L’esattezza

in Linea intera, linea spezzata di Milo De Angelis.
CRISTIANO POLETTI
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La poesia è un tentativo, amorevole, che si fonda su un patto di fedeltà alla vita. Vita e poesia sono forse, insieme, un solo grande tentativo: di seguire il destino, o meglio di vedere inscritto, nel tempo che il destino ha scolpito, il nostro episodio. Questa consapevolezza può emergere in noi improvvisamente, affiorare un giorno qualunque, magari, perché no, intorno a un tavolo da biliardo. In Linea intera, linea spezzata (Mondadori, 2021) Milo De Angelis scrive: «e sorridi e ti acquieta il panno verde / come un prato dell’infanzia, ti acquietano i bordi / di legno che ora contengono il tuo evento» (Sala Venezia, p. 10). O può arrivare a imporsi, tremenda, in una stanza dove tutto ha preso a vorticare finché il protagonista, preda di un fuoco ormai indomabile, arriva a sottoporsi all’estrema sentenza: «…e chiudo in ventidue metri quadrati / il mio episodio» (La stanza che gira su se stessa, p. 92).

C’è da chiedersi cosa accada ora, o già sia accaduto, di noi: se precipitati nel perduto che ci attende o ancora siamo aggrappati a un tempo in perdita, come da sempre vogliono indicare la poesia e la poetica di De Angelis in luogo di un proustiano tempo rivissuto nella promessa infine di ritrovarlo. C’è un passaggio formidabile, in proposito, che credo valga qui la pena di essere rimarcato. Compare in Terra del viso (1985), è richiamato in esergo e in corsivo prima di una poesia: Adesso quello che ho vissuto diventa imprevedibile come quello che vivrò (1981)

È il passato, dunque, a dover essere reinventabile, perché rivivibile, cioè diventa qualcos’altro rispetto alla Storia o a una “storia”. Ecco allora nel libro riapparire di volta in volta le figure di una vita, anime vaganti per una città, Milano, sentita da De Angelis vertiginosamente spirituale. La sua restituzione in poesia avviene tramite il respiro di chi cerca «quel punto in cui sangue e pensiero sono un’unica cosa» (traggo da Poesia e destino, 1982), di chi segue un filo antico e originario, perciò sempre nuovo. Ed è magistrale, fatta di angoli e di luoghi, carica di altezze e profondità. Tutto è incontro e momento e non ci si cura, leggendo, del succedersi appunto di occasioni storiche, la poesia è tutta nell’occhio e nel guizzo di parole che, stringendosi al momento, hanno saputo poi depositarsi.

Proviamo a intuire i contorni di una simile condizione e di un simile vagare; capiamo che il nostro compito è affermare con esattezza quanto per noi si è preparato. Cerchiamo allora qualcosa che suoni come permanente, una poesia salda, che duri nel tempo. Troviamo che molto ci è antenato e ci domina, per intero. De Angelis lo scandisce in questo libro fin dall’inizio: «…e chiama dal profondo, / ci raccoglie in un respiro che non è di questa terra»; e lo ribadisce, ripetendo poco oltre la stessa nota: «Tutto è come sempre / ma non è di questa terra».

Credo che l’idea fondante di tutto ciò sia essenzialmente riconducibile a una parola: abbandono, un abbandono consapevole, non ingenuo ma cosciente, scelto.

Ma soprattutto Linea intera, linea spezzata di De Angelis è un libro capiente. Entrando, siamo accolti dal buio, presto ci troviamo raccolti intorno al nero e sentiamo che tutto il notturno, «la lunga notte silenziosa», ci spinge nella vita.

Nel mondo siamo chiamati a esporci, fuori da ogni forma di pantomima. Su questo palco che è la vita ci è chiesto di muoverci con ogni nostra imperfezione, ben sapendo che l’uscita di scena, alla fine, vale tutto. Vale per il corpo, vale per la mente. La morte di ognuno, di ciascuno, significa in effetti la fine dell’intero mondo, è realmente “trafittura comune”. E il ricordo di noi, che noi non abbiamo più, è ciò che rimane, del mondo. 

Ogni cosa, ogni persona è pericolante. Tutto corre verso l’imminenza e l’immanenza del pericolo. Si cade, si resta nell’incertezza e ci si prepara al peggio, eppure «il tragico per esistere ha bisogno di luce e di gioia» afferma De Angelis introducendo il suo grande lavoro di traduzione del De Rerum Natura di Lucrezio. L’atto finale, la morte, che è stata tersa per un grande compagno di viaggio come Mario Benedetti, qui, direi, è luminosa e illuminante.

