Venezia è da sempre nella considerazione internazionale una delle città più affascinanti al mondo o forse la più affascinante. La sua struttura urbanistica cresciuta tra canali, rive e campi, nei quali la luce irrompe disegnando scenari fantasmagorici per gli occhi e la mente, i suoi palazzi sull’acqua, le meravigliose opere d’arte che la contraddistinguono hanno da tempo immemorabile attirato l’interesse dei visitatori e la loro meraviglia.
Eppure c’è un tesoro che gli stessi visitatori, ma anche i veneziani, hanno trascurato, e che invece rappresenta uno degli più esempi più fulgidi a livello mondiale di bene culturale ricco di conoscenze ed apportatore di saperi.
Si tratta dell’Archivio di Stato di Venezia, considerato unanimemente nel mondo scientifico internazionale fra i quattro archivi storici più importanti al mondo, insieme all’Archivio segreto vaticano – non inganni il nome, è aperto al pubblico -, e agli archivi di Parigi e Londra.
Il motivo fondamentale di tali apprezzamenti non è certo legato alla vastità metrica dei suoi complessi documentari- oltre cento chilometri lineari di estensione – ma al contenuto dei suoi documenti, prodotti nel corso di oltre un millennio all’interno di un’attività storico-politica che ha portato la città a dominare il mediterraneo, centro del potere tecnologico, culturale e politico fino al termine del rinascimento, ed a fornire esempi di buon governo non solo all’Europa ma agli stessi nascenti Stati uniti d’America.
Del resto la grande scuola storica francese delle Annales, con uno dei suoi massimi rappresentanti, Fernand Braudel, ha definito Venezia la capitale dell’economia-mondo europeo per tre secoli, fino al Rinascimento. Non abbiamo qui lo spazio per dettagliare l’acutissima teoria di Braudel, relativamente all’economia-mondo, ma ci basti sapere che Venezia fu sostituita da Amsterdam, poi da Londra e oggi, nel mondo globalizzato, da New York e forse Shanghai.
Di questi meravigliosi sviluppi vogliamo ora parlare, collegandoli alla particolare e innovativa prassi di produzione documentaria che la città seppe porre in atto.

L‘Alto Medioevo e l’XI secolo
Le lagune venete furono da tempi immemorabili abitate da pescatori che si erano mostrati in grado di piegare le risorse naturali alle loro esigenze di sopravvivenza e sviluppo. Non vi era però nel mondo romano una caratterizzazione giuridica particolare delle lagune rispetto al territorio, ma entrambi facevano parte della decima Regio romana, denominata Venetia et Histria.
Le invasioni barbariche non mutarono tale configurazione, e al tempo della guerra fra Goti e Bizantini fu Cassiodoro, prefetto pretorio di Vitige, re dei Goti, a inviare nel 537 una lettera famosissima ai tribuni marittimi veneziani per invitarli a portare derrate a Ravenna, assediata dai bizantini.
Nella sua missiva Cassiodoro descrive gli abitanti stessi e la loro vita quotidiana, li chiama mezzi uomini e mezzi pesci, per la loro abitudine di vivere in palafitte sull’acqua e li caratterizza come onesti, frugali, buoni, lontani dall’invidia e dalla febbre dell’oro che assilla tutti i popoli.
Il mito del buon selvaggio agisce chiaramente anche in Cassiodoro, come accadrà dopo di lui con i navigatori e gli scrittori alla ricerca delle isole felici.
Eppure anche Cassiodoro riconosce che gli abitanti delle lagune, circoscrivibili in un ambito costiero da Grado a Ravenna, avevano piegato la natura ai loro bisogni, imparando a produrre sale, elemento indispensabile per la vita di ognuno ed a navigare speditamente nel mare Jonio – così veniva chiamato all’epoca il mare Adriatico -, come nessuno.
Il primo riconoscimento di fatto di una distinzione fra le lagune e il territorio circostante si ebbe con l’itinerario che scelse Narsete, generale bizantino inviato in Italia per combattere i Goti, che nel 552. provenendo dall’Illiria percorse la laguna fino a Ravenna, evitando il territorio interno ostile.
Fu l’invasione longobarda del 568, che però sancì definitivamente tale distinzione, per cui si ebbe un territorio longobardo fino a Oderzo ed una laguna ancora sotto il dominio bizantino, che inviava da Ravenna capi militari e più tardi politici per governarla.
In realtà l’invasione longobarda non provocò la rescissione dei contatti commerciali fra le lagune e la terraferma, anzi essi paradossalmente si intensificarono, per le necessità dei duchi longobardi di ricevere aiuti in termini di armi e derrate dall’oriente più progredito, cui Venezia faceva riferimento.
La conquista d Padova nel 602 aumentò l’isolamento geografico della laguna, che si volse ancor di più verso Bisanzio, ma non fece venir meno il ruolo delle isole veneziane come punto nodale degli scambi fra Oriente e Occidente. Non era solo la posizione geografica a permettere questo ma, come aveva intuito Cassiodoro, la grande perizia marinara e artigianale degli abitanti lagunari, capaci di costruire navi e navigare nel mare aperto.
Questa sarà la forza di Venezia per tutti i secoli della sua storia. Spirito imprenditoriale, capacità manifatturiera, cultura, saranno all’origine del suo successo mondiale
Il primo governatore di cui abbiamo notizia nel 639-40 attraverso un’iscrizione nella chiesa di Santa Maria Assunta, è il magister militum di Torcello Mauricius, evidentemente capo militare che governava per conto di Bisanzio da un’isola sulla quale si erano rifugiati al tempo della invasione longobarda profughi da Altino, caduta insieme ad Oderzo nel 639 al tempo del re longobardo Rotari.
