Con Paolo Valentino parliamo delle ultime vicende tedesche, fortemente segnate dalla guerra in corso in Ucraina. Un conflitto che si riverbera con particolare impeto sulla nazione che più d’ogni altra in Europa ha sviluppato rapporti intensi con la Russia di Putin. Valentino ha una lunga consuetudine con la Germania, dove risiede scrivendo articoli e commenti per il Corriere della Sera. È autore di saggi. L’ultimo è L’età di Merkel, edito da Marsilio.

La questione della guerra in Ucraina è ancora molto centrale nella discussione pubblica in Germania. Ultimamente intellettuali come Wolf Biermann, Herta Müller e Peter Schneider hanno sottoscritto un appello in cui chiedono che la popolazione ucraina venga aiutata. Essere a fianco degli ucraini è posizione condivisa in Germania, anche nel mondo intellettuale?
In Germania è una posizione che ha raccolto notevoli sostegni sia a livello dell’opinione pubblica sia a livello delle élite intellettuali. C’è una sostanziale convergenza, che comunque si muove sempre in modo molto ragionato. Ad esempio, vi è tutto sommato un consenso nazionale sul fatto che bisogna dare le armi all’Ucraina, ma non tutte le armi che l’Ucraina vorrebbe. Precisamente, è necessario fornire le armi per la loro difesa. Fino a oggi i tedeschi si sono rifiutati di concedere i famosi carri armati d’attacco, per evitare un’espansione del conflitto.
Questi freni sono relativi, la Germania è il paese che, dopo la gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ha fornito più armi all’Ucraina, oltre che più aiuti dal punto di vista finanziario e umanitario.
Ovviamente i tedeschi non vorrebbero mai che i carri armati di loro fabbricazione fossero utilizzati in territorio russo per le ovvie ragioni che hanno a che fare con il passato dalla Germania. Non c’è dubbio che ci sia ormai un consenso generalizzato sul fatto che non bisogna lasciare l’Ucraina da sola, che bisogna aiutarli, perché l’invasione da parte della Russia è stata una violazione del diritto internazionale.
Il sostegno tedesco si estende anche all’aspetto umanitario. La Germania ha accolto ufficialmente più di un milione di profughi dall’Ucraina. Le grandi discussioni con cui questo è avvenuto non hanno a che fare con l’Ucraina, ma con la storia e con la ritrosia storica tedesca quando si parla di armi e guerre. Però, alla fine, è stato il paese che ha fornito più armi dopo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Si sono spesi molto.

