Trio in la minore di Tchaikowsky, struggente tramonto del tardo romanticismo

MARIO GAZZERI
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“La musica sarà sempre la porta che conduce a mondi immaginati e, soprattutto, all’universo dei ricordi”. Questa frase del romanziere inglese Jonathan Coe ci è tornata alla mente ascoltando per l’ennesima volta il celebre Trio in la minore di Piotr Ilic Tchaikowsky. La fusione di violino, violoncello e pianoforte nello sviluppo del primo movimento del trio, riesce a coniugare i poli del sublime e dello struggente, così tipici dello stile compositivo del grande russo, e a segnare la piena maturità o forse anche il principio della fine del post-romanticismo musicale russo che, per molti anni, sopravvisse a quello tedesco. La musica di Tchaikowsky (o Ciajkovskij, come scriveva il grande Massimo Mila seguendo un diverso codice di traslitterazione) si configura come un ideale “ponte” tra compositori dell’Europa occidentale e di quella orientale segnando al contempo il “passaggio” tra musica del passato e del presente, o meglio dell’Ottocento e del Novecento. Il trio è una composizione che brilla di una intensa luce propria nel vasto panorama della titanica opera musicale del russo.

Le sei sinfonie (la sesta, detta la Patetica, forse la più drammatica e nota anche al grande pubblico) così come i tre concerti per pianoforte e orchestra (il primo, vero e proprio “cavallo di battaglia” anche della nostra pianista Beatrice Rana, che ne ha segnato il suo trionfo internazionale a New York, Londra e al Concertgebouw di Amsterdam) per non parlare della musica più che popolare delle numerose, cantabili suite orchestrali, ‘adattate’ come base musicale per famosissimi balletti come Il lago dei cigni o Lo schiaccianoci da Serghiei Diaghilev, fondatore della leggendaria ‘Compagnia di Balletti Russi’ e scopritore di talenti della danza classica oltre che protettore di Igor Stravinski e coreografo egli stesso, morto a Venezia nel 1929 dopo una vita densa di riconoscimenti internazionali.

Tchaikowsky si avvale meno di altri musicisti russi dell’apporto, del contributo offerto dal secolare patrimonio del folklore del suo paese che in parte caratterizzò, invece, i compositori suoi connazionali del cosiddetto ‘Gruppo dei cinque’ (Borodin, Musorgskij e Rimskij Korsakoff oltre a Milij Balakirev e Michail Glinka), e i musicisti dell’Europa orientale, da Chopin e Liszt a Smetana e Bartok, da Janacek a Zoltan Kodaly. La musica di Tchaikowsky si può anche vedere come un compendio, una parziale sintesi di varie fasi della musica ottocentesca che il compositore assorbì conferendo ad esse una nuova identità e sensibilità. Il Trio in la minore fu dedicato “alla memoria di un grande artista” (il pianista Nikolai Rubinstein fratello del compositore Anton Rubinstein, un cognome ricorrente nel mondo dei virtuosi del pianoforte se si pensa anche al polacco Arthur Rubinstein, tra i più grandi solisti della tastiera del Novecento).

Da notare, al riguardo, che secondo la giovane e brava musicologa Silvia Corbetta, Nikolai Rubinstein aveva uno stile più simile a quello di Clara Schumann che non al pirotecnico virtuosismo di Ferenc (Franz) Liszt. Se nel primo movimento del trio si possono percepire alcuni richiami, alcuni echi Beethoveniani o Schumanniani, la melodia iniziale del secondo movimento introdotta dal pianoforte e subito ‘ripresa’ dal violino, sembra schiudere l’ingresso a quell’”Universo di ricordi” che abbiamo prima ricordato, disegnando, col sottofondo di un ‘gentile lamento ’ del violoncello, un cantabile ritratto dell’infanzia del musicista.

Più oltre il pianoforte (in questo trio protagonista al pari degli archi) crea una cadenzata ma serena, quasi scherzosa ‘canzone’, un ricordo di quei “mondi immaginati” di cui parlava lo scrittore Jonathan Coe. Quell’infanzia, dunque, che probabilmente fu l’unico periodo felice di una vita oscurata da ricorrenti depressioni e dall’imbarazzo per la propria omosessualità, in tempi in cui veniva accettata con difficoltà dalla società. Il movimento conclusivo si apre invece con una melodia “spagnoleggiante”, di probabili radici gitane, seguita da un lungo, possente assolo del pianoforte (quasi una dedica a Liszt), ritmato unicamente dal “pizzicato” del violino, per poi immergersi nuovamente nella malinconia di melodie russe interrotte da sprazzi di inedita modernità che sembrano preludere a Stravinsky e bussare alle porte del ventesimo secolo.

Trio in la minore di Tchaikowsky, struggente tramonto del tardo romanticismo ultima modifica: 2022-09-26T13:07:52+02:00 da MARIO GAZZERI
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