Lei con Piero David ha recentemente pubblicato un libro Next Generation Eu e Pnrr italiano, in cui racconta premesse e scelte del Pnrr e anche la sua importanza storica come grande opportunità. Tra poco si vota. Lei ritiene che il voto possa inficiare il cammino italiano del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)?
Il voto di per sé non inficia il cammino del Piano, il lavoro impostato e portato avanti dal governo Draghi, anche in queste settimane, sta procedendo e senza la pausa elettorale avremmo certamente centrato gli obiettivi 2022. Adesso rischiamo di avere uno slittamento della prossima scadenza. È abbastanza condiviso che ciò sia determinato dal voto e dall’assenza di organi politici legittimati necessari per dare impulso a uffici e strutture. Il rischio ritardo per la scadenza di dicembre dell’anno in corso è dato per acquisito in maniera diffusa.
Ma il vero “rischio” per il Pnrr sarà dato dall’esito elettorale: se il nuovo governo sarà composto da chi propone di rinegoziare o cambiare il Piano il rischio è che l’Italia si infili in una procedura che porti a perdere una parte rilevantissima di risorse o, se ancora peggio dovesse aprirsi uno scontro con Bruxelles, potremmo vederci costretti a restituire le risorse già versate al nostro Paese, circa cinquanta miliardi di euro dei 191 che abbiamo concordato. Se invece prevarrà chi sostiene questo Piano, a saltare sarà soltanto la scadenza di dicembre ma poi tutto riprenderà secondo il timing stabilito.

L’Agenda Draghi in realtà potrebbe essere chiaramente una semplice agenda Italia visto che almeno l’ottanta per cento degli impegni dovrebbero essere mantenuti da qualsivoglia governo italiano futuro …. È così oppure possono esserci sorprese?
Lo stesso Mario Draghi ha detto che la sua agenda altro non è che “risposte pronte ai problemi che si presentano e far contare la credibilità internazionale”: dovrebbe essere una regola a cui tutti dovrebbero attenersi. Il Pnrr è parte di questa agenda ed essendo un contratto bisognerebbe tenere a mente che venir meno agli impegni presi (concordati, non imposti) sarebbe un rischio per il Paese. Qualsivoglia governo deve avere chiaro ciò.
Come raccontate nel libro in realtà Next Generation Eu nasce da lontano, dalla risposta alla crisi del 2008 che pare davvero una crisi di sistema più che ciclica e dai provvedimenti del Six Pack e del Two Pack, in questo senso c’è una continuità e una complementarietà con i “normali” fondi strutturali. Che Europa economica stiamo costruendo e che contributo ha dato e può dare l’Italia?
Il NGEU è un’iniziativa del tutto nuova e innovativa rispetto a programmi simili del passato. Gli esiti della crisi del 2008 e l’impatto della pandemia hanno fatto capire che serviva dare una risposta diversa e nuova, meno penalizzante e restrittiva e più di sostegno e supporto per Stati e comunità. La differenza con i fondi strutturali è notevole sotto vari punti di vista, uno su tutti: con la programmazione tradizionale il meccanismo è di rendicontazione a fine settennato, I Pnrr invece vanno rendicontati semestralmente e il raggiungimento degli obiettivi è condizione necessaria per ricevere i soldi del semestre e lavorare per la tranche successiva. Tecnicamente il NGEU è un programma performance based.
Il contesto dell’Europa economica è in transizione: non è ancora definito ma non può più essere quello che era prima. Il Patto di Stabilità e Crescita è sospeso e la sua ridefinizione è sul tavolo della Commissione e dei leader europei ed in questo contesto il funzionamento o meno del NGEU peserà: se dovesse fallire, il rischio è di essere risucchiati dalle politiche di rigidità sostenute dai Paesi del nord; se dovesse funzionare contribuirà a cambiare tanto. Il tabù del debito comune è rotto, adesso serve testimoniare nel concreto che il nuovo meccanismo funziona. L’Italia può e deve dare un contributo importante: riceviamo risorse per un quarto del totale dei 750 miliardi di euro di fondi stanziati dall’Europa.
L’ Europa sta anche cercando di consolidare le sue istituzioni. La Conferenza sull’ Europa mira a questo. Il parlamento, oltre che il governo rinnovati, che contributo potrebbero portare e quali rischi da una eventuale “afasia” italiana?
La Conferenza sul futuro dell’Europa è stata un ottimo momento di riflessione e approfondimento ed una occasione di partecipazione diffusa con il coinvolgimento delle idee dei cittadini per l’Europa che verrà, ora però serve decidere che tipo di Europa vogliamo e rendere l’Unione più funzionale con le riforme non più rinviabili, una su tutte: cambiare il meccanismo dell’unanimità che in un’Europa a 27 Paesi spesso diventa uno strumento di veto per non far decidere e bloccare. La spinta di rinnovamento che potrebbe portare il nuovo parlamento italiano potrebbe essere importante considerando che si tratta di uno dei tre grandi Paesi del continente ma tutto dipende dall’orientamento pro o contro l’Europa che avrà la maggioranza e dal personale politico che maneggia questi temi.

Il Next Generation Eu, voi lo illustrate bene nel libro è anche un tentativo di costruire standard adeguati, nel nostro Paese, da sempre in difficoltà a fare sistema con il resto d’Europa. Ed in questo senso è rivolto ai giovani. Credete che le nuove generazioni di italiani siano più capaci di stare in Europa concretamente, al di fuori delle parole retoriche? E riusciranno ad esprimerlo nella panoplia di offerta politica attuale al voto?
L’Europa è l’acquario naturale dentro nuotano almeno quattro generazioni e sempre più sarà così. I più giovani non l’hanno soltanto studiata ma vissuta a pieno con programmi e iniziative a loro rivolti per studio, creatività, ricerca, investimento sul capitale umano, lavoro e impresa, basti pensare ai programmi Erasmus, Europa Creativa, Horizon Europe. L’abbattimento delle barriere poi ha fatto crescere la consapevolezza di un’unica realtà dentro cui potersi muovere con una sola moneta in tasca. Concretamente le nuove generazioni sono più pronte di quanto immaginiamo e servirebbe che l’offerta politica attuale si tarasse su questa lunghezza d’onda smettendola con il recinto delle politiche giovanili ma aprendo a nuove politiche pubbliche per nuove generazioni che spesso sono molto simili perché a finanziarle o ispirarle è proprio l’Europa.


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