Le scelte strategiche della Germania negli ultimi decenni rispetto alla Russia sono oggetto di critiche molto severe da parte di paesi alleati. La leadership tedesca dell’Europa ne viene intaccata? Hai affermato che la forza della Germania è quella di imparare dai suoi errori. È vero anche alla luce delle vicende di guerra in Ucraina? Come sta riorientando l’attuale governo l’asse strategico dei rapporti con la Russia?
In Germania c’è un grande ripensamento di tutte le scelte di politica estera e di politica economica degli ultimi vent’anni. Fondamentalmente, a cominciare dall’era di Gerhard Schröder, ma anche, con maggior forza, all’epoca di Angela Merkel.
Il modello di sviluppo economico tedesco, che ha avuto successo e che ha permesso alla Germania di diventare la seconda economia del mondo, è stato basato soprattutto su due elementi essenziali: una grande disponibilità di energia a basso costo dalla Russia e un grande collegamento di mercato con la Cina, dalla quale i tedeschi importavano componenti che venivano lavorati negli stabilimenti delle fabbriche tedesche, da dove uscivano prodotti poi rivenduti alla Cina. Prodotti di altissima qualità e ad altissimo contenuto tecnologico, dalle macchine industriali ai treni. Tutto questo ovviamente comportava una dipendenza politica. La Germania ha preferito ignorarla e adesso sta pagando un caro prezzo.
C’è un grande ripensamento dal momento in cui è apparso in modo palese che Putin usava l’energia come un’arma e che i cinesi, oltre a un mercato, coltivano ambizioni di egemonia politica ed economica. Ormai i cinesi non fanno più mistero di voler essere la superpotenza che sostituisce gli Stati Uniti come leader globale.
Sono stati messi in evidenza i punti deboli del modello tedesco che, dal punto di vista economico, ha fatto della Germania un paese molto ricco. La Germania è riuscita, ad esempio, a superare la crisi finanziaria degli anni 2008 e 2015 quasi indenne, ma era dipendente da Russia e Cina.
Tutto questo è emerso con la guerra in Ucraina e con l’atteggiamento sempre più aggressivo e sempre più egemone della Cina, e oggi sta portando a un forte ripensamento. Ci sono dei mea culpa politici molto significativi all’interno della socialdemocrazia. Lo stesso Presidente della Repubblica Steinmeier ha detto chiaramente che fu un errore fare il Nord Stream 2. La Germania è stata resa dipendente quasi al 77% dal gasdotto, non si sono diversificate le fonti di approvvigionamento.
Chi invece non ha fatto nessuna autocritica nelle poche occasioni in cui ha parlato, da quando non è più cancelliera, è stata proprio Angela Merkel, la quale continua a sostenere che le scelte di allora erano quelle giuste.
Paradossalmente la Germania oggi ha un problema più serio e grave dell’Italia. Anche l’Italia era dipendente dal gas russo, ma ha anche altre strade di approvvigionamento, grazie al rapporto con i paesi del Nord Africa, come l’Algeria. Per l’Italia è più facile riconvertire le proprie fonti di approvvigionamento che per la Germania.
Inoltre, la Germania deve ripensare anche il suo ruolo in Europa e nel mondo. Sul piano geopolitico, la guerra in Ucraina ha sostanzialmente spostato il centro di gravità politico strategico dell’Europa verso est, ridando spazio, voce e ruolo a paesi come la Polonia, come i Baltici, come i paesi nordici. Questi paesi in fondo possono rivendicare anche una sorta di primato morale, perché più di tutti ci avevano messo in guardia dai rischi di un rapporto molto stretto con la Russia, per esempio. Hanno una visione completamente diversa della sicurezza in Europa, più centrata verso est, non più fondata sul famoso rapporto franco-tedesco, un rapporto che sta andando lentamente in crisi. Le divergenze ci sono sempre state, ma Parigi e Berlino hanno sempre fatto in modo di superarle per lavorare insieme e essere il vero motore dell’integrazione europea. Tutto questo oggi è a rischio, il motore franco-tedesco non è più sufficiente. Esistono nuove ambizioni e nuovi protagonismi all’interno del concetto europeo. La Germania è costretta a un riaggiustamento delle proprie priorità strategiche. Ciò non significa che si sganci dall’Europa o sia meno europeista, ma è chiaro che deve ripensare il suo ruolo all’interno della costruzione europea.

