Cominciamo da quello che non bisogna aspettarsi dal ventesimo Congresso del Partito comunista cinese, che si apre a Pechino il 16 ottobre. Non bisogna aspettarsi un vero dibattito, non bisogna aspettarsi colpi di scena: il vero Congresso si sta tenendo in questi giorni, coperto dal fitto velo di segretezza che da sempre nasconde gli avvenimenti interni al Partito: un velo che decenni di “apertura” e di contatti con il resto del mondo non hanno scalfito. Ancora oggi sappiamo molto poco di quello che succede dentro il Partito, se non quando il Partito stesso decide di farcelo sapere oppure quando esplode una crisi improvvisa.
Quindi, fantasie e segreti desideri vanno messi da parte e bisogna rilevare che Xi Jinping – presidente della Repubblica popolare, segretario del Partito e capo delle forze armate – il Congresso l’ha già vinto: Xi (69 anni) ha messo i suoi fedeli nei posti chiave e gli oltre duemila delegati al Congresso provenienti da tutta la Cina non faranno che confermare le sue scelte. È sicuro che Xi sarà rieletto per un terzo mandato alla triplice carica. Un terzo mandato che, contrariamente a quanto afferma ogni giorno la pubblicistica superficiale e male informata non – ripeto non – è “senza precedenti”.
A Mao Zedong (al potere dal 1949 al 1976) è succeduto Deng Xiaping che ha avuto di fatto il potere dal 1978, fino alla sua morte, nel 1997. Il suo collaboratore e successore Jiang Zemin è stato segretario generale del Partito dal 1989 al 2002 (e capo dell’esercito fino al 2004), prima sotto la tutela di Deng, poi nella pienezza dei poteri.
Come si vede, la vera cosa “senza precedenti” – e purtroppo senza seguito – sono stati i due mandati di Hu Jintao, che è rimasto al potere dal 2002 al 2012, “solo” dieci anni. Hu è stato il primo e l’ultimo esponente della “leadership collettiva” che era stata voluta da Deng Xiaoping proprio per evitare che un potere eccessivo sia nelle mani di un solo individuo.
È quello che è successo con Xi Jinping, che si è allontanato in maniera decisa dalla politica di “riforma e apertura” seguita da Deng, da Jiang e da Hu. Ha rafforzato il già forte ruolo del Partito nell’economia, ha isolato la Cina dal resto del mondo, ha rilanciato l’ideologia comunista in una società molto diversa da quella che in piccola parte seguì e in gran parte subì Mao nella follia della Rivoluzione culturale.
Chiaro che anche dentro al Partito ci sono molte persone alle quali queste scelte – questo guardare indietro invece che avanti – non piacciono.
Nel periodo di preparazione del Congresso è emersa la notizia – presto rivelatasi falsa – di un colpo di stato militare che avrebbe deposto Xi Jinping e sarebbe stato organizzato dalle fazioni di Jiang Zemin (96 anni) e di Hu Jintao (79 anni) e sostenuto dall’“anziano“ (105 anni) Song Ping.

In realtà le fazioni in questione versano – a quanto è dato di capire – in pessime condizioni e sono state estromesse da tutti i posti che contano. La falsa notizia – emersa da siti legati alla setta fuorilegge del Falun Gong e rilanciata su Internet da numerosi media indiani – aveva forse una base nei malumori emersi con un video messaggio inviato il 12 settembre dallo stesso Song Ping a un evento del Partito: nel messaggio, Song afferma, tra l’altro, che la politica di riforma e apertura “è stata l’unica via per lo sviluppo e il progresso della Cina contemporanea e l’unica via per la realizzazione del sogno cinese”. Le stesse parole furono usate cinque anni fa proprio da Xi Jinping. Il fatto che l’ultracentenario Song – al quale è attribuito il merito di aver convinto Jiang Zemin, nel 2004, a dimettersi dalla carica di capo dell’esercito permettendo a Hu Jintao di diventare il leader indiscusso della sua generazione – gliele ricordi alla vigila del Congresso è certo un significativo motivo di imbarazzo per il leader.
Infatti, a dispetto della loro irresistibile ascesa, Xi Jinping e i suoi fedelissimi hanno poco da mostrare a loro credito. L’economia segna il passo, il settore immobiliare – che ha trainato lo sviluppo negli ultimi decenni – è in crisi; la sciagurata alleanza a tutto campo col presidente russo Vladimir Putin si è dimostrata fallimentare.
Non solo Putin non ha mantenuto il suo impegno a conquistare l’Ucraina in pochi giorni ma la sua iniziativa ha portato a un rafforzamento dell’Europa unita e dei legami di questa con gli Stati Uniti, proprio il contrario di quanto aveva promesso Putin e di quanto si aspettava Xi Jinping. Questo, insieme alla repressione del movimento democratico di Hong Kong, ha portato all’emersione della questione di Taiwan in termini che alla Cina non possono certo piacere: oggi, contrariamente a quanto avveniva fino a pochi anni fa, la situazione di indipendenza di fatto di Taiwan dalla Cina, la mancanza di solide basi storiche per la rivendicazione di Pechino dell’isola come suo territorio, la pessima opinione che della Repubblica Popolare hanno la maggioranza dei cittadini taiwanesi sono largamente note all’opinione pubblica internazionale mentre si moltiplicano le visite a Taipei di politici americani ed europei.

Per quanto riguarda un possibile attacco militare all isola, la “confusione strategica” scelta dal presidente americano Joe Biden ha rafforzato l’ipotesi che in quel caso gli USA interverrebbero a difendere Taiwan.
La feroce repressione della minoranza etnica degli uighuri nella regione nordoccidentale dello Xinjiang è stata denunciata in termini decisi dai gruppi umanitari internazionali che parlano di “genocidio”. La denuncia è stata fatta propria dall’Organizzazione delle Nazioni Unite col rapporto della commissaria per i diritti umani Michelle Bachelet e ha contribuito al peggioramento dell’“immagine” della Cina nel resto del mondo.
Infine, la rigida politica dei lockdown anti-Covid – basati sul presupposto ideologico che uno Stato autoritario è più efficiente di uno democratico – è fallita: la Cina non ha un vaccino e il Covid non è “sconfitto”, nonostante le drastiche misure usate da Xi e dai suoi nella lotta contro la pandemia.
L’unico campo nel quale Xi Jinping ha conseguito un successo è stato quello di rafforzare la presa del Partito sulla società. Cosa questo voglia dire per una società moderna ed evoluta come quella cinese, per lo sviluppo di un’economia fortemente integrata con quella internazionale è tutto da vedere. Come possa un Partito la cui ideologia rimane un confuso marxismo autoritario vecchio di oltre un secolo gestire quella società e i suoi rapporti col resto del mondo, anche. Quello che è certo è che nei prossimi mesi e nei prossimi anni tutti quei nodi – l’economia, l’alleanza con la Russia, la sfida agli USA, la lotta alla pandemia, i rapporti con i “compatrioti” di Taiwan, la repressione nel Xinjiang – verrano, uno a uno, al pettine e che Xi Jinping e i suoi fedelissimi non appaiono pronti ad affrontarli con successo.

Immagine di copertina: Le prime pagine, identiche, dei sei principali quotidiani cinesi, al termine dell’ultimo congresso del Pcc, il 19mo, 26 ottobre 2017

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!