L’invasione longobarda condusse anche ad altri notevoli cambiamenti, con il trasferimento, prima provvisorio ma in breve definitivo, della sede episcopale da Aquileia, ormai in territorio longobardo, a Grado afferente all’area delle lagune.
L’azione della Chiesa di Grado si intreccerà profondamente con la politica dei duchi venetici, Bisanzio e la Chiesa di Roma ed avrà effetti duraturi sull’assetto lagunare.
Già nel 579 fu convocato un sinodo a Grado, cui parteciparono anche i vescovi delle zone longobarde, che volle affermare l’autonomia della Chiesa gradense da Roma e da Bisanzio, accettando lo scisma tripolitano, portato avanti da tre teologi.
Nel corso del secolo successivo fu la volta della controversia sullo scisma del monotelismo, che sosteneva la presenza in Cristo di due nature ma di una sola volontà, e Grado seppe manovrare abilmente per non guastarsi con Bisanzio, che sosteneva lo scisma , e con Roma che lo avversava.
In ultima analisi le controversie religiose accrebbero le capacità dei poteri locali, ancora sottomessi a Ravenna, di poter avere voce in capitolo anche politico sull’adriatico e sul suo controllo.
Fu la caduta di Ravenna a opera dei Longobardi nel 751 a costituire uno spartiacque. Ormai Venezia era libera da poteri sul territorio della penisola italiana, ed il suo legame con Bisanzio si affievoliva.
La presenza di un duca a Venezia, eletto dall’assemblea popolare, va fatta risalire agli anni 713-716, quando si era scatenata in Italia la rivolta contro il decreto sulla distruzione delle immagini sacre dell’imperatore bizantino Leone II Isaurico. Era indipendente Venezia? Giammai. I veneziani vollero sempre rimanere parte integrante dell’impero bizantino, che con le sue basi dalmate e basso-adriatiche continuava a garantire approdi sicuri al commercio marittimo.
Si trattava di una politica abile ed accorta che forse nel XX secolo, ci sia consentita la digressione, altri paesi avrebbero dovuto adottare, come anche oggi. La guerra distrugge i commerci e la prosperità.
Il centro del potere ducale si spostò in quei secoli da Torcello ad Eraclea Nova, voluta dall’imperatore Eraclio, e poi a Malamocco, con un’accentuazione sempre maggiore dell’ insularità della laguna
Va notato per inciso che i Longobardi pagarono duramente la loro aggressione a Ravenna, dal momento che il Papa, terrorizzato per Roma, chiamò i Franchi in suo aiuto, che posero fine nel 774 a tutto il regno longobardo.
Un nuovo nemico però si stagliava all’orizzonte.
Venezia agli inizi del IX secolo corse il rischio gravissimo di essere conquistata dai Franchi, ma la flotta bizantina la difese, permettendole di conservare quella autonomia che tanti frutti conoscerà in seguito.
Senza addentrarci nelle complesse vicende che portarono a tali esiti basterà sottolineare che da tale momento cronologico nessuno contesterà più la collocazione di Venezia quale enclave bizantina in Occidente e porto principale per lo stesso Occidente nel mare Mediterraneo
La sede del ducato fu trasferita nell’isolotto di Rialto e una nuova famiglia, i Parteciaci, tenne il dogado.
Venezia si avvia a diventare una potenza mediterranea non di trascurabile importanza.
Nell’840 al tempo del dogado di Pietro Tradonico venne stipulato un patto, di cui parleremo ancora, con l’imperatore del Sacro romano impero Lotario che aprì a Venezia la strada dei traffici occidentali. Venezia sapeva bene che qualsiasi accordo con i bizantini volto a facilitare il commercio veneziano nel mediterraneo sarebbe stato nullo se le vie d’occidente fossero rimaste chiuse. Del resto gli stessi bizantini cominciavano a d aver bisogno della flotta veneziana contro l’aggressività degli arabi, che avevano conquistato Creta, facendone avamposto delle loro scorrerie.
Ma cosa viaggiava nei due sensi fra oriente ed occidente? Il più arretrato occidente non poteva che esportare materie prime non lavorate, innanzitutto il legname, e poi gli schiavi,i il cui commercio era ancora fiorente. Nel X secolo da Venezia cominciano ad arrivare nel vicino oriente arabo metalli per costruire armi, tanto da provocare il risentimento bizantino.
Da oriente arrivavano merci di lusso, molto ambite nelle corti occidentali, quali spezie, gioielli, oro.
Non soltanto però e probabilmente non principalmente. Dall’Oriente arrivava il grano, coltivato nelle pianure bizantine ma anche nell’Egitto arabo.
In una parola Venezia nel IX secolo si pose come potenza marittima mediterranea, capace di trattare da pari a pari con i due grandi imperi del tempo, quello carolingio e quello bizantino e con lo stesso mondo arabo.
I mercanti veneziani erano presenti dappertutto, Si pensi che il viaggiatore iracheno in Sicilia Ibn Hawqual negli anni settanta del IX secolo denominava già l’adriatico golfo dei veneziani
Il X secolo vide il proseguimento e l’accrescimento dell’influenza adriatica veneziana.
Il primo luogo la politica dei dogi si rivolse verso l’Istria, e Capodistria dovette accettare un patto che ne limitò grandemente la sfera d’azione,
A sud poi fu distrutta definitivamente Comacchio, che si era resa protagonista di un notevole incremento dei suoi traffici, troppo per non impensierire Venezia.