Nel tuo libro “L’età di Merkel” sostieni che “Merkel ha difeso la libertà dell’Ucraina di scegliere la propria collocazione internazionale” e “la libertà di opinione e di stampa di fronte agli abusi di Putin”. Come ha agito per fare questo? E cosa ha lasciato la sua politica?
Quando Putin aggredì e invase la Crimea, fu l’unica in grado di avviare una trattativa diplomatica con la Russia, fra l’altro sollecitata da Obama, il leader dell’epoca.
Si era schierata apertamente prima con la rivoluzione arancione, poi con la rivoluzione di Maidan. Difese la libertà dell’Ucraina, si schierò, guidò la trattativa di Minsk, l’unica cornice diplomatica che abbiamo avuto fino all’aggressione del febbraio scorso. Al contempo, non fece veramente pagare un prezzo alto alla Russia. Ci furono le sanzioni di cui Merkel fu una delle protagoniste principali, ma non furono sufficienti a dissuadere Putin.
La responsabilità di Merkel, a mio avviso, consiste nel fatto che fino all’ultimo ha creduto al suo mantra del Wandel durch Handel, che il commercio avrebbe determinato un cambiamento all’interno della Russia, cosa che invece non è successa.
Non sono così sicuro che se Merkel fosse stata ancora al potere, Putin avrebbe fatto la scelta guerresca di invadere l’Ucraina. Quando Putin fece questa scelta vergognosa e irresponsabile c’erano condizioni su cui si è riflettuto. Un elemento importante era il vuoto lasciato dagli americani. Avevano lanciato un segnale di disimpegno con il loro ritiro dall’Afghanistan. Un altro elemento rilevante in quel momento era l’incertezza della situazione francese. Il terzo, e non ultimo, fu il fatto che l’uscita di scena di Merkel privava la politica europea di una protagonista di peso e, soprattutto, di una interlocutrice che con lui sapeva far valere gli argomenti giusti.
Oggi le scelte di Merkel sono viste criticamente, ma bisogna contestualizzarle nel momento in cui vennero fatte. Tuttavia, non c’è dubbio che non vide gli aspetti critici di una scelta che avrebbe portato la Germania a essere dipendente dal gas russo.

Le sanzioni stanno avendo un impatto duro sull’economia di tutti i paesi e di quella tedesca in particolare. Può essere anche l’occasione per rivedere il modello di sviluppo della Germania perché non si ritrovi nuovamente in situazioni critiche, che, ripetute, potrebbero avere conseguenze molto serie a lungo termine? Penso, innanzitutto, alla questione ambientale, energetica, dove la Germania aveva già compiuto scelte innovative. Ci si può aspettare ulteriori passi significativi in quella direzione da questo governo?
La scelta della Germania di sviluppare questa forte dipendenza dal gas russo, paradossalmente nasce dalla scelta ambientale. Proprio la decisione di chiudere le centrali nucleari, di privarsi dell’energia nucleare costrinse la Germania a far ricorso al gas russo, al carbone. Il paradosso è stato che hanno chiuso le centrali nucleari, ma la Repubblica Federale Tedesca è diventato uno dei paesi con maggiore grado di emissioni.
Sarebbe dovuta essere una fase di transizione, l’obiettivo era sviluppare quanto più possibile le fonti di energia rinnovabile fin quando queste avrebbero sostituito completamente quelle fossili. Ma il ritmo con cui le rinnovabili si sviluppano — per quanto la Germania sia all’avanguardia in Europa — non è così accelerato da poter garantire questo passaggio. Oggi c’è una discussione, per esempio, sulle ultime tre centrali nucleari ancora aperte che avrebbero dovuto essere chiuse entro la fine di quest’anno, perché saranno lasciate aperte ancora per almeno un anno. È necessario un approvvigionamento energetico adeguato di fronte al venir meno del gas russo. Non c’è dubbio che la Germania stia ripensando il suo modello economico e, soprattutto, dal punto vista dell’approvvigionamento, stanno costruendo a tempo di record i rigassificatori, per esempio, che permetteranno di importare il gas da argille e liquido dagli Stati Uniti o da altrove.
Stanno cercando anche la possibilità di avviare nuove condutture che portino il gas verso il nord dal sud. Si tratta di una transizione energetica con i fossili, sia pure fossili meno sporchi di quelli come il carbone. Sarà necessaria prima di arrivare alla completa decarbonizzazione dell’economia.

