Abbiamo seguito in massa la vittoria dell’Italvolley di Fefè De Giorgi, ci siamo emozionati per il ritiro di due icone del tennis come Roger Federer e Serena Williams, abbiamo applaudito le imprese dell’Italbasket di Pozzecco e quest’estate ci siamo spellati le mani per le medaglie a profusione ci che hanno regalato i ragazzi e le ragazze del nuoto agli Europei di Roma. Anche i quotidiani sportivi, non a caso, sono stati costretti a prenderne atto, dedicando molte pagine a questi eventi, e gli altri a ruota, a dimostrazione che ormai determinati sport sono diventati una passione comune, rubando la scena a un calcio che, a dire il vero, ci regala sempre meno soddisfazioni. E se stesse cambiando qualcosa nel nostro Paese? Potrebbe essere persino un fatto positivo, e lo dico da calciomane, in quanto la cultura calciocentrica ha arrecato non pochi danni al nostro panorama sportivo: un movimento che finalmente si sta evolvendo, cominciando ad apprezzare discipline delle quali prima nemmeno ci accorgevamo mentre ormai ci tengono incollate davanti al televisore come solo il pallone un tempo era in grado di fare.
Certo, il mondo del calcio dovrebbe porsi qualche domanda in merito a questa regressione. Riuscire a far disamorare una nazione come l’Italia, in cui il calcio costituiva una sorta di religione civile, non era semplice ma il campionato spezzettato, una Nazionale sempre più deludente, un andamento nelle coppe europee da incubo e gli innumerevoli errori compiuti nell’ultimo ventennio dai vertici federali di ogni ordine e grado ci hanno condotto a questo disastro. E così, ci ritroviamo una generazione di fenomeni un po’ ovunque, compreso ovviamente il tennis, mentre a rincorrere il pallone talvolta si ha l’impressione che siano rimasti ragazzi senz’altro volenterosi ma forse privi di quella fame di vittorie che si registra altrove.

Non è un caso se le calciatrici, finora considerate assai meno dei colleghi maschi, al punto che solo di recente si è giunti al professionismo, giochino spesso assai meglio, con più coraggio e determinazione, come se avessero ancora quella passione e quell’entusiasmo che tra i colleghi uomini sembrano essere venuti meno. E non è un caso se sport senz’altro meno ricchi, più spontanei e visibili in chiaro, a differenza di un calcio sempre più ridotto a esclusiva per benestanti, si stiano facendo strada nel cuore di un popolo che, evidentemente, ha ancora bisogno di favole, di esempi positivi, di gioia di gentilezza, di genuinità e di spirito rivoluzionario.
Se il calcio si è ridotto a un mero business, se ha ammainato le bandiere, rinnegato i valori e smesso di far battere i cuori perché troppo esagerato, artificioso e in mano a oligarchi di varia natura, non può che recitare il mea culpa e domandarsi come tornare indietro. In caso contrario, prima o poi, potrebbe anche trasformarsi dell’opposto di ciò per cui era nato: in una ridotta per ricchi, in un trionfo di interessi particolari, in un simbolo dell’élite contrapposta alle persone comuni. In parte sta già avvenendo: è tremendo ma in natura non esiste il vuoto. Se un universo di ideali viene meno, qualcosa dalle macerie rinasce sempre.

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