È un inno all’”oro rosso”: si fa presto a dire “pomodoro”, visto che da oggi dobbiamo dire Il signor pomodoro. Storia di un successo biologico con qualche divagazione, titolo del libro scritto da Franco Avicolli ed edito da Archos, in uscita in questi giorni. Una bacca che racchiude in sé e in tutte le forme che conosciamo una storia lunghissima che, rapportata ai tempi contemporanei, parla di conquista, emigrazione, contaminazione, carestie, fame, nutrimento per poveri e ricchi, scienza, medicina, arte, religione e chi più ne ha più ne metta.
Un frutto popolare che s’identifica come molto “italiano” ma che in realtà arriva in Europa e quindi nel Mediterraneo relativamente tardi, intorno alla metà del XVI secolo, dopo le conquiste spagnole nell’America del Sud e relativi annientamenti delle popolazioni locali. Ricerche archeologiche sugli antichi territori sudamericani arrivano a datare i primi esemplari di pomodori al 6000 aC, mentre intorno al Mille dC s’inizia a parlare di diffusione vera e propria.
Una storia che Avicolli ripercorre dettagliatamente e con passione, visto che lui in Sud America ci ha vissuto e lavorato: un successo biologico che diventa simbolo di dieta mediterranea assieme a grano, vite, ulivo, pur non nascendo nel Mediterraneo. Un successo anche economico, visto che secondo i dati relativi al 2017, sono state prodotte nel mondo 182 miliardi di tonnellate di questa duttile bacca, che soprattutto per noi italiani fa parte della vita quotidiana per quel che riguarda l’alimentazione, e sopratutto negli ultimi anni dal Sud del Belpaese fino alle montagne del Nord le più varie specie di pomodoro hanno allietato e allietano tavole e palati, crude o cucinate, essiccate o sotto forma di salsa e conserva.
L’autore non enumera nomi le varietà diverse del magico frutto d’oro, ma solo leggendo queste righe ditemi chi non immagina pomodori datterini o cuore di bue, a grappolo o San Marzano, acquistati in cassette di legno a settembre per fare la salsa per tutto l’anno, stesi a seccare su grandi tavole di legno in campagna, conservati in vasetto sott’olio e mille altre golosità alimentari.

Storia antica, anzi antichissima, che millenni prima della nostra era nasce chissà come nei territori degli Atzechi dell’attuale Messico, col nome di tomate, ma anche con altri nomi poi abbandonati, pianta delle solanacee come patate, melanzane, peperoni, che contiene solanina, alcaloide che agisce sul sistema nervoso. Oltre 2200 specie, di varie colorazioni e denominazioni, questo pomodoro che penetra così profondamente nella civiltà e ne favorisce lo sviluppo, nutrendo e arricchendo, curando e stupendo per la sua versatilità.
Immaginiamo i conquistadores di Fernando Cortez sotto il regno di Carlo V di Spagna che incontrano le popolazioni indigene e ne fanno strage nonostante il tentativi del sovrano Montecuhzoma ovvero Montezuma di blandirli. In quel sanguinoso 1520 non bastarono oro e argento, schiavi e piante rare, a salvare gli indigeni dalla furia dei soldati spagnoli. Che iniziarono la spola tra Sud America e Spagna e da lì Europa inondando il vecchio mondo di novità botaniche oltre che di ricchezze mai viste. I semi del pomodoro sbarcarono chissà come, dove, e quale itinerario presero per diffondersi dopo la Spagna sopratutto nel sud Italia spagnolo dove trovarono clima e terreni ideali, assieme a mais, zucca e peperoncino.

Galeoni carichi di novità attraccano alle coste europee: anche i missionari contribuiscono alla diffusione di piante, usate come rimedi medici e coltivate negli orti dei conventi e nei primi orti botanici di Padova e Firenze. Siamo a metà del XVI secolo e altre discipline s’intersecano con la comparsa di queste bacche rosse, che crescono rapidamente, usate anche a scopo ornamentale.
Interessantissimo ripercorrere, grazie a Franco Avicolli, la storia, la letteratura, la medicina, l’arte, scandite dallo studio di questa meravigliosa bacca.
Menti lucide, come quella del medico e botanico Pietro Andrea Mattioli, senese ma con studi a Padova, posero pietre miliari con trattati e disegni, (Di Pedacio Dioscoride Anazarbeo Libri Cinque della historia, et materia medicinale tradotti in lingua volgare italiana) seguito da eruditi che diffusero tra le corti rinascimentali e tra il popolo una nuova cultura alimentare, ma anche una nuova moda artistica, legata a quelle “nature morte “ estremamente originali come fu per l’artista Giuseppe Arcimboldo e i suoi seguaci, fino al sublime Raffaello Sanzio e Caravaggio…

Dai più originali ricettari e ai più richiesti cuochi italiani (anche a quei tempi questi ultimi erano delle star contese a colpi di zecchini tra le corti europee) per giungere alla sublime arte culinaria di Pellegrino Artusi, il grande romagnolo che dette al pomodoro dignità e prelibatezza nel 1891, pubblicando La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene.
Parlando di scienza, l’Autore attraverso un’imponente bibliografia ripercorre l’uso in campo medico fin dai tempi di Galeno di Pergamo, medico del III secolo dC, e dei suoi seguaci.
Ma sopratutto Franco Avicolli ci fa viaggiare lungo una linea che interseca mille prospettive di studio, non ultima la grande questione ambientale che in questi ultimi decenni drammaticamente si pone alla ribalta e ipoteca il futuro dell’umanità se rapidi rimedi non verranno posti in essere.
Il pomo d’oro rimane con noi, a ricordarci le sue antiche origini ed il simbolo di una cucina, quella italiana, che nel mondo è un faro ed un sapiente mezzo culturale. Ognuno di noi poi ha il “suo” pomodoro, la “sua “ ricetta di casa, di tradizione, di affetto, di gusto. E anche le sue canzoni, in primis “Viva la pappa col pomodoro” strillata da Rita Pavone in tempi che furono.
E sopratutto la poesia, cantata da Pablo Neruda, che nella sua Ode descrive un Astro della terra che emana una luce propria, come una “stella ricorrente e feconda”.



Le immagini che illustrano l’articolo fanno parte di una serie di cinque dipinti, eseguiti da Pablo Picasso, di una pianta di pomodoro in fiore nel suo appartamento parigino. Nell’estate del 1944, l’artista soggiornava con Marie-Thérèse al Boulevard Henri IV nelle settimane precedenti la liberazione di Parigi dai nazisti da parte delle forze alleate. Picasso iniziò a notare la pianta di pomodoro in un vaso che cresceva accanto alla finestra dell’appartamento. Non era cosa rara nelle case in tutta Europa in un momento in cui scarseggiava il cibo, specie i prodotti freschi. Vedendo la pianta resiliente come un segno di speranza mentre continuava a dare i suoi frutti, Picasso dipinse cinque tele della pianta su un davanzale tra il 3 agosto e il 12 agosto 1944, fonte d’ammirazione e metafora della perseveranza umana in tempi di conflitto.

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