismo il problema, ma la monocultura.

Nessuna città, paese che sia, può vivere solo e soltanto di turismo. Seppur fonte di ricchezza per la nostra città, l’occupazione legata al turismo non porta un grande valore aggiunto perché spesso i lavori legati a questa economia consistono in un impiego scarsamente retribuito. E, come ci ricorda la cronaca di questi giorni, esistono troppe zone d’ombra che si traducono in lavoratori “occupati” in nero.
Il turismo veneziano manca di aspetti realmente innovativi e il suo essere una monocultura fa sì che i risultati positivi vengono oscurati totalmente da quelli negativi.
Per tutto questo, come Partito democratico, abbiamo sempre chiesto di poter cogliere l’occasione della pandemia da Covid 19 per poter avviare un piano strategico che potesse riformare la gestione dei flussi, per rinnovare la mobilità legata ad un piano regolatore intoccato da trent’anni, nonché avviare un tavolo di approfondimenti con esperti e università per lo studio e l’elaborazione dei dati della Smart Control Room, ad oggi conosciuti solo e soltanto dal sindaco.
Ma il periodo pandemico non solo non ha portato innovazione, ma ha palesato le debolezze nonché le incapacità di questa amministrazione nella gestione della città.
Infatti dopo due anni di fermo, tornati i flussi come nel 2019, la città è stata nuovamente sommersa. “Dov’era, com’era”.

La reazione di questa amministrazione è sempre la stessa. “Se Venezia soffoca è tutta colpa di Roma”. Uno slogan che ha stufato perfino i colleghi leghisti, ma evidentemente non i fucsia. Certo saranno in difficoltà ora che, proprio da Roma, grazie all’emendamento voluto dal deputato Pellicani, hanno avuto il via libera per la regolamentazione degli affitti brevi.
Non è un mistero che molti lucrino sulla città, affittando un gran numero di appartamenti senza dover rispondere a nessuna regolamentazione necessaria in primis per tutelare chi utilizza le locazioni per integrare il proprio reddito e poter vivere a Venezia. Anche su questo tema spesso era stato puntato il dito contro il governo, ma ora che ci sono le possibilità c’è, manca il sindaco.
La lista delle manchevolezze del sindaco è molto lunga, basti pensare ai temi della residenzialità e delle politiche culturali. Ma vorrei soffermarmi su uno che mi sta molto cuore: il trasporto pubblico locale.
All’inizio del 2021 il Comune decide unilateralmente di disdire i contratti di secondo livello. Una decisione che aggrava le condizioni lavorative di quei lavoratori che, per tutto il periodo pandemico, avevano continuato in prima linea l’attività.
Una scelta che fin da subito ha ricadute su tutta la cittadinanza e quindi sulla vivibilità della città. Diminuzione dei servizi e indebolimento di un’azienda pubblica strategica per il futuro della città. Il disegno è chiaro: pezzo dopo pezzo, privatizzare il servizio. Il tutto con poca trasparenza e fuggendo al confronto nonostante si avvicinino importanze scadenze come il prossimo bando per l’affidamento “in house” del servizio.
Quindi l’amministrazione Brugnaro, nonostante l’avanzo di bilancio di 91 milioni (andato speso per finanziare la Cittadella dello Sport), nonostante due anni di pandemia per ripensare il TPL, nonostante finanziamenti straordinari dello Stato, decide di non assumere tramite la società partecipata nuovi dipendenti, ma di pagare società private affinché guidino i battelli che ACTV non solo ha ma anche mantiene (pulizia, manutenzione, rifornimento).

Questa politica da un lato indebolisce una società avviata e tarata sul nostro territorio, per favorire, dall’altro lato, società private che non sono in grado di effettuare il servizio poiché carenti di barche.
Ma sulla vivibilità non si può parlare solo della Città antica, poiché ormai anche Mestre, abbandonata al degrado, sopravvive con difficoltà.
Le attività chiudono, i residenti diminuiscono, le panchine scompaiono. Mestre, grazie agli interventi di diminuzione dei servizi soci sanitari di prevenzione e una politica di interventi riguardate la sicurezza “a spizzichi e bocconi”, diventa in pochi anni capitale italiana dello spaccio di eroina.
D’altronde lo aveva detto neanche un anno fa che “il futuro è a Mestre”, no?
Mestre non ha bisogno di un sindaco che ogni tanto invochi lo Stato affinché mandi l’esercito in Via Piave o di assessori che propongano di spostare una fontana o altri che transennano parti della città.
Mestre ha bisogno di un piano strategico per la rigenerazione urbana, che preveda una serie di politiche integrate (urbanistiche, repressive di fatti criminosi, culturali, socio-sanitarie, commerciali) nelle quali il Comune contribuisca ad individuare e in seguito coordinare le diverse azioni concrete ed efficaci. Un piano che coinvolga attori pubblici e privati per un percorso che porti alla rigenerazione urbana del centro di Mestre, riattivi i servizi di riabilitazione, aiuto e prevenzione.
Mestre e Venezia si caratterizzano per associazioni e comitati che non si limitano a chiedere questo o quello al Comune, ma si attivano con attività culturali, momenti di convivialità nonché di confronto pubblico. I cittadini non si possono sostituire alla politica, hanno bisogno di essere ascoltati. Ma quando chi ti dovrebbe ascoltare è impegnato a garantirsi un futuro politico a Roma, cosa può cambiare?
Venezia oggi manca di tante cose. Manca di una visione prima di tutto, manca di opportunità lavorative per i più giovani e per chi decida di venirci a vivere. Manca di un Sindaco che si è impegnato a governala, a rappresentarla, e invece la utilizza come location per la sua campagna elettorale permanente. Venezia manca a chi se la ricorda viva, con i bambini in campo che giocavano a pallone, con l’amico salumerie, la fruttivendola sotto casa, con un vicinato in cui ci si conosce tutti, nel bene e nel male. Venezia forse non potrà mai tornare così, ma sono certa che se continuiamo con questa gestione, non ci mancheranno le realtà che componevano Venezia, ma Venezia stessa.

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