Scholz è stato criticato perché eccessivamente lento nel prendere decisioni, tanto che tu usi il verbo “scholzeln”, simile a “merkeln”. Confermi questo giudizio alla luce del suo operato in questi mesi di cancellierato?
Credo che il cancelliere stia lavorando meglio di quanto appaia dalla sua reputazione. Sta fronteggiando una situazione gravissima, mai successa a nessun altro cancelliere, molto più drammatica di tutte le crisi messe insieme vissute dalla Merkel, che pure erano state gravi. Si è ritrovato con la guerra in Ucraina, con la crisi energetica e alla guida di una coalizione di governo che per la prima volta ha tre componenti. La coalizione semaforo è variegata, complessa, la SPD, il Partito socialdemocratico, governa con altri due partiti, Verdi e Liberali, che hanno posizioni abbastanza distanti sull’economia.
Scholz ha dovuto fare un’opera di mediazione. Ha un problema comunicativo che sicuramente non l’aiuta. Non è carismatico, non comunica bene, a volte è arrogante, a volte non trova le parole. Sotto questo aspetto è un disastro. Ma, al netto di questo, sta facendo tutte le scelte necessarie in questo momento. Sull’Ucraina ha tenuto la barra e ha avviato il più grande riarmo della Germania dalla Seconda Guerra Mondiale, stanziando cento miliardi.
Sta guardando soprattutto alla Germania, offrendo così il fianco alla critica. Lo stanziamento dei famosi duecento miliardi – non ancora utilizzati – per parare il caro energia, è stato fatto dalla Germania in piena solitudine, senza nessun coordinamento con gli altri paesi europei.
Però è un Cancelliere che, ripeto, si è trovato alle prese con una situazione gravissima e alla guida di una coalizione politica altamente instabile che, nonostante questo, sta facendo una serie di scelte cruciali.

Nel tuo libro fai emergere non solo la cancelliera austera, severa, ma anche una figura spiritosa, che si sa divertire. Penso alla sua capacità di imitare i colleghi, o alla sua passione per il calcio. Questo suo lato “divertente” ha favorito anche la sua politica?
Questa sua capacità ironica è stata soprattutto privata, ma il suo debole per il calcio è servito sicuramente a renderla molto popolare. La Merkel esultava negli stadi, andava nello spogliatoio della nazionale facendosi fotografare con i giocatori ancora a petto nudo che avevano appena finito l’incontro senza alcun imbarazzo, era diventata una sorta di madrina della nazionale. Questo ha rafforzato la sua figura di madre della nazione, sicuramente l’ha aiutata nell’accettazione da parte dei tedeschi.
I tedeschi non sono mai stati punitivi nei confronti dei loro cancellieri, anche se ovviamente ci sono stati quelli più popolari e quelli meno popolari. Merkel è rimasta a lungo al potere, garantendo stabilità, benessere e un po’ addormentando i cittadini. La sua passione per il calcio ha sicuramente favorito la sua politica rendendola popolare, su questo non c’è dubbio.

Ti faccio una domanda un po’ impertinente, ma spero non non pertinente: so che il tuo è un libro a più voci, ma parlando in senso più lato si può dire che anche in questo caso il biografo si innamora dell’oggetto del proprio libro? Se è così, dov’è il fascino di Merkel?
Ma sì, c’è la sindrome di Stoccolma, per cui uno simpatizza col suo carceriere. Quando ho cominciato a scrivere questo libro il mio atteggiamento nei confronti di Merkel aveva un pregiudizio positivo. Vedevo questa figura che ha infranto ogni regola sia in Germania sia in Europa, una donna protestante divorziata dell’est che prende in mano un partito di cattolici dell’Occidente – quasi tutti sposati e tutti dell’ovest, tutti maschi – e lo guida per sedici anni.
Sicuramente attira simpatia. È una figura molto complessa e interessante, grazie alla sua biografia dell’est, che lei ha un po’ negato, tranne poi quando l’ha ripresa nell’ultima parte della sua cancelleria. Ciononostante, non ha governato come una dell’Est, ma come una tedesca, probabilmente anche più dell’ovest che non dell’est.
Un punto di vista europeo come il mio non può che dare un giudizio positivo di Angela Merkel. Nei suoi vent’anni al potere ha tenuto insieme l’Europa in una fase in cui non era affatto scontato che l’Europa rimanesse insieme. Questo secondo me è un suo grande, grande merito.
Credo comunque che il libro contenga anche una serie di spunti critici. Come tutti i libri, oggi potrebbe essere riscritto alla luce di quello che è successo dopo il passaggio d’epoca costituito dall’invasione dell’Ucraina – avrebbe bisogno di una riflessione maggiore. Dopo quanto è successo in Ucraina il giudizio su Merkel va, non dico rivisto, ma aggiornato. Ricordiamo che il libro è stato concluso nell’estate del 2021, mentre tutto è successo dopo il 24 febbraio 2022.
Non ho però difficoltà ad ammettere un pregiudizio positivo nella fattura del libro. È legato alla complessità, ma anche alla ricchezza di questa figura, all’improbabilità del tragitto di Angela Merkel.

