Mestre, chi sei?

SARA ARCO
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Inerzia, semplificazioni e cattive scelte hanno portato Mestre in una crisi profonda. O l’amministrazione decide di prendere seriamente in mano il problema oppure c’è il rischio che un’enorme parte del nostro comune cada in una crisi così profonda da non poter più riemergere. 

Degrado, spaccio, criminalità ormai segnano non solo l’area adiacente alla stazione di Mestre ma si sono allargate a macchia d’olio. Residenti e commercianti disperati ma soprattutto inascoltati si aggrappano ai social per trovare ascolto e si rimboccano le maniche. Ma sono lasciati soli dall’amministrazione.

Eppure durante la campagna elettorale delle politiche, gli Assessori facevano a gara per intestarsi ricette, azioni, formule magiche. Tutti in ordine sparso tanto da arrivare a fare un summit tra assessori della stessa Giunta. 

Finita la campagna elettorale oppure terminate le panchine da spostare, è finito l’interesse anche per questo tema ma il problema certo non è scomparso tanto che perfino il Questore ha avviato una campagna di ascolto con i cittadini. Esattamente quello che dovrebbe fare il Sindaco o l’assessore alla Sicurezza.

Nel frattempo Mestre continua ad avvitarsi in una pericolosa spirale: meno residenti, meno commercio, più degrado, più insicurezza. 

Torre dell’Orologio

Infatti come la Città d’acqua, anche Mestre perde quotidianamente residenti e attività commerciali, costrette a chiudere anche a causa del degrado che circonda le loro attività.

Se da un lato Mestre cala su diversi aspetti, dall’altro sale nelle classifiche nazionali per morti di overdose e come prima piazza per eroina gialla. 

Certo non è facile vivere a Mestre, una città sempre più stretta da città con identità definite come Treviso e Padova e centri urbani di più piccole dimensioni come Mirano, Dolo, Martellago, Meolo e molti altri dove la qualità della vita è più alta.

Eppure ci sono tante, tantissime realtà cittadine che ogni giorno, nel loro tempo libero, fanno comunità, alimentano il capitale sociale, cercando di reinventarsi sempre affinché Mestre riesca aduscire da questo declino.

Idee e azioni che però raramente trovano nel Comune un interlocutore. 

Idee non mancano anche sul fronte della sicurezza, pensiamo al presidio fisso della polizia locale chiesto da numerosi cittadini di Via Piave e da una mozione del Pd in Municipalità di Mestre-Carpenedo che ha trovato un no secco dalla maggioranza di centrodestra, oppure al riutilizzo della ex Scuola de Amicis che, nonostante la richiesta di diversi comitati e associazioni di trasformarlo in un luogo per la città, ospiterà uffici comunali.

E quindi viene da chiedersi: si può salvare Mestre?

A metà dell’Ottocento gli amministratori locali decisero, in una grande opera di coraggio, di ridisegnare il Comune di Venezia. 

Fecero così una tripartizione funzionale individuando nella terraferma la zona industriale, nella Città Pesce la zona di sviluppo del terziario e infine nell’isola del Lido la zona dello svago e meta di un turismo ovviamente diverso da quello con il quale ci confrontiamo oggi. 

Percorso di modernizzazione che trovò come apice lo sviluppo di Porto Marghera.

Da allora nessuna amministrazione locale intraprese percorsi di questa portata, salvo un tentativo negli anni ’90 che diede un importante risultato: il Piano Regolatore Generale a cura di Leonardo Benevolo.

In tale piano si cercò di ridisegnare la città novecentesca, articolando funzioni e si passò alla città plurale. E gli interventi urbanistici si susseguirono in tutta la terraferma a partire dalle piazze cittadine. Poi ci fu il piano strategico dei prima anni duemila. Sono passati vent’anni quindi.

Veduta aerea da Mestre (Corso del Popolo) a Marghera (I Zona Industriale) (1958)

Oggi è necessario un profondo percorso per ripensare Mestre e la terraferma. Città come Padova e Treviso hanno saputo trovare una loro identità e un equilibrio, la terraferma veneziana no.

Non siamo più una città operaia, non siamo una vera città universitaria, non siamo mai diventati un centro di sviluppo del terziario, ma una città che raccoglie al suo interno realtà ed interventi importanti ma che si disperdono per una mancanza di un disegno complessivo che possa valorizzare il tutto.

Quello che potrebbe salvare Mestre sono azioni volte a darle quella agognata identità.

Un buon punto di partenza sarebbe l’elaborazione di un piano strategico per la rigenerazione urbana del territorio mestrino.

Il Comune dunque dovrebbe farsi carico di avviare una serie di tavoli nella quale da un lato rappresenterebbe il moderatore e coordinatore delle diverse realtà ed esigenze del territorio, passando poi ad avere un ruolo da esecutore nell’intervenire e facilitare le azioni dei soggetti più competenti.

Questo significa ripensare una riforma per la mobilità del territorio, ancora troppo lenta. 

Coinvolgere e sostenere le attività sane e produttive in un percorso che realizzi interventi continui in vari ambiti: produzione culturale, promozione del commercio di vicinato, percorsi di inclusione sociale. In questo modo sono attivabili processi di lotta al degrado e all’illegalità che vedano le comunità protagoniste del cambiamento del loro territorio.

Significa investire su operatori di strada, servizi sociali, case di cura. Investire sulla sanità pubblica e su psicologi di quartiere. Abbandonare l’idea che le politiche repressive siano l’unico modo per garantire la sicurezza nelle strade.

Come sempre, idee e risorse economiche ci sono, manca la volontà politica. Purtroppo però il tempo di trovarla sta scadendo.

 Immagine di copertina: Mestre “alle Barche”, di Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto

Mestre, chi sei? ultima modifica: 2022-11-15T10:34:00+01:00 da SARA ARCO
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