Di fronte «al grande niente che ci dona la visione» dovranno esserci allora soltanto parole degne per chi sa impietrarsi nella consapevolezza che «la vita continuerà altrove». 

«La verità – scrive Céline in Viaggio al termine della notte – è un’agonia che non finisce mai. La verità di questo mondo è la morte». Lampante, chiarissimo, eppure mai troppo ribadito. Dicevo prima di una trafittura comune e forse è opportuno riportare un po’ più per esteso il passaggio che anticipa l’agonia indicata da Céline: «Forse è anche l’età che sopraggiunge, traditora, e ci annuncia il peggio. Non si ha più molta musica in sé per far ballare la vita, ecco. Tutta la gioventù è già andata a morire in capo al mondo nel silenzio della verità». La musica nasce nel silenzio, il gioco nasce nella serietà. La serietà della morte, tornando ai versi di De Angelis, noi «l’abbiamo taciuta per tanti anni / mentre gridava nel verde potente di un biliardo, l’abbiamo/ sentita nella stretta musicale di un abbraccio».

Di nuovo il biliardo e appunto, la musica: il “codice terrestre” (o il «battito terrestre», meglio) che si manifesta in Linea intera, linea spezzata è contrassegnato da questa essenza. Sembra rievocarsi da sé la «musica di sottomondo» apparsa nella poesia di apertura di Terra del viso (1985). 

Lo stesso vale per il luminoso che dal tragico sa sprigionarsi. Torna così prepotentemente vivo quanto scritto in Millimetri (1983): «io parlo della terra / a una candela».

Servire, poter testimoniare di essere serviti: è il tentativo della vita e dell’arte. La grande forza vitale della poesia di De Angelis è nel riconnettere i frammenti della vita, gli incontri, gli addii, tutto ciò da cui si è sparsa per sempre luce.

Vorrei utilizzare, in proposito, una testimonianza preziosa di Andrej Tarkovskij: «l’arte è sempre in stretta relazione con il dovere principale dell’uomo, ossia quello di servire. Servire, in effetti, è il principio di relazione fondamentale dell’umanità». Pensiamo al significato latino del verbo servo, che riconduce a dimensioni profondamente legate alla poesia: tenere in serbo, conservare, custodire

Per questo occorre amare il silenzio: il silenzio dei giorni e soprattutto il silenzio di chi ha abbandonato la terra, coloro ai quali cioè la terra appartiene e il cui silenzio è indimenticabile. 

L’arte di estinguersi è il titolo di una poesia appartenente alla quarta e ultima, splendida, sezione, intitolata Aurora con rasoio. Lasciare la vita, evaderla, scegliere volontariamente la morte: è mostruoso, sì, ma non possiamo che comprendere l’intenzione e il gesto, capire, accogliere, ed è quello che l’autore fa. 

“Estinzione” indica anche lo spegnimento di un fuoco, quel fuoco richiamato all’inizio di questo articolo, il fuoco della propria grande insanabile controversia.

Vorrei concludere con la trascrizione per intero di una poesia a mio avviso meravigliosa. S’intitola Filastrocca del nome perduto, compare a pagina 100. È un testo che so venire da lontano, risale a molti anni fa. Avrebbe potuto accasarsi in un libro precedente di Milo De Angelis, forse Distante un padre, forse Terra del viso, ma è arrivato giustamente a noi, oggi:

Nel buio di un mattino te ne andrai anche tu
e scorderai le tue mani le tue frasi le tue
estati di poesia e allora te ne andrai
nel buio di un mattino e non dirai più
il tuo nome il tuo respiro il tuo gemito non
studierai più la metrica del tuo dolore e tra poco
ce ne andremo anche noi nasconderemo
i nostri volti i nostri versi i nostri vani
istanti di poesia affonderemo
nella lingua morta affonderemo nell’acqua
passata affonderemo in un punto
qualsiasi dello Scrivia e non diremo il nostro
nome il nostro respiro scritto in sillabe,
non diremo, non
diremo.

Guardiamo alla fine cosa fanno due virgole, due sole virgole: tutto. È una poesia che vive di un’angoscia compiuta, quella che si è depositata più in fondo, nel respiro: tensione, ritmo e spezzatura del verso sono micidiali. La negazione, il “non”, si fa martellante e liberatorio nel finale, scolpito attraverso due virgole.

Grande è la gratitudine nei confronti dell’autore con l’auspicio di ritrovarci, liberi, nel buio lampante di un mattino.

Milo De Angelis
Linea intera, linea spezzata
Mondadori, 2021
Prezzo: euro 14,00

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L’esattezza ultima modifica: 2022-09-27T18:23:00+02:00 da CRISTIANO POLETTI
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