Beato Luciani passerà alla storia come il papa del sorriso, per il mondo latino, e come “September pope” per il mondo anglosassone, due visioni diverse per la stessa persona. Il bellunese Albino Luciani, nato nel 1912 a Canale D’Agordo, piccolo paese dolomitico, da una famiglia con simpatie socialiste, fu il terzo papa del Novecento partito patriarca da Venezia e approdato alla soglia di Pietro. Papa Pio X e Papa Giovanni XXIII erano stati come lui, cardinali a San Marco. Fu papa per poco più di un mese e, a distanza di 44 anni dalla sua morte, per via di un miracolo riconosciuto nel 2014 dalla Congregazione per la causa dei santi, fatto beato il 4 settembre davanti a ventimila persone.

La mia curiosità storica verso il Beato Luciani è dovuta a diversi motivi.
L’ho conosciuto personalmente in diverse occasioni. L’ultima sua “visita” ufficiale a Venezia è avvenuta alla Scuola Grande di San Teodoro, dove io e mio gemello Giorgio, con la Associazione Settemari, avevamo organizzato la mostra-denuncia sulle isole abbandonate. Esposizione e libro che ebbero un discreto successo e un interesse internazionale. Il patriarca Luciani, accompagnato dai fedelissimi, don Mario Senigaglia e don Ettore Fornezza, voleva sapere tutto su San Giorgio in Alga, isoletta vicino a Fusina, abbandonata nel 1968, già appartenente alla Curia. In quel piccolo pezzo di terra in mezzo alla laguna aveva vissuto il primo patriarca veneziano, il santo Lorenzo Giustiniani, mentre nel lontano 1956, il patriarca Roncalli, altro santo, voleva far rinascere l’isola con un centro di meditazione per seminaristi. Il progetto fallì per i notevoli costi di allacciamento acqua, gas, energia.

Conserviamo una rarissima foto della presenza di Roncalli, donataci da Roberto Gavagnin, allora bambino, ultimo residente con la famiglia nell’isoletta.
Terzo motivo della mia curiosità tipicamente giornalistica: il direttore del Gazzettino Gianni Crovato (1976-1983) era un buon amico del patriarca Luciani (e un po’ fisicamente si assomigliavano). Morto a 91 anni nel 2019. Gianni Crovato nel pomeriggio del 28 settembre 1978, fu uno degli ultimi a vedere e a parlare in udienza privata, con l’amico papa. Sicuramente fu l’ultimo “laico”. Poche ore dopo Giovanni Paolo I moriva per cardiopatia ischemica e l’annuncio venne dato dalla Radio Vaticana il giorno successivo.
Nonostante le insistenti richieste della stampa di allora, non fu mai eseguita l’autopsia, perché “non era prevista dal protocollo”. Gianni Crovato, con il Gazzettino aveva vissuto un momento tragico per il giornale. I debiti e il trasferimento a Mestre della sede, e all’inizio degli anni Ottanta, ai tempi dello scandalo P2, la misteriosa morte di Roberto Calvi per “impiccagione” ai Frati Neri di Londra. Le finanze e la vita del quotidiano fondato da Giampiero Talamini nel 1887, dipendevano allora dalle sorti della Banca Cattolica del Veneto e del Banco Ambrosiano. Crovato riuscì a salvare stipendi e posti di lavoro.
Un grande merito mai riconosciuto. In compenso il direttore, sotto minaccia delle Brigate Rosse, fu costretto a vivere per anni con scorta e a cambiare spesso domicilio per dormire più sereno. Piccola annotazione. La Banca cattolica del Veneto, espressione popolare e cristiana del senso del risparmio di migliaia di piccoli imprenditori, artigiani e contadini veneti, fu venduta, con la totale contrarietà di Albino Luciani, dallo IOR (all’epoca Banca Vaticana) allo stesso Ambrosiano. Si racconta che i rapporti tra l’arcivescovo Paul Marcinkus, presidente dello IOR, non fossero mai stati sereni. Una leggenda narra anche che il patriarca Luciani si recò a Roma da Paolo VI per protestare per la strana operazione finanziaria e che Marcinkus abbia replicato: la Chiesa non si regge solo con le Ave Marie! Facendo infuriare Luciani.
Fatto sta che nel 1972 lo IOR vendette per 45 milioni di dollari il 37 per cento delle azioni Banca Cattolica. Stessa sorte toccò al piccolo Banco San Marco di proprietà delle Opere Cattoliche che avevano come scopo sociale “il cauto e profittevole impiego dei capitali”. Nel 1971 c’era stato alla Borsa di Venezia, a quel tempo molto dinamica, lo “scandalo Marzollo”. Ci fu uno scontro, poco evidenziato dalla stampa, tra Patriarcato e Banco Ambrosiano. Un cardinale, Egidio Vagnozzi, si lasciò sfuggire una dichiarazione pubblica: Luciani non ama Marcinkus.

