Celebrities a parte, altri personaggi, assai meno noti, danno ormai da anni un meno visibile ma fondamentale contributo alla buona riuscita della kermesse: dopo la prima galleria, eccone la seconda.


Piero Oliosi è un fotoreporter free lance e lavora con agenzie stampa americane. Segue il Festival del Cinema di Venezia dal 1962.
Il nostro mestiere è finito, lo sai vero? – mi dice – una volta, ricordi, era l’Excelsior il cuore del Festival: tutto succedeva tra la terrazza e la spiaggia, praticamente si viveva qui, mescolati tra i divi del cinema e i clienti ricchi, seduti ai tavoli gli uni accanto agli altri e tu fotografo eri ben accettato dalla direzione dell’hotel: niente bodyguard o recinti, il contatto con le star era diretto, e qualche volta finiva che ci diventavi pure amico tra una foto e l’altra.
Oggi è un’altra storia, son altri tempi, e le foto son tutte uguali.
Ahimè, Piero ha ragione, il Festival è più una rassegna programmata con protocolli blindati, non lascia spazio all’improvvisazione, ma non potrebbe essere diversamente.
Piero avrebbe tanti aneddoti da raccontare, che ricorda perfettamente, ma stavolta farò un’eccezione e racconterò io una storiella che lo vede protagonista suo malgrado.
Molti anni fa, all’epoca delle fotocamere a pellicola, capitò a Venezia il mitico fotografo Henri Cartier Bresson, più semplicemente HCB, cofondatore con l’altrettanto mitico fotografo di guerra Robert Capa della Magnum Photo. HCB, già in età avanzata, da molti anni non fotografava più, ma si dedicava alla pittura paesaggistica, sua giovanile passione: a Venezia accompagnava la moglie fotografa Martine Frank, che in città presentava una sua personale ai magazzini del Sale delle Zattere. HCB è sempre stato persona riservata, assai di più in vecchiaia: quando vide noi fotografi, lì sulla fondamenta delle Zattere, capì che stavamo aspettando lui e non la moglie, allora ci minacciò agitando il bastone da passeggio, “Attention” ci bisbigliò, che aveva una vocina flebile.
Poi si piazzò su un angolo della scalinata del ponte dei Saloni, seduto su uno sgabellino pieghevole che un giovane assistente portava, tirò fuori dalla sacca album da disegno, la matita, e cominciò a disegnare su un foglio bianco il profilo della Giudecca con la chiesa del Redentore: ogni tanto ci girava un’occhiataccia e, a monito, indicava il bastone posato accanto ai piedi.



Era già una situazione da farsa, quando arrivò trafelato Piero, che si credeva in ritardo sull’evento: ignaro di quanto accaduto poco prima, si parò davanti a HCB e lo rafficò di scatti, nonostante i nostri tentativi di fermarlo: successe il finimondo, HCB, che nel frattempo si era alzato per rifugiarsi all’interno dei magazzini del Sale, squittiva come un topolino in trappola, si copriva il volto con le mani, aveva fatto cadere il bastone… “questo fa un colpo” pensavamo: “passeremo alla storia come gli assassini di HCB”. E invece accadde l’impensabile: Piero abbassò la fotocamera, e con un vocione da basso lirico, in perfetto francese, urlò più o meno questo: “Ma perché? tu sei il mio idolo, sono cresciuto contemplando le tue foto, io ti adoro e tu mi tratti come una merda? no, non lo accetterò giammai e continuo a fotografarti”: silenzio glaciale, lo sguardo di tutti fissi sui due, uno di fronte l’altro, Piero pronto con la fotocamera e HCB con la bocca spalancata, immobile, a fissarlo: “ecco, adesso muore “ pensammo: invece arretrò fino al muro dei Saloni, spalancò le braccia ed esclamò “Ebbene, fucilatemi”. Fu così che fotografai Henri Cartier Bresson, ma la foto che inviai all’Ansa è quella qua sotto: infatti non era finita: Piero, felice, afferrò la testa dello spaventatissimo HCB, la tirò a se e la baciò sulla fronte.


