La musica e il silenzio, solo un’ingannevole contraddizione

MARIO GAZZERI
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Non era infrequente che, nell’introdurre una romanza o un coro di una delle sue Opere, Giuseppe Verdi affidasse agli archi un breve, spesso facile preludio che tuttavia, proprio alla fine, veniva bruscamente troncato, privato dell’ultima nota. Si creava così un momentaneo silenzio, un improvviso iato che destava, e ancora desta, un senso di sorpresa e di attesa nell’ascoltatore. In realtà non si trattava di un espediente melodico ma di un moderno modo di intendere il rapporto tra il tempo, il ritmo e la musica.

Si ascoltino ad esempio, per averne conferma, le note introduttive degli archi al possente coro di afflizione del Nabucco, il Va’ pensiero, o anche quelle che precedono il Libiam nei lieti calici della Traviata.

Questa considerazione ci è tornata alla mente leggendo un prezioso volumetto scritto da Maria Teresa Palermo dal titolo Andare a tempo – La musica e la vita, recentemente pubblicato dalle Edizioni Messaggero di Padova. L’autrice, flautista e docente di musicoterapia, è stata per venti anni nell’organico dell’Orchestra di Santa Cecilia a Roma e ha scritto il libro in questione durante il primo anno della pandemia di Covid19. La musicista ricorda in particolare una frase che spesso ripeteva, nel suo elementare inglese, il direttore russo Yuri Temirkanov, di frequente ospite dell’Auditorium romano: “Pause is also music”, anche la pausa è musica, diceva.

Uno dei punti su cui il direttore russo insisteva era proprio la gestione dei silenzi all’interno dei brani, perché una sinfonia è fatta più di silenzi che di note,

non solo ovviamente quelli percepiti dal pubblico ma quelli parziali e generali dell’intera orchestra, precisa Maria Teresa Palermo. Tutti possiamo notare, ad esempio, che quando un tema musicale, una melodia viene suonata dal settore degli archi e poi affidata alla sezione dei fiati (in genere solo ai legni mentre gli ottoni tacciono) ecco che improvvisamente violini, violoncelli, viole e contrabbassi smettono, anche se brevemente, di suonare. È una tecnica di orchestrazione o, se vogliamo, di architettura musicale che ricorda da vicino quanto accade continuamente nella musica per “piano solo” dove ”“staccato” e “legato” si alternano, quasi per far “respirare” la musica.  Com’è noto, si ha il “legato” quando si suona una nota prima che il suono della precedente si estingua (o, detta in termini più tecnici e poetici al tempo stesso, “è una specie di prolungamento del suono che si “avvita” in quello successivo determinandone il divenire (Bruno Aprea)”.

In questi casi l’eco musicale del fraseggio precedente, magari amplificato anche dall’impiego del pedale di risonanza (vedi Chopin…), deve prima o poi concedersi una “pausa”, un inatteso silenzio, una frase musicale che si concluda dando spazio alla riflessione e all’elaborazione mentale anche del pubblico.

Sull’argomento si sofferma molto anche il grande direttore e pianista argentino-israeliano Daniel Barenboim che, nel suo bel libro La musica sveglia il tempo (Feltrinelli) scrive al riguardo,

Il suono di per sé non è un fenomeno indipendente ma è in costante e imprescindibile relazione con il silenzio, In questo contesto, la prima nota non rappresenta  l’inizio, essa proviene dal silenzio che la precede.

Spesso la pausa, argomenta da parte sua la Palermo, è come un momento di sospensione che ha lo scopo di caricare di drammatica attesa l’esecuzione orchestrale della musica “come avviene, in Beethoven, nel primo movimento della Quinta sinfonia e prima della marcia nel finale della Nona”. Per cui il contrario della musica non è il silenzio, eventualmente può esserlo il vuoto. Ci si consenta ora di tornare per un attimo su Verdi. Abituati per anni ad ascoltare la dolcissima romanza “Caro nome…” dal Rigoletto grazie alle voci di Renata Tebaldi, Maria Callas o dell’americana Anna Moffo (brava e bellissima), siamo rimasti, anni fa, sorpresi nell’ascoltare l’esecuzione della celeberrima aria da parte del soprano tedesco Christine Schäfer [immagine di copertina].

Daniel Baremboim

Gli ingenui versi (Caro nome che il mio cor/ festi primo palpitar/ le delizie dell’amor/ mi dei sempre rammentar…) cantati dalle tre grandi del passato in una melodia persistente senza soluzione di continuità, venivano ora interpretati dal soprano di Francoforte in maniera più sofferta, quasi come in preghiera, grazie a brevissime pause tra i “sospirati” versi. Una lettura più moderna e drammatica che inizialmente ci sconcertò prima che capissimo e apprezzassimo la novità del nuovo ritmo pieno di pathos. È altresì chiaro che come per il “colore”, gli “accenti”, i “respiri” e via dicendo, la lunghezza della pausa è una variante su cui si accordano musicisti, cantanti e direttori (e qui l’autrice di Andare a tempo- la musica e la vita ricorda come nelle parole concordare, accordo o accordare sia presente la parola latina ‘cor, cordis’, cuore). Così come per la ‘sincope’ che in sostanza è una nota di scarsa intensità sonora praticamente legata alla precedente molto più intensa. Una variante che ebbe fortuna negli Stati uniti, nella musica afroamericana del Novecento e in quel genere di jazz che adottò un particolare ritmo detto appunto “sincopato”.

Essendo un prodotto dell’intelletto e dei sentimenti umani, la musica si ‘impadronisce’ del tempo secondo determinati ritmi, ritmi che sono una costante nella vita dell’uomo e della natura in cui vive, dal battito del cuore al flusso e riflusso delle onde del mare, dalle ore alle stagioni, dal giorno alla notte. Il silenzio nella musica si può avvertire anche nella musica atonale e dodecafonica austriaca e tedesca che fu parte integrante della rivoluzione culturale seguita all’epocale sconfitta dell’’Austria-Ungheria e alla fine dell’Impero asburgico nel 1918.

Ancora una volta fu l’arte (in particolare la musica e la pittura) a cercare, a sperimentare nuovi percorsi e sognare nuovi orizzonti. In campo musicale furono due austriaci (Arnold Schönberg e Anton Webern, suo prediletto allievo, ucciso nel 1945 per errore da un soldato delle truppe di occupazione americane)) a cercare di riformare il discorso musicale secondo un modulo diverso prima della comparsa sulla scena musicale europea del tedesco Karlheinz Stockausen e della sua musica elettronica. Anche nella pittura nel mondo di lingua tedesca ci fu una rivoluzione, dallo svizzero Klee al tedesco Kirchner fino agli austriaci Egon Schiele e Oskar Kokoschka. Né certo si può dimenticare Sigmund Freud e la rivoluzione della psicoanalisi con la scoperta dell’inconscio, un mondo di “silenziose”, antiche paure e di profonde emozioni.

La musica e il silenzio, solo un’ingannevole contraddizione ultima modifica: 2022-08-16T20:16:47+02:00 da MARIO GAZZERI
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