Maurizio, Dino, Michele, Mirko, Giorgio, ma anche Ambra, Sergio, Alvise…: sono loro i protagonisti, anzi i fierissimi autori della mostra fotografica “Gli ultimi Arsenalotti”, organizzata dall’Associazione Culturale Kokoton (parola giapponese che significa “piccolo caos”) in collaborazione con il Centro Studi Arsenale e con l’adesione della Municipalità di Venezia.
Grande folla sabato tre dicembre nella piccola sala della Kokonton, la galleria diretta da Atsuko Suehiro, a Castello 1771, ovvero nel cuore di via Garibaldi, il luogo più adatto per celebrare una memoria così importante per Venezia.
Questa mostra nasce attraverso la raccolta di fotografie nel quartiere, che poi si è estesa a tutta la città, visto che gli Arsenalotti, che erano migliaia, non vivevano solo a Castello, nei pressi dell’Arsenale,
ci dice Pierandrea Gagliardi, responsabile dell’Associazione: un’iniziativa che dallo scorso 2021, attraverso il passaparola tra abitanti sensibili, ha fatto sì che agli organizzatori giungesse una grande quantità di materiale, foto, interviste, disegni, pubblicazioni, testimonianze di quanti hanno lavorato in quello che è considerato il più antico cantiere navale d’Europa, con il sostegno scientifico di Pasquale Ventrice. Così, fieri della memoria, i veneziani ricordano l’Arsenale, che nel corso di quasi mille anni ha scandito la vita della Serenissima, tra lavoro, commerci, guerre, arti e competenze.

Se infatti dal 1104 lo spazio dell’Arsenale (nato come deposito di armi) è stato animato da migliaia di maestranze, la mostra- che rimarrà aperta fino al 31 dicembre, dal mercoledì alla domenica, dalle 16 alle 20 – fa sì che venga recuperata una memoria di storia e di società, che nei secoli si è ingrandita, industrializzata, portata a esempio nel mondo, oltre a essere luogo segreto custodito gelosamente: e le maestranze fedeli alla Repubblica e alle sue istituzioni sono state per questo durante i secoli onorate e valorizzate.
Un luogo talmente strategico, fondamentale, importante che Dante Alighieri, nel XXI canto dell’Inferno, cita “l’Arzanà de’ Viniziani”. E gli ultimi arsenalotti hanno ricordato con le loro immagini e documenti questo enorme e unico (al mondo ) spazio tra terra e acqua, la “dar sin’a” come gli arabi chiamavano la “casa dell’industria”, la darsena che occupa oggi 48 ettari di territorio della città di Venezia.

Dagli anni Sessanta del Novecento al 2015 (anno di chiusura degli ultimi bacini e licenziamento degli ultimi venticinque lavoratori), carene di navi, operai al lavoro, officine, momenti di svago, sono stati fotografati dalle maestranze a testimoniare una ricchezza enorme di tecniche, conoscenze, cura che erano esercitate nella manutenzione e costruzione delle navi, un’eredità che oggi è testimoniata dagli ultimi veneziani che nei cantieri hanno lavorato.

L’Associazione Kokonton inserisce questa mostra socio-storico-culturale nell’ambito delle iniziative legate alla zona di via Garibaldi e al sestiere di Castello: esposizione di ritratti degli abitanti stessi, o fotografie di via Garibaldi com’era e com’è (anni Settanta/oggi), per rinverdire e ribadire memoria, storia, eredità. Dal 1960 al 2015, ricorda Gagliardi, sull’Arsenale è sceso come un velo di oblio, legato alla decadenza dei cantieri e al licenziamento del personale. Oggi “Gli ultimi Arsenalotti” è testimonianza di antiche arti nelle quali i veneziani erano maestri, in settanta foto esposte ma almeno duecento documenti che entreranno a far parte dell’archivio della memoria.
La raccolta continua, Gagliardi lancia un appello a quanti siano in possesso di materiale fotografico legato all’Arsenale, per ampliare le testimonianze. Gli autori delle foto esposte ha oggi un’età che supera abbondantemente i settant’anni, e che esercitavano un mestiere antico, sul quale si basava un tempo la vita dell’intera città.

Da fine XV secolo erano gli arsenalotti i prescelti per portare il neoeletto Doge intorno a Piazza san Marco nel “pozzetto”, la portantina d’onore. Ed era il suono di una campana nei pressi di via Garibaldi a dare la sveglia ogni mattina agli arsenalotti che lavoravano al grande squero: un capitale di sapere antico che oggi è impossibile riprodurre nelle sue decine di arti, dai calafati ai “picchettini”(coloro che pulivano con martelli le superfici delle navi) e per questo bisogna ricordare quella incredibile fucina che è stata l’Arsenale anche attraverso mostre particolari come “Gli ultimi arsenalotti”. Per veneziani e non solo. Infatti molti stranieri (nella fattispecie giapponesi residenti in città) hanno contribuito con materiale speciale all’esposizione.



Immagine di copertina: Bacino Grande Stella Azzurra con tacae fissate con cani in ferro forgiati in Arsenale.

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