Anna è un nome di fantasia per questa ragazza, partita da Udine all’alba per piazzarsi in buona posizione a ridosso della barriera che divide la folla dal percorso del Red Carpet, all’esterno del Palazzo del Cinema. Il divo della serata è il cantautore e attore britannico Harry Styles e Anna spera di attirare la sua attenzione con questo cartello dove gli chiede di tracciare un segno per poterlo riprodurre in tatuaggio. Sono centinaia i giovanissimi che come Anna bivaccano sin dal primo mattino sul perimetro del Red Carpet, sperando in un incontro ravvicinato con la star della serata: senza di loro le parate di stelle non avrebbero senso, sono il soffio vitale del Festival.


Lorenzo Salvan è il decano dei bodyguard del Festival: in questi giorni coordina partenza e ritorno delle limousine che trasportano i vip dalla darsena dell’Excelsior all’ingresso del Red Carpet: sembra facile, sì e no trecento metri, ma le auto procedono allo scoperto in mezzo alla gente per gran parte del tragitto, schivando pedoni e i fan che si accalcano per sbirciare oltre i vetri oscurati, e poi bisogna preventivare l’imprevedibile, che qualche balengo a caccia di notorietà non si scagli contro le auto, facile bersaglio a portata di mano: pertanto occhi aperti e orecchie in collegamento auricolare con le orecchie dei colleghi ai lati della strada.
Un passato da investigatore privato, Lorenzo è l’ombra vigile dei divi del cinema, in modo gentile e premuroso, al punto che vox populi gli attribuisce un flirt con l’attrice Julia Roberts, sbocciato sul set veneziano di un film di Woody Allen girato nel 1995. Voci sono, fatto sta che qualche mese dopo le riprese l’attrice tornò in laguna, ospite di Lorenzo e dei suoi fratelli nella trattoria di famiglia a Mestre, come testimoniato dalle foto sui giornali locali.


Roberto Saoner è il custode del Palazzo del Cinema: dice che è stato concepito in uno degli attuali uffici della giuria del Festival, perché prima di lui suo padre era il custode del palazzo e con la famiglia occupava alcune stanze al primo piano, arrangiate a dimora, prima della costruzione dell’appartamento residenziale sul lato est del palazzo. Dal 1975 Roberto affianca il padre Gildo, fino a sostituirlo cinque anni dopo. Tocca a lui ispezionare più volte al giorno sale e uffici, magazzini e locali impianti, ascoltare il respiro del palazzone bianco e sovrintendere a pulizie e manutenzioni durante l’anno; sulla bacheca appese ci sono più di cento chiavi. Ma esci ogni tanto? chiedo: sì, certo, per far la spesa e quando ho un po’ di ferie: mi ricorda la leggenda del pianista sull’oceano, che non scese mai dalla nave sulla quale era nato.


Alessandro “Sandrone” Greco è il motoscafista fidato di George Clooney: i due sono diventati amici al punto che l’attore, quando festeggiò a Venezia il matrimonio con Amal Alamuddin, volle ospite gradito anche Sandrone, con le tante star hollywoodiane calate in laguna per l’evento. Ma com’è nata questa amicizia ? “Per caso”, dice Sandrone, “ durante un Festival del Cinema dei primi anni Duemila, non ricordo con precisione l’anno: andai all’aeroporto per un arrivo, uno dei tanti in quei giorni. Salì a bordo George Clooney e alcuni accompagnatori: durante il percorso venne a posizionarsi in plancia accanto a me mentre guidavo: è un tipo dai modi semplici e schietti, simpatico, insomma alla mano, per niente borioso, facile farci amicizia: anche lui guida un motoscafo, ma navigare sulla vastità di un lago è altra cosa che destreggiarsi negli angusti canali veneziani trafficati da gondole e altre barche, e questo per lui era uno spettacolo affascinante. Ma come vi capivate ? “Be’, all’inizio in inglese, più tardi lui imparò un poco di italiano”.


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