Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, un’anticipazione del suo intervento al dibattito online di Latinoamericana, che sarà possibile seguire in streaming, oggi 17 novembre, alle ore 20.30 (dettagli a fondo pagina).

Lula ha sconfitto Bolsonaro in una elezione che si è trasformata in un referendum sulla democrazia brasiliana, ed ha vinto guidando una coalizione che andava dalla destra moderata all’estrema sinistra, tenuta assieme dal collante dell’anti bolsonarismo. Di essa fanno parte i suoi seguaci più fedeli, esponenti dei movimenti sociali, e perfino banchieri ed economisti liberali.
La sua prima sfida, come presidente, sarà quella di tenere unito lo schieramento che lo ha appoggiato, anche se, dopo la sua vittoria, parte di chi ha votato Bolsonaro e il cosiddetto centrão, ovvero il raggruppamento conservatore composto dai partiti che non possiedono un orientamento ideologico specifico ma che hanno come obiettivo la vicinanza al potere esecutivo in modo che questo gli possa garantire vantaggi, hanno cominciato a dialogare con lui. Bisogna anche dire che questa non è una novità di queste elezioni, dato che il centrão già aveva appoggiato i suoi due governi e quello di Dilma. Ciò detto, sarà opportuno non dimenticare che, nonostante Lula sia stato eletto col 51 per cento dei voti, secondo un sondaggio il 46 per cento dei brasiliani mai lo avrebbero votato.
Se Lula avrà più di qualche problema sul piano politico, la sfida più grande lo aspetta comunque su quello economico, dove dovrà innanzitutto affrontare il debito pubblico lasciato dal suo predecessore, stimato dall’ex ministro delle Finanze Henrique Meirelles a circa quattrocento miliardi di reais, al cambio circa 78 miliardi di dollari.

Durante la campagna elettorale, Lula ha rivendicato l’azione svolta dai suoi precedenti governi ed ha fatto della nostalgia per quel radioso passato un motivo ricorrente della sua propaganda politica. Nonostante sia stato più volte richiesto dai giornalisti, Lula ha sempre evitato di entrare nei dettagli delle scelte di politica economica che avrebbe preso qualora avesse vinto. Stesso riserbo ha sempre osservato sui possibili nomi di uomini ai quali avrebbe affidato le sorti dell’economia brasiliana. Il suo scopo principale, ha affermato, era vincere. E solo dopo sarebbero venute le scelte in campo economico. Stante la situazione che si trova ad affrontare, Lula dovrebbe nominare un ministro delle finanze capace di riscuotere la fiducia di investitori e mercato, e in grado di delineare un piano credibile per finanziare le sue promesse elettorali.
Ancora in campagna elettorale, Lula aveva annunciato che avrebbe revocato il tetto di spesa fissato costituzionalmente, varato una nuova legislazione sul lavoro e avviata una riforma fiscale. E avrebbe rivisto le norme pensionistiche appena approvate. Il sostegno di rappresentanti del centro e persino del centro-destra, come l’ex-presidente Fernando Henrique Cardoso e di Henrique Meirelles, già presidente della Banca Centrale e ex ministro di Temer, lo ha spinto a addolcire i toni su questi punti.
Suoi obiettivi sono una nuova politica che valorizzi il salario minimo e porti correzioni alla tabella delle imposte sul reddito per gli individui, ampliando la fascia di esenzione per coloro che guadagnano fino a cinquemila R$, poco più di novecento euro. Punti centrali, la lotta alla fame e la riduzione delle disuguaglianze, dato che più della metà dei brasiliani – 125,2 milioni di persone – vive con qualche tipo di insicurezza e il 15 per cento della popolazione – 33 milioni di persone – affronta una grave insicurezza alimentare.
Lula si è sempre detto contrario alle privatizzazioni proposte da Bolsonaro, che voleva vendere aziende come Petrobras, l’Empresa Brasileira de Correios e Telégrafos, banche pubbliche ed Eletrobras. Nel caso di Eletrobras, già in fase di privatizzazione, l’intenzione è di “recuperare il suo ruolo di proprietà del popolo, preservando la nostra sovranità energetica e rendendo possibili programmi come Luz para Todos e una politica sostenibile di modestia tariffaria”. Il neopresidente ha detto che non venderà aziende pubbliche e che cercherà soggetti stranieri intenzionati ad investire in nuove attività del Paese.