Quando morì il 28 settembre 1978 si disse che fu il segretario particolare John Magee a scoprire il cadavere. Sul letto aveva il libro De Imitatione Christi. Mentre tanti anni dopo si scoprì che era stata la suora veneta, Vincenza Taffarel (poi fatta riunchiudere in un convento di clausura fino alla morte), e lei sosteneva che il papa stava leggendo un dattiloscritto sulla situazione finanziaria del Vaticano. Addirittura si raccontò che nel giorno successivo avrebbe dovuto avere un incontro con l’arcivescovo Marcinkus.
Sono stati scritti diversi libri sul presunto “complotto”. Il più cattivo: In nome di Dio dell’inglese David Yallop, e poi c’è anche Peccato originale di Gianluigi Nuzzi, e in mezzo una dichiarazione del pentito di mafia Vincenzo Calcara, secondo cui lo IOR riciclava centinaia di miliardi di lire, frutto di traffici illeciti. Anche lo scrittore Carlo Bellavite Pellegrini, in un libro del 2002, Storia del Banco Ambrosiano: fondazione, ascesa e dissesto. 1896-1982, parla della baruffa tra il “mite” Luciani e il “feroce” Marcinkus.
Il Vaticano non replicò mai a nessuno. Gianluigi Nuzzi, autore anche di Vaticano Spa che si professa cattolico praticante, non esita a parlare di “enorme stress” che colpì ai suoi inizi Papa Luciani e addirittura di “omicidio morale”. Gli scandali dello IOR erano presto detti: paradisi fiscali, traffici illeciti, strane protezioni finanziarie per vescovi e cardinali.

Avendo frequentato negli ultimi anni, per affetto e amicizia, Gianni Crovato, ormai relegato in una casa di riposo a Casale sul Sile (Tv) ho insistito diverse volte con lui sia sul caso Calvi che su Luciani, e se era il caso di scrivere un libro. L’anziano direttore mi guardava fisso negli occhi con un sorriso beffardo e mi rispondeva: “No, perché no!”.
Misteri e presunti complotti a parte, ho raccolto alcune testimonianze di chi conobbe bene Papa Luciani. Sapeva poco di Curia Romana ed era stato eletto per “tagliar fuori” i due papabili (è proprio il caso di dire così…). Il conservatore Giuseppe Siri di Genova e il curiale Sebastiano Baggio. Appena eletto il 26 agosto 1978 per sostituire Paolo VI ci fu prima una fumata grigia poi nera per errore. Brutto presagio. Il neo papa chiese poi al cerimoniere se poteva parlare alla folla. “No! Non si può non è tradizione”(cosa che poi fece nel mese di ottobre Karol Wojtyla). Altro errore da San Pietro dell’Osservatore Romano: Albinum Luciani qui sibi nominen imposuit Ioannem Paulum I. Peccato che andava scritto il neutro nomen. Il fratello del papa, Edoardo, sempre molto critico, confessò che Albino avrebbe voluto chiamarsi Pio XIII, ma gli dissero che era meglio cambiare. Non voleva usare la sedia gestatoria, “puzzava” di antico. Ma gli fu imposta perché era piccoletto e c’erano esigenze televisive…
Nei primi giorni del pontificato espresse tre desideri, disattesi, e noi siamo abituati a sentire che un papa deve essere assolutamente ubbidito. Chiese Luciani: che il suo medico personale di Vittorio Veneto, fosse nominato a Roma medico del papa. Risposta: no! Che il suo segretario personale di Venezia, don Mario Senigaglia, fosse trasferito in Vaticano. Risposta numero due: no! Terzo desiderata: che venisse nominato patriarca a Venezia un prete salesiano oppure il gesuita padre Sorge. Terzo rifiuto. Il fratello Edoardo chiuso e pieno di ricordi nella sua casa di Canale D’Agordo, ricordava il viaggio di suo fratello quando era patriarca, da suor Lucia in Portogallo, l’unica testimone in vita dei segreti di Fatima. Secondo una leggenda, la suora le predisse il pontificato. Il fratello però disse che Albino tornò dal Portogallo triste e cupo. Cosa avrà detto suor Lucia?
Ora è beato tra i beati.

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