Le parole dell’ex direttore dei Musei comunali di Strada nuova di Genova, in carica dal 2006, lo storico dell’arte Piero Boccardo, dimessosi in disaccordo con l’assessora, vanno al cuore del problema: assessorati alla cultura in mano a persone che – citando le sue parole – «non hanno competenze nel settore, senza alcuna preparazione ed elemento culturale significativo … E qui credo che emerga un tema fondamentale per Genova ma più in generale per molte amministrazioni italiane: la selezione dei dirigenti per la cultura. Che quasi mai, in tempi recenti, hanno competenze nel settore. È una vera emergenza». Non a caso a Genova l’assessorato ha cambiato nome: da Direzione Beni Culturali e Politiche Giovanili a Direzione Attività e Marketing Culturale.
È pertanto naturale che un dirigente senza competenze ed esperienze specifiche non possa che vedere con fastidio o sospetto un direttore che invece vanti studi e pratiche sul campo e che non accetti di buon grado l’orientamento più in voga di mostre vetrine, di appiattimento del personale non spronato alla ricerca e alla conservazione delle collezioni. La risposta dell’assessora alle accuse di Boccardo è piuttosto significativa: il suo obiettivo è di suscitare nei visitatori «l“effetto wow”», parole che a ogni operatore culturale con un briciolo di studio e sensibilità non possono che far venire l’orticaria. Dietro all’ostentazione di una via di accessibilità alla portata di tutti, si nasconde in realtà la banalizzazione dell’offerta culturale.
Quel che è successo a Genova è accaduto anche a Nervi ma pare sia divenuto un modello contagioso che sta riscuotendo successo in sindaci e assessori: meglio sbarazzarsi di competenze con cui doversi confrontare, ritenute fardelli ingombranti invece che risorse, e che in genere più che all’incasso e all’’effetto wow cercano di costruire progetti a lungo termine di valorizzazione del patrimonio, ancorati a ricerche che si basano su indagini in biblioteche e archivi, per lo più trattati dagli assessori come figli di dei minori, poco amati perché non riscuotono l’attenzione dei grandi numeri né dei media.
A Trieste, caso che è venuto alla ribalta della cronaca grazie alla protesta di un folto gruppo di intellettuali e cittadini, si è provveduto all’abolizione tout-court della figura del Direttore di musei e biblioteche che esisteva sin dall’Ottocento, così da evitare del tutto ogni procedura concorsuale e affidarne la gestione direttamente all’assessore, gravando tutte le procedure a un funzionario, privandolo tuttavia sia della qualifica che dello stipendio e soprattutto di autonomia. Pare sia la strada che si vuole percorrere a Venezia dove, fatto ancor più evidente della stortura del rapporto tra politica e cultura, il sindaco Brugnaro già dal suo primo mandato ha pensato bene di sbarazzarsi dell’assessore alla cultura, così da non aver alcun intralcio e tenere per sé la delega.

Ma non contento, ora che è scaduto l’incarico della storica dell’arte Gabriella Belli alla direzione della Musei Civici di Venezia che, è bene ricordare include anche archivi e biblioteche, è orientato a non procedere a una successione con una procedura di selezione pubblica, puntando semmai a individuare qualche figura interna, che certamente non intralcerebbe le sue scelte, che stanno riducendo Venezia a una città turistica e provinciale.
Come riporta l’appello indetto da un gruppo di studiosi e firmato dai più grandi conservatori non solo italiani e da figure del mondo della cultura e da cittadini attenti affinché sia indetta la selezione – ben più di quattrocento le firme raccolte in una decina di giorni, migliaia di visioni su questa rivista [ultimora: Ai promotori dell’appello è giunto il sostegno di Salvatore Settis: “Aderisco volentieri a questo giusto appello”] -:
I Musei veneziani hanno bisogno infatti di una direzione capace di rappresentare il meglio della cultura italiana e internazionale, che possa dialogare con le esperienze più innovative nel campo della museologia, della didattica, capace di valorizzare assieme ai patrimoni museali, le biblioteche e gli archivi di ricerca che sono connessi. È utile ricordare che la città sta vivendo una crisi profonda per mancanza di progettualità e di visione del futuro. La cultura, se non utilizzata come mero espediente per attrarre turisti ignari, ma come strumento di innovazione e di avanguardia, può indicare una strada fruttuosa per uscire da una situazione stagnante. Ma, perché si possa avviare un salutare rinnovamento bisogna pensare in grande e dialogare con le migliori competenze disponibili, in grado di valutare con esperienza e lucidità le strade da intraprendere.
Il rapporto tra politica e direzione culturale non può essere di mera sudditanza, non può essere vissuto come un intralcio bensì come un rapporto che solo nel rispetto delle diverse competenze e specificità può dare il meglio e lasciare un segno proficuo e vivacizzante nelle città. Ed è bene ricordare che tra gli attori in campo, come ricorda l’Agenda 2030 e ormai molte convenzioni internazionali, va considerato anche l’insieme dei cittadini, primidestinatari del patrimonio e come tali voci da ascoltare con attenzione.