Tali successi furono resi possibili dallo stato di anarchia verificatosi nel regno d’Italia per quasi un ottantennio susseguente alla dissoluzione dell’impero carolingio,
Ottone I, nuovo imperatore emerso nel 961 dal coacervo di lotte intestine di un impero che aveva ormai perso la parte franca, tentò di assoggettare Venezia, restringendo le sue possibilità di commercio, ma il suo tentativo fuori tempo fallì, e il nuovo millenni si aprì con la grande spedizione in Istria e Dalmazia del doge Pietro II Orseolo, L’Orseolo partì nel mille con una potente flotta e toccò Parenzo, Pola, Zara Traù Spalato, ingaggiando guerra solo con i pirati delle isole di Curzola e Lagosta.
Venezia diede dimostrazione della sua forza, ma non volle annettersi alcun dominio, politica che seguirà anche nei tempi a venire.
Del resto l’impero bizantino aveva bisogno di Venezia, come alleata e non città subordinata contro il nuovo potente nemico che si stagliava all’orizzonte: i normanni. Roberto il Guiscardo intendeva annettersi tutto l’adriatico e compì fortunate e sanguinose spedizioni in Dalmazia. La difesa del mare fu affidata in massima parte a Venezia e, stornato il pericolo, i bizantini premiarono Venezia nel 1082 con una crisobolla o bolla d’oro, riconoscendola come propria alleata.
Anche ad Occidente Venezia ottenne grandi successi. Enrico IV di Franconia Imperatore nel 1095 rinnovò il pactum con Venezia e le riconobbe per la prima volta l’enorme privilegio di essere l’unico porto cui dovessero rivolgersi i marinai dell’impero, ai quali era fatto inoltre divieto di trasportare le merci in terraferma, spettanza esclusiva dei veneziani.

I documenti
Che cosa è rimasto in termini di documentazione archivistica della splendida storia che aveva portato Venezia a diventare una potenza mondiale già nell’XI secolo? In quale modo sono comparabili i documenti archivistici veneziani con quelli di altre parti d’Italia e di Europa?
Occorre dire al riguardo che messa da parte la grossolana falsificazione del documento attestante la fondazione di Venezia del 421, mai avvenuta, il primo più antico nucleo documentario ci rappresenta l’attività delle istituzioni ecclesiastiche nell’area venetica e istriana per epoche molto arcaiche. Tutto l’Alto Medioevo europeo è caratterizzato da una presenza esclusiva di documentazione archivistica proveniente da istituzioni ecclesiastiche, quali monasteri, abbazie, chiese capitolari, che emettevano documenti come soggetti privati per amministrare il loro patrimonio.
Ben diversi sono però i primi nuclei documentari veneziani, espressioni della politica della chiesa venetica ed istriana in rapporto dialettico e spesso conflittuale con il dogado, la corte papale, l’impero bizantino.
Solo l’archivio segreto vaticano può vantare simili presenze.
Si pensi agli atti del concilio di Grado del 579, poco dopo l’invasione longobarda, dove fu discusso lo scottante tema dello scisma dei tre capitoli, conservati oggi all’archivio di stato di Venezia nei libri pactorum. Negli anni successivi altri sinodi furono convocati, citiamo quello di Marano del 590-591, in cui si dimostrò ancora forte la volontà autonomistica dei vescovi venetici ed istriani.
Tra il 579 e il secolo VIII prevalgono documenti di provenienza ecclesiastica, quali lettere del papa al patriarca ed ai vescovi, lettere del re di Francia ai vescovi e al patriarca di Grado, Fortunato
È necessario però a questo punto chiarire quali sono i contenitori archivistici che hanno permesso la conservazione di documentazione così antica. In realtà la Venezia dogale si dotò ben presto, almeno a partire dal IX secolo, di un’organizzazione scrittoria esemplata su quella pontificia, in grado di comporre documenti complessi, ma anche di conservarli nel tempo, attraverso trascrizioni che sostituissero i precedenti rovinati dall’uso,
Nulla di simile accadeva in Italia e in Europa in quegli anni. Lo stesso impero carolingio, e poi l’impero sassone, non si erano dotati di una cancelleria strutturata per produrre e conservare documenti, la sede del potere politico era itinerante e non vi era una città dove i tecnici della documentazione potessero agire. Solo le istituzioni ecclesiastiche potevano in qualche modo supplire a tali carenze ed i pochi documenti superstiti di quelle aree sono di provenienza ecclesiastica.
A Venezia no. La forza dello stato, frutto del legame storico con l’impero romano e di quello attuale con l’impero bizantino, portò ad organizzare un’adeguata forma di conservazione dei documenti pubblici attraverso la riunione nei secoli dei documenti più importanti in volumi che oggi noi chiamiamo cartulari.
Così non soltanto i documenti archivistici dei sinodi dei vescovi si sono conservati, ma veri e propri documenti di stato, uno dei lasciti più preziosi della Venezia altomedievale.
Così i preziosissimi pacta, di cui si è accennato, i trattati che Venezia aveva stipulato prima con gi imperatori carolingi e poi con quelli sassoni per assicurarsi le vie commerciali in occidente sono conservati come singole pergamene, ma anche rilegate in volume, perché agli inizi del XIII secolo la cancelleria ducale li riunì insieme, trascrivendoli e rilegandoli. Ma vi è di più. Il doge Andrea Dandolo, umanista e amico del Petrarca, ordinò di fare una compilazione di tali preziosi documenti e nacquero il liber blancus, con i trattati fra Venezia e l’Occidente ed il liber albus per i trattati con l’oriente.
Si pensi che l’archivio segreto vaticano conserva il suo primo originale dei registri vaticani a partire dal 1073 perché i precedenti sono andati perduti.