Per quanto riguarda il problema ambientale, Lula si propone di sostenere lo sviluppo di un’economia verde inclusiva, basata sulla conservazione, il ripristino e l’uso sostenibile della biodiversità di tutti i biomi brasiliani. Vuole affrontare e superare il modello predatorio di esplorazione e produzione, e ha promesso di “porre definitivamente fine alla possibilità di estrazione illegale”. Durante la campagna, il Partido dos Trabalhadores ha proposto il coinvolgimento dei sindaci in un lavoro coordinato per preservare i biomi e perseguire coloro che praticano attività criminali. Nei propositi di Lula, un’azione collettiva dei paesi amazzonici per garantire le foreste e la biodiversità, mentre il suo piano di governo evidenzia una “transizione ecologica ed energetica”.
Lula con John Kerry al COP27 E con il cinese Xie Zhenhua
In questi giorni a Sharm el Sheik come invitato speciale, si è sottoposto a una girandola di incontri con i partner mondiali che ha messo fine alla lunga stagione di isolamento internazionale in cui Jair Bolsonaro aveva cacciato il Brasile. Ha offerto l’Amazzonia come sede della COP del 2025 dicendo che il suo obiettivo è una “deforestazione zero”, e ha mantenuto la promessa fatta in campagna elettorale annunciando la nascita di un Ministero dei popoli originari.
Ciò premesso, perdura la mancanza di chiarezza sulle sue future nomine ministeriali, per quanto avesse dichiarato che avrebbe cominciato a pensare al suo gabinetto al rientro dalla COP27. In una situazione di incertezza, hanno destato qualche preoccupazione le recenti uscite riguardanti la sua volontà di dare priorità alla spesa sociale senza per altro fissare regole fiscali a lungo termine. Una scelta che, nell’ottica di Lula, gli viene imposta dall’estesa area di povertà ereditata dal suo predecessore. Tenuto conto, poi, che è proprio da quell’area che gli è venuto il maggior sostegno nelle urne. E se il real e l’indice di borsa Bovespa avevano respirato all’indomani della sua vittoria, la sua recente uscita ha creato più di qualche preoccupazione negli investitori, desiderosi di regole ferme in ambito finanziario dopo gli esborsi a fini elettorali fatti da Bolsonaro con Auxilio Brasil.
Se si può parlare di una luna di miele tra l’ex tornitore tornato presidente e il mondo della finanza, essa è stata di breve durata. La luna è tramontata definitivamente quando Lula ha sostenuto che molte spese del governo, riferendosi in particolare al sostegno ai più poveri, avrebbero dovute essere viste come investimenti e non come interventi una tantum. E ha messo fortemente in dubbio il rispetto di un tetto di spesa costituzionale alle sue politiche, come del resto aveva già fatto il suo predecessore. A riprova di quanto sostenuto, i suoi collaboratori hanno fin da subito dato vita a colloqui con il legislativo con il fine di ottenere margini di spesa superiori al tetto, non escludendo un possibile intervento a modifica della Costituzione.
In tale situazione, gli investitori che chiedevano regole ferme per la spesa pubblica dopo i grandi esborsi di Bolsonaro durante la pandemia e la stagione elettorale, gli hanno voltato le spalle. E il real e l’indice Bovespa hanno perso oltre il tre e il quattro per cento. Un timore che è stato anche favorito dal fatto che quattro economisti affini al Partido dos Trabalhadores , tra cui l’ex ministro delle Finanze Guido Mantega, sono stati incaricati di occuparsi di bilancio nel team di transizione già al lavoro a Brasilia.
La crescita persistentemente bassa che ha caratterizzato l’ultimo decennio ha indebolito il gigante sudamericano, e Lula si trova ad operare in condizioni economiche diversissime rispetto agli anni in cui ha governato. La crescita reale del prodotto interno lordo pro capite è stata in media pari a zero dal 2011. E lontanissimo ricordo è il boom degli anni Sessanta e Settanta, quando il Brasile cresceva di oltre il sette per cento all’anno.