Come valuti l’operato di Annalena Baerbock, come leader dei Verdi, da un lato, e come capo della diplomazia tedesca in uno dei periodi più complessi e più insidiosi del Dopoguerra?
Ha lasciato trasparire alcuni limiti. Si è conquistata meritatamente la nomina a candidato cancelliere dei Verdi nel 2021 dimostrando di sapersi muovere e di saper aggregare il partito intorno a sé. Si è anche rivelata più capace di manovra politica di quanto non fosse Robert Habeck, l’altro coleader, che pure è più carismatico di lei. A mio avviso, ha commesso errori abbastanza grossolani, come quello di arricchire il proprio curriculum, di voler per forza pubblicare un libro che poi è risultato essere stato scritto in gran parte da collaboratori che facevano copia-incolla. Questi infortuni tradiscono una serie di caratteristiche della sua personalità. È molto preparata, è quella che si definisce una secchiona, studia tutti i dossier, uno per uno, in modo molto efficace.
Trovo che da ministro degli Esteri da un lato stia facendo bene. Ho però alcune obiezioni. Ha posto una serie di barre molto alte che inevitabilmente non possono essere tenute. Ha detto: “Faremo una politica estera femminista.” Poi però, di fronte a quanto è successo in Iran, ci ha messo settimane prima di reagire in modo adeguato.
Quindi sotto questo aspetto, secondo me, ha dimostrato alcuni limiti. È chiaro che sono legati al tentativo di riconquistare spazio all’interno del Partito dei Verdi. Dopo le elezioni, la scelta di Habeck come vicecancelliere è stato un segnale preciso, perché era stata lei la candidata Cancelliera. Quando è diventato vicecancelliere, Habeck è diventato il numero uno del partito. Se ci sarà una discussione su chi sarà il candidato Cancelliere fra due anni, sicuramente questa volta toccherebbe ad Habeck. Non c’è dubbio però che lei stia tentando di profilarsi, forse nella speranza di riavere una chance di essere candidata Cancelliere.
Non ha nessuna delle cautele che ha preso il Cancelliere. Sulla Cina ha preso una posizione un po’ dura. Era contro la vendita di una quota del porto di Amburgo ai cinesi. È una posizione discutibile, a mio avviso, la Cina non è la Russia. Secondo la mia opinione personale ha ragione il cancelliere Scholz, non si può non avere un rapporto con la Cina. La Cina si sta avviando a essere la prima economia del mondo. I rapporti economici con la Cina sono fortissimi. Bisogna stare attenti a come si impostano, ovviamente, ma il distacco delle economie occidentali da quella cinese, secondo me – e lo dice anche il Cancelliere Scholz – è un errore. Bisognerà avere comunque un rapporto con i cinesi. Su questo Baerbock sta tentando di costruire una posizione sua, di confrontazione. Questo è uno dei motivi di scontro anche all’interno del governo.
Complessivamente è una donna che ha dimostrato di poter padroneggiare dossier molto difficili e molto complicati con grande abilità, in questo senso si è dimostrata assolutamente adeguata al ruolo di ministro degli Esteri.

Immagine di copertina: Berlino, 12 novembre 2022: il cancelliere Olaf Scholz in partenza per partecipare al G20 Summit a Bali.
Photo: Federal Government/Schmitz

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