L’XI secolo vede anche la conservazione di lettere dispositive del doge, le celebri lettere ducali, con la concessione di privilegi a monasteri ed un placito-ossia una sentenza- a favore di una vedova, che fornisce un vivido spaccato delle istituzioni dogali all’epoca
Non manca all’Archivio di stato di Venezia l’altro fondamentale filone documentario del periodo medievale: i documenti privati.
In Italia e nei paesi latini, se si esclude il nord della Francia, la veridicità dei contratti fra privati, tale da poterli produrre in giudizio, fu assicurata dall’opera dei notai, figura di preparatori dei documenti privati emersi con funzioni incisive dal tracollo del mondo romano. Così acquisti, vendite, testamenti e altro per l’Alto Medioevo sono conservati su singole pergamene e provengono esclusivamente da istituzioni ecclesiastiche, per l’incapacità dei laici di assicurare la conservazione delle loro carte.
Negli archivi di San Zaccaria, San Giorgio e tanti altri troviamo documenti risalenti al IX e X secolo, in copia, e in originale per i secoli successivi.
Quando i notai acquisiscono la fede pubblica nel XII secolo sono i volumi notarili a rappresentare la meravigliosa e insostituibile fonte che ci permette di conoscere i rapporti commerciali, i rapporti famigliari, le disposizioni testamentarie che spesso sfuggono a codificazioni legislative ma sono regolati dalla consuetudine.

Venezia padrona del Mediterraneo
Agli albori del XII secolo Venezia aveva consolidato la sua posizione nell’Adriatico, potendo trattare da posizioni di forza con l’impero bizantino. Ma nuovi, grandi accadimenti erano alle porte, che le permetteranno di estendere la sua influenza in tutto il mediterraneo orientale ed anche,con modalità diverse, su quello occidentale.
Stiamo parlando delle crociate, che sconvolsero gli assetti di potere mediterranei, fornendo consistenti occasioni di intervento e guadagno non solo a Venezia ma anche alle altre città marinare italiane, in primo luogo Genova
Se i partecipanti alla prima crociata scelsero la via di terra per arrivare a Gerusalemme successivamente i crociati ebbero comunque necessità di essere aiutati dalle navi veneziane per tenere il porto di Giaffa, attaccato dai turchi. Insieme ai cavalieri di Goffredo di Buglione i veneziani assediarono Haifa, che cadde ben presto, portando con sé naturalmente molto bottino.
Negli anni successivi il contributo di Venezia allo sforzo crociato fu molto grande ed i turchi furono scacciati dai loro porti nel mediterraneo per molti anni.
Venezia accrebbe la sua influenza anche grazie alla sua enorme, per il periodo, capacità di costruire navi nel suo splendido arsenale e di fornire legni, metalli, armi alle forze crociate.
Eppure non erano gli ingrandimenti territoriali gli scopi che Venezia si prefiggeva, bensì preferiva disporre di porti d’appoggio solidi e diffusi sulle coste per i suoi commerci. Il principale luogo di commercio era Costantinopoli, dove i commercianti veneziani si giovavano di un quartiere tutto proprio, il quartiere di Pera, e di forti esenzioni fiscali.
Naturalmente tale situazione non poteva non provocare invidie, fra i commercianti bizantini, genovesi e pisani e, nel 1171, l’imperatore Manuele Comneno, in una notte, espulse i commercianti veneziani da Bisanzio utilizzando la violenza più improvvisa.
Occorre dire che la risposta veneziana fu debole e incerta e il doge Vitale Michiel II si dimostrò incapace di reagire e fu ucciso in un tumulto a Venezia. Apparve sempre più importante coadiuvare i dogi con patrizi eminenti e sapienti, per meglio dirigere la politica di quello che era divenuto un impero commerciale.
A ogni modo Venezia, nell’ultimo scorcio del secolo, rinsaldò la sua posizione rispetto a un impero bizantino quasi esangue, ed in occasione della quarta crociata- 1202-1204- fece valere la forza tecnologica, produttiva e militare da essa acquisita, conquistando la stessa Costantinopoli.
I crociati avevano da tempo abbandonato le vie di terra per arrivare in Palestina e si rivolsero a Venezia per ottenere oltre duecento navi per il trasporto e oltre cinquanta galere da combattimento.
Uno sforzo che solo Venezia in Europa poteva sostenere.
Come sappiamo i crociati non furono in condizione di pagare il prezzo pattuito e i veneziani ottennero che si sdebitassero conquistando Zara, che si era ribellata a Venezia, e poi dirigendosi sulla stessa Costantinopoli, che fu presa e saccheggiata.
Venezia ottene i tre ottavi della città e grandi privilegi sui porti del Mediterraneo orientale utili per il commercio.
Dopo la quarta crociata il dominio marittimo di Venezia era ormai incontestato.
Eppure i veneziani si rivolsero ancora a est lungo le vie carovaniere che portavano all’impero dei mongoli, che avevano sottomesso la Cina. Gli scambi con i khanati del mar Nero furono ampi e continuati nel tempo, al di là dell’episodico viaggio dei Polo nel cuore della Cina.
I documenti che testimoniano la forza imperiale di Venezia e la sua altissima capacità tecnologica già nell’XI secolo, unica in Europa, sono molteplici all’archivio di stato di Venezia.