In un suo recente editoriale, il Financial Times sostiene che “il Brasile rimane un’economia relativamente chiusa” che “non è riuscita a sviluppare esportazioni competitive a livello internazionale al di fuori dell’agrobusiness e dell’industria mineraria”. E nonostante possieda un sistema fiscale “a livelli vicini alla media dell’Ocse, gran parte della spesa pubblica è deviata verso burocrati arruffati o a lubrificare le macchine politiche”.
La difficile situazione economica mondiale, sostiene il FT, potrebbe comunque riservare al Brasile grandi opportunità, per la sua abbondanza di cibo, combustibili e metalli e il fiorente settore delle energie rinnovabili. Tanto più che, “lontano dai luoghi di conflitto, ha tradizionalmente cercato buone relazioni con Stati Uniti, Cina, Europa e Russia.”

Visto il sensibile aumento della deforestazione dell’Amazzonia attuato dall’amministrazione di Jair Bolsonaro, e tenuto conto delle promesse fatte da Lula in campo ambientale, il Brasile potrebbe rapidamente aprirsi alla possibilità di investimenti ESG (Environmental, social, and corporate governance), e potrebbe anche spingere per una ratifica dell’accordo commerciale tra il blocco sudamericano del Mercosur, cui aderiscono Argentina, Brasile, Paraguay e Venezuela, con associati Bolivia, Cile, Perù, Colombia e Ecuador, e l’Unione Europea.
Ciò detto, la complessa situazione in cui Lula inizia il suo terzo mandato potrebbe risolversi in una grande opportunità a patto che la sua élite politica sia capace di esprimere una comune volontà di modernizzazione del Paese, rinnovando nel campo delle riforme politico economiche quella stessa unità che ha saputo esprimere nella sua battaglia contro Bolsonaro.
Da parte sua il presidente uscente ha goduto di un sostegno di potenti interessi economici, specialmente dell’agroindustria, dato che 33 dei cinquanta maggiori donatori della sua campagna rappresentavano l’agroindustria, un settore altamente industrializzato, responsabile di più di un quarto del PIL e del 48,3 per cento delle esportazioni totali nella prima metà del 2022.
Il settore agroindustriale è presente in gran parte del nord, in un settore importante degli stati del sud, in due potenti stati del centro-ovest, il Mato Grosso e il Mato Grosso do Sul. Buona parte dei benefici della crescita economica durante il governo di Bolsonaro è andata lì, dato che il settore agricolo ha tratto vantaggio da un real svalutato unito agli alti prezzi internazionali delle materie prime.
Pur avendo elettoralmente appoggiato Bolsonaro, l’agroindustria gode di un’ampia rappresentanza legislativa. Nel 2021, il Fronte Parlamentare Agricolo (FPA) – la potente “banca rurale” del Brasile – aveva come affiliati il 46 per cento della Camera dei Deputati e il 48 per cento del Senato. Mentre l’organizzazione si attende almeno 40 degli 81 seggi del Senato nel 2023, e prevede anche nuove adesioni, che potrebbero portare il totale a 45.
Quanto al Congresso brasiliano, esso vanterà tra i suoi deputati l’ex ministro dell’ambiente di Bolsonaro, Ricardo Salles, che nel 2018 è stato condannato per “irregolarità amministrative” mentre era capo dell’agenzia ambientale dello stato di San Paolo. Un mese dopo la condanna, Salles è stato nominato ministro dell’ambiente e la sua gestione è passata alla storia per l’aumento della deforestazione della selva amazzonica. Durante il suo mandato ha anche operato importanti tagli ai programmi di protezione ambientale, finché è stato costretto a dimettersi l’anno scorso a causa di accuse di partecipazione a un piano di traffico del legno.
Ciò detto, ne consegue che l’agroindustria giocherà un ruolo cruciale nella presidenza di Lula, soprattutto per quanto riguarda le politiche ambientali, la regolarizzazione del possesso della terra e la difesa dei diritti delle popolazioni indigene e quilombolas, composte da discendenti degli ex schiavi fuggiti dai loro aguzzini nel primo periodo della storia coloniale del Brasile. E se anche Bolsonaro, alla fine della fiera, andasse ad occupare una posizione marginale nella politica brasiliana a venire, quelle realtà che lo hanno portato al potere, per nulla scomparse, continueranno ad esercitare tutta la loro influenza e potrebbero dare molto filo da torcere al più vecchio nuovo presidente del Brasile.



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