Trump furioso

Finite le elezioni che fa il povero The Donald? Sbraita e promette vendetta.
STEFANO RIZZO
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Adesso che con il ballottaggio in Georgia le elezioni americane sono finalmente concluse, possiamo trarre alcune considerazioni generali. I repubblicani, sappiamo, hanno vinto la camera con lo steso esiguo margine con cui i democratici l’avevano vinta nel 2020 (222 a 213, appena quattro voti in più della maggioranza di 218). Il voto popolare nazionale alla camera li ha visti in vantaggio di tre milioni di voti, 50,6 a 47,8 per cento. Per una volta i sondaggi, che assegnavano loro tre punti di vantaggio, hanno visto giusto. Al senato le percentuali non dicono molto perché si tratta di elezioni stato per stato con popolazioni enormemente diverse (dai 40 milioni della California ai 500.000 dell’Alaska. Ma nelle 34 gare senatoriali di quest’anno i repubblicani hanno perso complessivamente un seggio (quello della Pennsylvania), con il risultato che adesso i democratici controllano il senato senza bisogno del voto aggiuntivo della vicepresidente Harris. 

Quindi, anche se hanno vinto alla camera non si può certo dire che per i repubblicani sia andata bene, almeno non quanto le aspettative, i sondaggi, il voto popolare nazionale e soprattutto la tendenza storica che vede punito il partito del presidente nelle elezioni di midterm, avevano fatto loro sperare. Di chi è la colpa di questa mezza sconfitta/mezza vittoria repubblicana? C’è un solo colpevole: Donald Trump. Molti dei candidati repubblicani ai vari incarichi, federali e statali, sostenuti da Trump hanno vinto, ma molti di più hanno perso e questo ha fatto la differenza, sia alla camera dove la vittoria avrebbe dovuto essere ben maggiore, sia al senato dove sono andati indietro. La prova provata viene proprio dall’ultimo stato a scegliere il proprio senatore, la Georgia.

In Georgia a novembre si erano tenute anche le elezioni per il governatore, dove era in lizza il governatore in carica Brian Kemp, un repubblicano di destra assai chiacchierato e fedelissimo di Trump, che però dopo le elezioni presidenziali del 2020 si era rifiutato di annullare il voto della Georgia come Trump gli aveva chiesto. Trump che, come è noto, è vendicativo, nelle successive primarie repubblicane aveva “diseredato” Kemp e appoggiato un uomo ancora più vicino a lui, David Purdue, negazionista ad oltranza della legittimità delle elezioni. Nonostante l’appoggio di Trump Purdue era stato sbaragliato nelle rpimarie da Kemp  che nelle successive elezioni generali  aveva vinto alla grande contro la democratica Stacey Abrams: 53,4 per lui contro 45,9 per cento per lei. 

Sconfitta per i democratici, ma anche per Trump che aveva visto vincere un repubblicano sì, ma suo rivale; e ancora più bruciante dal momento che Kemp (il rivale) era sostenuto dal suo ex vicepresidente Mike Pence, caduto in disgrazia nonostante i molti servizi resi al capo allorché il 6 gennaio 2021 si era rifiutato di alterare il risultato del collegio elettorale e aveva proclamato eletto alla presidenza Joe Biden. Offesa imperdonabile (e infatti Trump aveva incitato la folla ad assaltare il Campidoglio e a fare giustizia dei “vigliacchi”, e chissà come sarebbe finita per il povero Pence se il servizio segreto non l’avesse messo al sicuro.)

Ora, sia le elezioni a governatore sia quelle per il senato federale avvengono a livello statale: c’è un unico collegio e vince chi prende più voti; quindi il confrono tra le due elezioni nello stesso stato è particolarmente istruttivo. Quest’anno in lizza c’era per i democratici il senatore Raphael Warnock, e per i repubblicani Herschell Walker. Entrambi i candidati sono maschi, neri, accattivanti, ma qui finiscono le somiglianze: Warnock è un pastore protestante nella chiesa che fu di Martin Luther King, un’attivista per i diritti civili e i servizi sociali; Walker è un ex campione di football, molto noto, ma senza nessuna esperienza né, che si sapesse, interesse politico, prima di incontrare sulla sua strada Donald Trump che lo “unse” e ne fece il suo candidato. Risultato: al primo turno Warnock batte Walker di poco, ma non superando il 50 per cento si va al ballottaggio. Al secondo turno Warnock vince con quasi tre punti di distacco. Morale della storia: nello stesso stato gli stessi elettori scelgono un candidato governatore repubblicano che non è appoggiato da Trump e un candidato senatore democratico perché il candidato repubblicano è appoggiato da Trump. In un caso vincono i repubblicani, nell’altro i democratici, in entrambi perde Trump. 