In primo luogo per il periodo più antico le lettere ducali, conservate in quello che nel Quattrocento sarà dichiarato archivio segreto,
In secondo luogo gli atti notarili, che a Venezia consentono di seguire lo sviluppo dei commerci già dall’anno 1021 in anticipo rispetto alle altre città italiane. Va notato al riguardo che spesso i mercanti veneziani trovavano difficile conservare le carte attestanti propri diritti ed obblighi e per questo ricorrevano all’istituto della commendacio, ossia l’affidamento a soggetti terzi, normalmente monasteri, poi conventi ed altri organi ecclesiastici, delle carte stesse.
Per questi motivi negli archivi delle corporazioni religiose a quali San Zaccaria, San Giorgio Maggiore e tanti altri sono stati conservati documenti organici di importanti famiglie dedite al commercio, quali i Da Molin, Stagnario, Mairano.
Quando il notaio acquisirà la fede pubblica sarà il notaio stesso ad assicurare la conservazione degli atti fino alla fine della repubblica ed oltre.

Venezia nell’età comunale
Anche a Venezia si evidenziò nel Basso Medioevo l’incapacità dei sistemi istituzionali monarchici di gestire la complessa realtà di uno stato in grande espansione, come era accaduto in altre città dell’Italia centrosettentrionale. I dogi, per quanto formalmente eletti dall’assemblea popolare, erano espressione di ristrette oligarchie e tendevano a perpetuare il loro potere familiare associando alla loro funzione i figli.
Accanto a dogi di alto profilo vi erano stati casi di incapacità ed interesse privato, per cui, come si è detto in precedenza, nel 1171 si rafforzò il consilium sapientium, elettivo, di cui abbiamo già notizia trent’anni prima, per coadiuvare il doge.
Sarà l’antesignano del maggior consiglio, assemblea di patrizi che dal XIII secolo governerà lo stato, insieme ad altri organi nati dal suo interno.
Il doge, pur conservando un potere politico non indifferente, fu costretto a tener conto in modo non eludibile delle decisioni del maggior consiglio, e Venezia si trasformò in un comune, sebbene con caratteristiche particolari dovute alla sua storia ed al legame con il mondo antico come reinterpretato dall’azione dell’impero bizantino.
A Venezia il comune non nacque dalla lotta contro il signore feudale o il vescovo a capo delle città bensì dall’allargamento degli organi del potere a gruppi di patrizi sempre più ampi e professionalizzati, che integrarono un ordinamento costituzionale in realtà mai messo per iscritto in una singola costituzione, come del resto avverrà più tardi in Inghilterra
All’interno del maggior consiglio nel corso del duecento fu selezionato un gruppo più ristretto di patrizi, denominato consiglio dei pregadi, poi nel quattrocento senato per influsso umanistico. Lo scopo fu quello di poter prendere decisioni e mandarle ad esecuzione in modo più spedito e certo di quanto poteva fare il maggior consiglio, organo troppo numeroso e talora pletorico.
Il senato divenne il centro del potere politico veneziano, la quintessenza dell’azione di uno stato che si era lasciato alle spalle l’autorità di uno solo e non intendeva in alcun modo ricadere in domini monarchici, come accadde in tante città italiane all’epoca delle signorie.
Tutta una serie di istituti di salvaguardia furono assunti per impedire il risorgere del potere esclusivo del doge.
Il doge stesso non poteva tenere udienza, né compiere alcun gesto politico se non accompagnato da sei patrizi, costituenti la signoria, con funzioni di controllo.
La signoria divenne poi il collegio, integrata dai savi ed altre magistrature, con funzioni di preparazione delle delibere da sottoporre al senato e di intervento esecutivo.
Nel 1310 nacque un ultimo, grande organo di direzione della Repubblica, il consiglio dei dieci, incaricato di vigilare sulla sicurezza dello stato, per impedire che assumesse vesti signorili e tiranniche.
Queste quattro magistrature, insieme ai capi dei quaranta, la quarantia, supremo tribunale in materia civile e penale, salvo le competenze del consiglio dei dieci che solo poteva comminare condanne a morte, costituivano il centro del sistema repubblicano, raffigurate plasticamente nella basilica di san Marco con le sue cinque cupole.
La documentazione che questi organismi hanno prodotto nel corso della propria attività appare di un interesse assolutamente unico a livello mondiale.
Si pensi in primo luogo alle deliberazioni degli stessi organismi, che venivano trascritte in registri pergamenacei da valenti notai. Sono rimaste conservate le serie integrali di tali deliberazioni dalla seconda metà del secolo XIII per il maggior consiglio e dal 1332, per il senato, entrambe le serie fino alla fine della repubblica. I primi quindici registri di deliberazioni del senato sono andati combusti nell’incendio di palazzo ducale del 1574. Anche il consiglio dei dieci annovera la serie continua delle sue deliberazioni fino al 1797
Vi si possono leggere cinquecento anni e oltre di storia europea e mediterranea, spaziando dalle rotte commerciali ai beni scambiati con i più lontani porti, dalle guerre agli accordi politici con i poteri delle diverse epoche, ai costumi, alle culture, alle mentalità delle più diverse popolazioni. I primi registri di deliberazioni del senato sono stati oggetto di trascrizione da parte dell’Istituto veneto di scienze lettere ed arti e è ora in corso uno studio, cui collabora chi scrive, per la lettura automatica con mezzi informatici degli oltre mille registri esistenti, creando una banca-dati di una ricchezza conoscitiva difficilmente oggi valutabile.
Un’altra serie archivistica di inestimabile valore all’interno del fondo del senato è quella dei dispacci degli ambasciatori e residenti che da ogni parte d’Europa e dall’impero ottomano informavano il senato stesso degli accadimenti di interesse della repubblica, e lo facevano con cadenza spesso settimanale.
