Non fa granché differenza se a Venezia città storica i residenti ufficialmente registrati siano cinquantantamilauno, cinquantamila o quarantovemilanovecentonovantanove. Anzi non ne fa nessuna perché un residente in più o in meno non modifica la costante e progressiva perdita di abitanti. Può variare il ritmo, non la cosa in sé. Fa invece tantissima differenza per l’informazione – il riferimento è in prevalenza a quella nazionale – su qualunque supporto essa viaggi, siano i quotidiani cartacei, siano i notiziari radiofonici o televisivi, sia il mare aperto della rete. E infatti al superamento in basso di quella soglia è stata dedicata molta attenzione e la contabilità, così simbolicamente cadenzata, ha ingombrato talmente la scena al punto che solo in alcuni casi la questione ha valicato il confine statistico e solo occasionalmente quello sforamento ha indotto qualche riflessione.
Questo offre lo spunto per un breve e frammentario ragionamento in parte sui meccanismi che presiedono alla confezione dell’informazione, un po’ di più su come questa, con riferimento sempre a quella nazionale, tratta Venezia. L’informazione vive una fase drammatica. Il crollo delle vendite dei giornali è vertiginoso e non è compensato dalle edizioni digitali, né in termini di lettori né di ricavi. Non va molto meglio per l’informazione radiofonica e televisiva.

Città storica sotto i cinquantamila di Carlo Rubini
Sotto 50.000. Con Brugnaro è una cittadella di Sara Arco
Quale Venezia sotto i cinquantamila di Gianfranco Bettin
Emergenza spopolamento e overtourism. Il caso Venezia alla Camera di Nicola Pellicani

Insieme ad altri fattori, che non è questa la sede per esaminare, è evidente una crisi di affidabilità. C’è chi reagisce attrezzandosi a recuperarla o a darsene una nuova, occupando spazi vuoti nella crescente domanda di un giornalismo all’altezza di tempi così disorientanti. C’è chi invece reagisce con un’esasperata e confusa caccia ai clic. E i clic si ritiene possano moltiplicarsi raccogliendo immagini, video, fatti e pseudo fatti di cui la rete abbonda e la cui origine è spesso ignota, poco verificata e poco verificabile. Non si tratta di fake news, ma del repertorio di un populismo giornalistico che si pensa possa incuriosire e catturare non lettori. Una vecchia ricetta riverniciata digitalmente.

La notizia che a Venezia città storica si sia scesi sotto i cinquantamila residenti non è una notizia. Essa sfrutta un dato simbolicamente rotondo, la cifra immediatamente riconoscibile, che si può mandare a memoria senza sforzo in virtù di quella sfilza di zeri. Una specie di spartiacque, il passaggio cruciale di un count down, un numero folgorante, sbrigativo, percepibile più visivamente, più graficamente, che concettualmente. Cinquantamila incuriosisce e cattura, attira un certo voyeurismo da Guinness, induce a calcolare quanto manca a quarantamila e poi a trentamila e così via, in una corsa apocalittica all’estinzione totale. Emette un bagliore che lascia in ombra che cosa c’è dietro o a fianco di quella cifra attraente nella sua rotonda configurazione. E soprattutto non s’interroga e non interroga su quel che si può fare perché da cinquantamila si risalga a sessanta, a settantamila o anche di più se solo si leggono e s’interpretano bene le potenzialità attrattive che la città custodisce.
Grazie a quel cinquantamila, Venezia, agli occhi di chi legge, acquista un altro primato, è una città che moltiplica la sua singolarità, si allontana da una dimensione urbana. È un luogo in cui si sfida un destino fatto di numeri che nella loro compiutezza raggiungono una specie di autosufficienza e non consentono di vedere che cosa essi designano.
Per parlare di Venezia l’informazione scruta sempre un orizzonte fatto di cose che emergono, che si segnalano per la loro eccentricità. È un atteggiamento che esaspera la nozione della notizia, che è il pane quotidiano del giornalismo, ma che non è notizia – stando a chi confeziona le pagine di un quotidiano o il palinsesto di un tg – se non incorpora qualcosa di straordinario, di bizzarro, di stravagante, se non ha come protagonista un personaggio eminente, immediatamente riconoscibile.

Su Venezia grava un’economia turistica che ha profondamente deformato l’assetto urbano, ha inibito a molti di risiedervi, ha inciso sulle attività commerciali, ha attratto investitori che solo questa economia sono interessati a incrementare. Ma l’informazione si mobilita se spunta il ticket d’ingresso in città, raccontandolo come fenomeno unico, eccezionale, degno di un wow, e preoccupandosi meno della sua concreta applicabilità, delle disuguaglianze che potrebbe ingenerare, dei rischi che la città corre di smarrire la propria dimensione urbana a vantaggio di quella museale. E la mobilitazione si spinge a riprodurre i video ripresi da un cellulare di chi fa sci d’acqua in Canal Grande, di chi in mutande si tuffa da un ponte – gesti osceni, che se presi in sé e isolati riducono la questione turismo a una faccenda di decoro urbano.
I cinquantamila veneziani resistenti rischiano di restare invisibili. Il numero, nella sua perfezione formale, li oscura agli occhi di chi legge. Perché l’informazione riparli di loro occorre attendere quota quarantamila. Nel frattempo, al di là di numeri pari e numeri dispari, la decrescita che non si arresta induce ansia per sé come individui e come collettività, ma sfugge nella sua interezza e nella sua complessità a chi la osserva da lontano. Inoltre, se ridotta a una vicenda statistica, in cui conta la scansione periodica di diecimila in diecimila, solletica il fascino che esercitano le città abbandonate e in via d’estinzione. E non consente di vedere quanti di quei cinquantamila veneziani resistenti non si considerano dei sopravvissuti cui spetta solo di rassegnarsi. Che siano cinquantamila o quarantanovemilanovecentonovantanove.

Immagine di copertina: Mercato del pesce negli anni Settanta (da Twitter: @IveserVeneziafoto Franco Furneri)

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