Moltiplicate il caso Georgia per sette-otto altri casi simili in cui gli elettori hanno preferito votare per un candidato democratico piuttosto che per uno repubblicano trumpiano e si capirà perché nell’establishment repubblicano, finora granitico (con qualche eccezione) nel sostegno a Trump e nella difesa delle sue bufale, hanno incominciato a prodursi crepe. Non ne ha fatto mistero il capogruppo al senato Mitch McConnell che prima delle elezioni in privato, dopo la sconfitta in pubblico, si è lamentato della “scarsa qualità” dei candidati repubblicani (intendendo quelli imposti da Trump). Già prima, subito dopo l’assalto al Campidoglio, McConnell aveva preso le distanze dal presidente che fino ad allora aveva servito senza tentennamenti. Ma all’epoca a scatenare la furia di Trump fu la moglie di McConnell, la taiwanese-americana Elaine Chao, peraltro sua ministra dei trasporti per tutta la durata della presidenza, fino al… 6 gennaio 2021 quando di fronte all’assalto della folla inferocita si dimette, in evidente protesta contro il suo presidente, aggiungendo al danno la beffa di fare gli auguri al “suo successore” democratico che sarebbe entrato in carica di lì ad un paio di settimane. 

Trump ha covato per mesi l’ira contro la coppia di suoi ex fedelissimi, fino al mese scorso quando ha attaccato violentemente McConnell per essersi accordato con i democratici su un provvedimento tampone per evitare la bancarotta finanziaria del governo almeno fino all’anno prossimo, praticamente un  atto dovuto. Contro di lui Trump ha uato parole di inusitata violenza (che anche molti media di destra hanno condannato), quasi un invito all’assassinio, dicendo che con le sue azioni McConnell manifesta “un desiderio di morte” (vuole cioè farsi ammazzare) e invitandolo a cercare la protezione della sua amata moglie “Coco Chow”. Qui il razzismo anticinese è esplicito e volgare (“chow” in slang è il rancio, la zuppa), ma c’è un riferimento ancora più velenoso. Anni fa su una delle navi mercantili della società di trasporti della famiglia Chao fu trovata un’ingente partita di cocaina e la stessa Elaine, astro nascente del partito repubblicano, fu tirata in ballo come possibile destinataria. A quel tempo Trump non badava a simili sciocchezze, mentre ora da “odiatore in capo” con il nomignolo “Coco” la dà in pasto ai suoi seguaci perché demoliscano lei e il marito rei di averlo criticato.

Dove andrà a finire questa progressiva discesa di Trump verso la follia non è dato sapere. Da un lato il gruppo dirigente repubblicano è sempre più preoccupato che l’unico (per il momento) candidato del partito alla presidenza li porti alla rovina, e sotto traccia stanno cercando una via d’uscita. Dall’altra c’è Trump che rinfocola la sua base più estremista, non nasconde il suo animus sovversivo (l’altro giorno ha addirittura parlato di “porre termine alla costituzione” perché non vi siano limiti alle volte in cui può essere eletto), né la sua inclinazione alla violenza difendendo apertamente e finanziando la difesa legale degli assalitori più violenti del 6 gennaio (Proud Boys e Oath Keepers); né nasconde più il proprio razzismo pranzando pubblicamente con il sovranista bianco e filonazista Nick Fuentes, accompagnato peraltro dal controverso e apertamente antisemita rapper nero Kanye West (ora Ye). E tutto ciò senza parlare dei guai giudiziari che si stanno concretizzando (il primo è la condanna per frode della sua società ammiraglia, la Trump Organization; altri verranno a breve).

Di fronte a questo Trump sempre più furioso c’è chi spera che siano soltanto gli ultimi deliranti fuochi di un politico ormai giunto al termine del proprio percorso, che non controlla più né se stesso né il suo partito. Ma con un uomo come Trump — come del resto nel caso di tanti altri demagoghi e aspiranti dittatori passati e presenti — non è mai prudente sottovalutarlo.

Trump furioso ultima modifica: 2022-12-08T20:01:48+01:00 da STEFANO RIZZO

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