Nel XIV secolo i dispacci provengono esclusivamente da Costantinopoli, poi dal secolo successivo da Parigi, Londra. Madrid e da tutte le altre capitali europee, compresa la Moscova, oltre naturalmente che dall’impero ottomano.
Si tratta di una fonte ricchissima non semplicemente di informazioni politiche, bensì anche di considerazioni sull’organizzazione sociale ed economica dei territori trattati, sulla mentalità e cultura dei loro abitanti, sulle leggi penali e civili che li regolavano.
Per oltre trecento anni l’Europa che si andava formando, e che conoscerà nella rivoluzione francese la sua conclusione ed il suo nuovo inizio, viene analizzata con la metodica lente degli ambasciatori veneziani, uomini di cultura e di ampie conoscenze in grado di prevedere sviluppi che oggi, a cose fatte, possiamo noi valutare.
Si pensi alle osservazioni sulla società mussulmana osservabile ad Istanbul e nell’impero ottomano, si pensi ai dispacci da San Pietroburgo, capitale di una Moscova oggetto misterioso per le classi dirigenti europee.
Mi piace citare tra i tanti il dispaccio che il residente veneziano a Londra inviava nel 1776 a Venezia informando che tre mesi prima era accaduto un evento inusitato ed incredibile come la dichiarazione di indipendenza americana, che il residente trascrive integralmente nel suo dispaccio, aggiungendovi il suo parere sui fatti. In effetti, scrive, i coloni americani hanno mostrato un grande coraggio ribellandosi, ma la corona inglese non potrà fare altro che schiacciarli senza pietà. Era impossibile in quel momento rendersi conto della grandezza dell’evento storico cui si stava assistendo.

Venezia nell’età moderna
Tra la fine del trecento e l’inizio del quattrocento Venezia acquisisce il controllo assoluto del mediterraneo orientale. Si moltiplicano le sue piazzeforti, quali Modone e Corone, Candia, Corfù, Lepanto, la Dalmazia insieme a innumerevoli isole egee, tra cui Santorino, Lemno, Stampalia.
I turchi sono inoffensivi perché sconfitti dai mongoli di Tamerlano e poi minati da lotte interne. Costantinopoli ha bisogno dell’aiuto veneziano.
Questa felice stagione dura poco, ben presto gli ottomani si riprendono e conquistano Costantinopoli nel 1453.
Una nuova storia ha inizio, legata anche alla sconfitta veneziana ad Agnadello nel 1509, che blocca l’espansionismo veneziano in terraferma.
Quali le ricadute istituzionali e documentarie?
I grandi consigli nati nel duecento e nel trecento non mutano, e rimarranno integri fino alla fine della repubblica.
Si moltiplicano invece gli officia, organismi burocratici intermedi.
Anche la repubblica di Venezia nel XV secolo entrò nella fase denominata dagli storici degli stati fiscali-militari. La conquista della terraferma veneta e le lotte contro i turchi costrinsero la Serenissima a trarre risorse aggiuntive dal proprio territorio, attraverso metodologie in passato sconosciute. Nascono così i catasti, per l’accertamento contributivo di ogni singolo cittadino, compreso il doge. Va rilevato che nei secoli precedenti Venezia era vissuta attraverso imposizioni indirette, dazi, gabelle, pagamenti per servizi. Quando se ne rilevava la necessità si imponevano imposte a fondo perduto, cui non corrispondevano rimborsi.
Già nel trecento comunque sorsero donativi forzosi, cui si legavano interessi, facendo nascere un vero e proprio debito pubblico, come negli altri stati d’Europa. Il catasto veneziano, la cui prima levata è del 1463, di quasi quarant’anni successivo a quello fiorentino, fu un catasto descrittivo, come tutti quelli degli altri stati italiani, Il centro della rilevazione era il singolo contribuente, di cui si descrivevano i beni e la capacità contributiva, ma non vi erano strumenti topografici, ossia mappe che descrivessero i singoli territori e tutti i contribuenti in quel territorio, come avverrà a partire dal XVIII secolo in Lombardia.
A ogni modo il catasto che è rimasto conservato quasi integralmente all’archivio di stato di Venezia è un potente strumento di conoscenza per oltre tre secoli degli abitanti in Venezia, delle attività economiche in essa sviluppate, dei cambiamenti di proprietà nel tempo.
Va chiarito un punto. Il dominio di Venezia sulla terraferma, come del resto quello degli altri stati in tutta Europa, non aveva nulla a che fare con la forza dello stato centrale sviluppatosi solo partire dall’età napoleonica.
Ai territori le città dominanti, come venivano chiamate, lasciavano ampia autonomia fiscale, amministrativa, giudiziaria. I territori stessi continuavano a reggersi secondo i propri statuti, amministravano la giustizia attraverso i propri tribunali ed il diritto da essi praticato, componevano le vertenze secondo l’agire dei poteri locali.
Era ammesso l’appello al tribunale della quarantia, ma solo pochi potevano permetterselo I
In casi eccezionali, quali le condanne a morte, interveniva per tutto lo stato il consiglio dei dieci.
Per questi motivi il catasto veneziano si riferiva ai soli abitanti di Venezia e della gronda lagunare, lasciando ai territori libertà di organizzazione fiscale.
In quei secoli le spese profuse per la difesa e gli eserciti di mestiere furono notevoli, ed ancor di più si accrebbero con la conquista turca di Costantinopoli e la prima vera sfida al potere veneziano nel mediterraneo .
La forza dello stato veneziano, innervato dall’etica della responsabilità propria dei patrizi che la governavano, agì anche per combattere il terribile flagello che devastava le popolazioni in ogni parte del mondo: la peste.
