Va di moda il presidenzialismo. Va di moda come propaggine istituzionale del personalismo in politica: non ci sono più veri partiti, sono rimasti i leader, quando va bene, quindi i “presidenti”. Non si tratta soltanto di una delle bandiere di Giorgia Meloni, della sua proposta costituzionale, e ora anche di Silvio Berlusconi, ma di una sorta di adesione, di partecipazione del senso comune alla ricerca della concreta realizzazione del culto del capo. Più seriamente, è una risposta, diversa e come diremo fortemente dannosa, ai tentativi, fin qui falliti, di rinforzare il peso del governo nel nostro sistema costituzionale. E’ utile quindi cominciare a parlarne. Troppo importante la posta in gioco. Capire anzitutto che cosa significa, presidenzialismo, e in che senso viene utilizzato da chi lo sostiene.
Diciamo anzitutto che non è possibile parlare genericamente di “presidenzialismo”: la presenza di un Presidente eletto deve essere accompagnata da regole, dalle regole di comportamento che disciplinano i rapporti con gli altri organi costituzionali. A seconda del contenuto di queste regole si producono diversi presidenzialismi. In altri termini, il fatto che il Presidente sia eletto direttamente – invece che indirettamente dalle camere elettive – non è di per sé determinante.

Cominciamo col dire che nel nostro sistema parlamentare vi è soltanto un rappresentante dell’elettorato: il parlamento. L’esecutivo, il governo, è espressione del parlamento e deve averne la fiducia. Il Presidente della Repubblica è un garante del funzionamento del sistema, ed è eletto a sua volta dall’assemblea elettiva con maggioranze qualificate. Si preferisce quindi che non sia fortemente connotato dal punto di vista politico/partitico. Può sciogliere le Camere e indice nuove elezioni, ma soltanto se le Camere non riescono più ad esprimere un governo cui attribuire la (loro) fiducia.
Nei sistemi presidenziali – che sono molti e diversi tra loro – vi è oltre all’assemblea un secondo rappresentante dell’elettorato, appunto il Presidente. Entrando nei dettagli, ma semplificando, si ritiene che vi sia un sistema presidenziale se:
- Il Presidente è eletto direttamente ed è il capo del Governo, che nomina e dirige
- La durata in carica del Presidente è fissa e non dipende dall’assemblea elettiva
- L’Assemblea (o Parlamento) – la cui attività principale è la produzione di leggi – è eletta direttamente e ha una durata fissa che non dipende dal Presidente. Il Presidente quindi non ha il potere di sciogliere il Parlamento
- Il Presidente può avere il potere di interferire in alcuni casi nell’attività legislativa (coerentemente con il suo essere eletto direttamente ed avere un proprio indirizzo politico), oppure essere soltanto esecutore della volontà dell’assemblea (qualcuno dice che in tal caso non è vero presidenzialismo).

Il Presidente dei sistemi presidenziali è uomo di parte, con una forte connotazione politica. Essendo eletto a suffragio universale, significa che ha dietro di sé un partito o una coalizione di partiti che lo sostiene.
Si comprende facilmente che il carattere di questa forma di governo dipende dai dettagli, che sono essenziali: i vincoli e limiti rispettivi – i c.d. pesi e contrappesi – delle assemblee legislative rispetto al Presidente e del Presidente rispetto alle assemblee legislative. Ha inoltre una grande rilevanza la condizione del sistema giudiziario, se l’indipendenza dei giudici è garantita, oppure a rischio o addirittura esclusa.
Non ha quindi senso demonizzare qualsiasi sistema presidenziale come una strada verso la concentrazione dei poteri e l’autoritarismo. E tuttavia qualche cosa in generale si può dire: il presidenzialismo spinge verso un sistema maggioritario, con scarso peso delle minoranze. Il governo sarà unicamente il governo del Presidente e del suo partito, nessun compromesso con le minoranze.
Venendo ora al caso nostro, quali sono le proposte concrete delle nostre forze politiche? Dopo il clamoroso fallimento del progetto di Renzi, la progettualità in materia si è spenta. La destra propugna il presidenzialismo, ma in modi così flebili e completamente generici che impediscono un qualsiasi giudizio. Soltanto FdI ha depositato una proposta di legge costituzionale, ma in termini intrinsecamente contradditori, come vedremo (né pentere e volere insieme puossi / per la contradizion che nol consente”, asserisce il demonio nell’Inferno di Dante, ironizzando: “Forse/ tu non pensavi ch’io loico fossi!”), che fuoriescono addirittura dai caratteri propri del presidenzialismo.

La proposta di Renzi mirava a rafforzare il Governo – vecchio tema del riformismo costituzionale italiano – ma senza ricorrere al presidenzialismo, anzi senza proprio modificare la forma di governo parlamentare stabilita dalla Costituzione. Mentre l’ormai lontana proposta costituzionale della Bicamerale di D’Alema aveva puntato sul “semipresidenzialismo”, un presidenzialismo cui si aggiunge un Premier, un capo del governo che ha la fiducia dell’assemblea elettiva, cosicché i poteri di governo non sono concentrati sul solo Presidente. Sono suddivisi tra quelli attribuiti al Presidente eletto direttamente e quelli che spettano al Premier che è scelto dal Presidente ma ha la fiducia della Camera o delle Camere (che in Italia sono ancora due). Così avviene in Francia.
La proposta di Meloni ha una tara fondamentale: attribuisce al Presidente eletto sia tutti i poteri di governo, sia il potere di sciogliere il parlamento e indire quindi nuove elezioni (tranne che nel primo anno dalla propria elezione). Questo non è presidenzialismo, è autoritarismo puro e semplice. Il Parlamento, l’unico altro potere elettivo, sarebbe permanentemente sotto ricatto. Poco importa che si aggiunga – con due Camere separate! – la c.d. sfiducia costruttiva, istituto tipico del parlamentarismo, inventato (v. Germania) per correggere il rischio della breve durata dei governi nelle forme di governo parlamentari. Non diminuisce certo lo strapotere del Presidente eletto (“schiacciante”, lo ha definito Gustavo Zagrebelski).

Archiviata la proposta Meloni e ammesso che vi sia in preparazione una proposta di presidenzialismo degna di questo nome, che qualche forza politica intenda presentare, che ne dovremmo pensare? La domanda può essere considerata fuori luogo, essendo per ora una mera ipotesi, e tuttavia ha un interesse politico, se si torna a quel che dicevamo all’inizio: è diffusa la voglia di semplificare i processi decisionali, di affidarsi all’uomo o alla donna forti, di abbandonare le fatiche della democrazia parlamentare, in cui tanto si parla e, si dice, poco si conclude. Non bisogna sottovalutare le tesi sulla “democrazia autoritaria” teorizzate da Orbán, tanto amato dalla nostra destra. “Modello, anche per gli USA del trumpismo, è l’Ungheria di Orbán. L’Italia è coinvolta, al punto che con le elezioni del 25 settembre potrebbe diventare il prossimo banco di prova per questa strategia globale” (Mastrolilli e Berizzi, su La Repubblica del 13 agosto, che citano un reportage del New Yorker su una riunione riservata del Cpac, presenti la Lega e FdI).
La conclusione è questa: una seria proposta di presidenzialismo andrebbe esaminata e maneggiata con molta prudenza. Tenendo conto che non tutti i modelli vanno bene per tutti i popoli.