Noi sappiamo che dal 1348 la grande peste proveniente dall’Asia a aveva decimato, in poco tempo, la metà degli abitanti in Europa, ed altrettanti, se non di più, lungo le coste del Mediterraneo meridionale. Ma esso non fu un episodio isolato. Nei decenni e secoli successivi nuove ondate provocarono morte e distruzione.
Fu Venezia per prima, agli inizi del quattrocento, a individuare una difesa contro tanto dolore e, pur non potendo conoscere le cause batteriche del morbo, stabilì un sistema di quarantena, che rendesse possibile isolare chi proveniva dall’esterno in Venezia perché potenzialmente contagiato.
Nacquero così i lazzaretti, che ancora oggi è possibile visitare dopo il restauro compiuto da benemerite associazioni di volontariato, che diminuì il contagio nei secoli a venire in modo davvero notevole, soprattutto se paragonato con la strage che esso portava nei territori dell’impero ottomano.
Non abbiamo lo spazio in questo ambito per parlare distesamente della grande arte veneziana rinascimentale e barocca, cui ben poco del resto potremmo aggiungere in questa sede. Basti dire che all’archivio di stato di Venezia è presente importante documentazione sui singoli artisti, ricercabile presso gli archivi delle le istituzioni committenti, quali chiese, scuole, corporazioni.
Alla fine del Cinquecento in qualche misura si conclude la parabola di Venezia quale grande potenza mondiale. Al centro dell’economia- mondo troviamo l’Olanda, la Zelandia, l’area intorno Londra e l’East Anglia, ormai in grado di costruire navigli più tecnologicamente avanzati e di produrre beni manifatturieri, quali pannilana e metalli a costi decisamente inferiori a quelli veneziani.
Sulle cause di un tale spostamento di potere molto è stato detto dagli storici. A ogni modo è ormai pacifico che non furono gli alti salari veneziani, che in realtà non esistevano, a svantaggiare la sua manifattura, bensì la forza degli stati in appoggio alle proprie produzioni, volti a favorire il loro commercio internazionale, contro cui Venezia non poteva competere. Il Seicento è il secolo del ritorno alla terra da parte dei patrizi possessori di capitali, insieme anche all’investimento di forti somme per sostenere il debito pubblico, sottraendo quindi denaro alle attività produttive.
Nel secolo XVIII si assiste ancora alla lenta decadenza veneziana, e a una presa di coscienza di parte della classe dirigente e della cultura dei problemi intervenuti. Si pensi ai pittori vedutisti che sezionano Venezia in mille forme, tutte partecipi della sua immobilità.
I consilia nati nel duecento rimangono ancora l’architrave della repubblica, ed ad essi si aggiungono istituzioni di grande spessore nella città a cominciare dalla scuole, Le cinque scuole grandi, e la miriade di piccole, altro non erano che associazioni devozionali, alle quali partecipava con funzioni di dirigenza il ceto dei cittadini, distinto dai patrizi, che poteva esprimere se stesso e la sua volontà di concorrere alla gestione della repubblica. Ricordiamo che il termine scuola deriva dall’etimo latino schola, ossia corporazione. Gli archivi delle scuole grandi sono conservati all’archivio di stato di Venezia e rappresentano documentazione insostituibile per la conoscenza dello svolgersi della vita cittadina. Altrettanto può dirsi per le altre associazioni e corporazioni, i cui statuti, detti mariegole, presentano anche aspetti di rilevanza artistica, con splendidi frontespizi ornati e miniati.

Il mito di Venezia sede del governo perfetto
Venezia nei secoli è stata indicata come lo stato che ha saputo fondere in modo insuperato le diverse forme di governo, quali indicate da Aristotele, riuscendo ad assicurare beni civici altrove assenti, come la concordia civile, la stabilità del governo, la libertà.
Aristotele, riprendendo Platone, aveva censito tre forme principali di governo: la monarchia, l’aristocrazia, la democrazia. Ognuna di esse portava in sé la sua degenerazione: la monarchia poteva evolvere in tirannide, irrispettosa di qualunque diritto dei cittadini, l’aristocrazia in oligarchia, il governo dei pochi, interessati a spartirsi beni e poteri senza alcun senso dello stato e la democrazia in demagogia, caratterizzata dalla sempre crescente richiesta di beni e favori da parte dei cittadini stessi, a loro volta sollecitati dagli esponenti politici, alla continua ricerca del consenso.
Sono mirabili le parole di Platone nella Repubblica quando descrive questa perniciosa evoluzione, per la quale si dà luogo a uno stato di anarchia che a sua volta sfocia in tirannide.
Già nella cronaca di Martino da Canal, scritta fra il 1265 ed il 1275 Les estoires de Venise, compare l’elogio del governo veneziano che assicura concordia civile attraverso un bilanciamento dei poteri ben meditato.
Il maggior consiglio, il senato, poi il consiglio dei dieci, insieme al collegio ed alla quarantia si mostravano in grado di assicurare una partecipazione corale all’andamento della città, respingendo gli ambiziosi.
Nel secolo successivo Enrico da Rimini magnifica la realtà istituzionale veneziana, e così faranno gli umanisti fiorentini, a cominciare da Poggio Bracciolini.
Machiavelli è un po’ scettico rispetto a queste lodi, quando osserva che la mancanza di un vero conflitto nella società civile alla lunga potrebbe addormentare gli spiriti ed impedire lo sviluppo, mentre Guicciardini considera Venezia il modello di ogni saggia costituzione.
Anche Donato Giannotti, uomo politico fiorentino, e Gasparo Contarini, eminente patrizio e cardinale veneziano, celebrano l’eccellenza del governo misto della Repubblica
Occorre riconoscere comunque che la capacità delle istituzioni veneziane di passare attraverso la bufera del XIV e XV secolo, che vide la comparsa delle signorie, fu unica nella penisola italiana, mostrandosi in grado di spingersi oltre la prima età moderna.
Non mancarono, e non potevano mancare, è vero, tentativi di rovesciamento delle istituzioni ma la risposta delle stesse fu immediata ed estremamente decisa. Così la congiura del 1310 delle famiglie Baiamonte-Tiepolo, fu repressa nel sangue e fu creato un nuovo organismo, il consiglio dei dieci, con il precipuo scopo di difendere lo stato da chiunque volesse attentare alla sua costituzione.
Analogamente nel 1355 la congiura promossa dallo stesso doge Marin Faliero fu stroncata, il doge decapitato e la testa mostrata al popolo dalle logge di palazzo ducale. Molti congiurati perirono perché accusati di complicità tra i quali il grande architetto che aveva ristrutturato palazzo ducale, Filippo Calendario.
Non vi furono a Venezia episodi quali il tumulto dei Ciompi a Firenze né l’avventura del Savonarola.
Nel momento più difficile della propria storia, dopo Agnadello, quando Venezia perse in un attimo tutta la terraferma rifulse l’attaccamento delle città perdute a Venezia, che in breve tempo riconquistò il suo stato.
Quali le ragioni che gli storici hanno addotto per tentare di spiegare un governo così equilibrato e compatto e tanto protratto nel tempo?
In primo luogo si è fatto riferimento alla condizione geografica della città, prima del XV secolo confinata nelle sue isole, la mancanza di un retroterra avrebbe condotto le famiglie patrizie a concentrarsi sul commercio, per il quale era necessaria la pasce interna, senza dover combattere la grande signoria fondiaria.
In secondo luogo l’articolazione istituzionale dello stato, che da un lato, come si è visto, bilanciava i poteri in modo che nessuno potesse prevaricare sugli altri, dall’altro coinvolgeva gli strati cittadini e popolari attraverso le scuole, grandi o piccole, le corporazioni di mestiere, le associazioni professionali.
Inoltre è stata sottolineata la capacità del ceto patrizio al potere di acquisire consenso grazie alla sua coesione ed al suo senso dello stato, che lo portava ad occuparsi dei bisogni dell’intera popolazione senza indulgere in lotte interne che avrebbero creato fazioni.
In effetti anche quando la grande ricchezza legata al commercio venne meno non fu scalfita la compattezza della società veneziana, mostrando come essa non fosse legata semplicemente a situazioni transitorie.
Si pensi che nel 1786 per la preparazione della costituzione americana giunsero a Venezia tre rappresentanti degli Stati uniti, Benjamin Franklin, Thomas Moore, Thomas Jefferson proprio per studiare la costituzione veneziana e trarne insegnamento per la loro costituzione, il cui obiettivo massimo era assicurare la libertà dei cittadini all’interno di uno stato democratico.
Tutto bene dunque? Il miracolo veneziano non aveva lati deboli e la sua fine deve essere addebitata solo alle armate napoleoniche?
Non possiamo far nostra una conclusione così semplice. In realtà Venezia a partire dalla fine del rinascimento si isolò progressivamente dalle più avanzate esperienze politiche e culturali d’Europa e giunse all’appuntamento con l’illuminismo e la rivoluzione francese del tutto incapace di parteciparvi. Non mancarono fra la classe dirigente veneziana esponenti anche di primissimo piano, che guardavano con interesse ai nuovi accadimenti in Europa, ma non vi fu un illuminismo veneziano, comparabile con quelli milanese e napoletano, né riforme.
Certo non fu un caso che padre Ferdinando Facchinei stampasse proprio a Venezia nel 1765 la sua confutazione delle tesi di Beccaria.
Le tesi del Facchinei erano tragicamente bizzarre e forse vale la pena riportare quelle sulla tortura. Il monaco vallombrosano sosteneva che nei paesi in cui la tortura era stata abolita, segnatamente l’Inghilterra, non si aveva la certezza della colpevolezza del reo, che pur si condannava sulla base di altre prove, perché lo stesso reo non aveva confessato.
Non sfiorava la mente del Facchinei la circostanza che sotto tortura il malcapitato poteva confessare qualsiasi cosa. Ma tant’è.
Comunque gli inquisitori di stato, organo esecutivo del consiglio dei dieci, il 27 agosto 1764 avevano già emanato una sentenza di proibizione della diffusione dell’opera, ritenendola pericolosa per la stabilità della repubblica.
In campo archivistico vi furono segni di razionalizzazione. Già nel seicento il senato si era posto il problema dell’affastellarsi delle deliberazioni, proprie e degli altri organi costituzionali, talmente difficili da recuperare da rendere la giustizia un semplice arbitrio. Nel Settecento sorsero così il libro d’oro delle leggi e altre compilazioni per sfoltire un universo normativo ormai ingestibile.
Non siamo in presenza di un nuovo diritto, come sarà il codice napoleonico, ma solo del recupero del diritto che la Serenissima aveva creato in secoli di attività. Ma il tempo era ormai passato per questi tentativi di semplice aggiustamento.
L’età napoleonica e la prima restaurazione furono tra i periodi più tragici della storia di Venezia e di tutto il Veneto
I documenti archivistici attestano per quegli anni la fame, la miseria e le epidemie in misura intollerabile, ben superiore alla vicina Lombardia.
La storia di questi ultimi due secoli ancora una volta trova nell’archivio di stato di Venezia il suo fondamento, e aspetta in gran parte di essere studiata.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!