Libero il killer che cercò di fermare la rivoluzione di Mandela

Scarcerato, tra le proteste, l’assassino di Chris Hani, eroe della lotta contro l’apartheid.
FRANCESCO MALGAROLI
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Il Sowetan ci ha provato con un esercizio un poco macabro: come potrebbe essere il viso di un uomo di 69 anni prossimo alla scarcerazione dopo quasi trent’anni? L’unica foto che gira sul web è datata 1997, durante le udienze per la Verità e la Riconciliazione – per altro respinta dalla commissione presieduta da Desmond Tutu. Il quotidiano di Johannesburg ha quindi creato una ipotetica faccia con il pc, e l’ha inviata alla Kgosi Mampuru Prison a Pretoria dov’era detenuto. Il risultato è un tizio segnato dall’età, il viso affilato, sostanzialmente identico a prima.

È lui a uccidere davanti alla porta di casa Chris Hani, amato e venerato da tutti coloro che combattevano contro la segregazione razziale, comunista, iscritto all’African National Congress, militare controvoglia, gioviale e sorridente, in esilio dal 1963, tornato in patria nel 1990 [nell’immagine di copertina].

 Sabato 10 aprile 1993, vigilia di Pasqua, una donna vede passare di corsa un uomo con una pistola in mano, chiama la polizia e fa arrestare Janusz Waluś, polacco da tempo con cittadinanza sudafricana. Si chiama Margareta Harmse, è afrikaner, figlia della tribù bianca che vive lì. Fu il momento più terribile, amaro, tragico che il Paese potesse provare, e non fu il capo della Repubblica razzista F. W De Klerk, ma il signor Nelson Mandela ad andare subito in tv. Hani era il diavolo in persona per il regime, pronto a tutto pur di ucciderlo – e almeno due volte ci è andato vicino. Fu Mandela a calmare gli animi, e fu la donna afrikaner a indicare la strada. 

Ogni anno le autorità dell’Anc passano qualche minuto alla sua tomba, si fanno una foto (ora si fanno magari dei selfie) parlano di cose trite sull’uomo sepolto e se ne vanno. A fine novembre qualcuno ha scempiato il luogo. Adesso però si torna al passato perché il presente si incarica di riprendere il racconto. Dopo quasi trent’anni e almeno tre dinieghi dalle autorità carcerarie, il polacco è libero sulla parola, con una serie di restrizione e divieti, ma fuori. 

Clive Derby-Lewis, la mente dell’uccisione di Hani, e il braccio armato Walus dovevano essere impiccati, ma nella Nazione arcobaleno la forca è una delle prime cose a essere stata abolita. Si presero l’ergastolo. Dopo un certo numero di anni si può chiedere al giudice un rilascio sulla parola, uno sconto di pena. Derby-Lewis venne scarcerato del 2015, ma solo perché malato terminale, e morì l’anno successivo. Walus aveva provato una prima volta del 2011 e, a distanza di anni, ritentato altre tre.

È uscito di galera all’inizio di dicembre dopo un favorevole parere costituzionale di Raymond Zondo, presidente della Corte suprema. Zondo ha applicato le regole che derivano dall’essere un sistema democratico con tutte le sue lacune. Come aveva descritto Steve Biko, lui che fu ucciso dalla polizia bianca razzista del 1977, a un giudice: “Semplicemente facciamo il meglio possibile di quel che possiamo fare (voi no)”. Lo ricorda Mcebisi Ndletyana, professore di sociologia a Johannesburg, sul Mail & Guardian, e tutto sommato è questo che pensano (quasi) tutti.

Raymond Zondo (foto da Sowetan)

Non così la vede la vedova Limpho Hani: voi giudici aveva fallito, lasciando uscire quell’uomo dalla prigione dove meritava di restare. “Noi siamo convinti che la corte di giustizia ha commesso un’ingiustizia, una vera ingiustizia verso il nostro popolo”, chiosa Solly Mapaila, segretario del Partito comunista. Ora andranno alla Corte di giustizia africana per i diritti umani.
Il tempo, si dice, tutto appiana, anche i torti, ma ci vorranno anni prima che la ferita si rimargini almeno in parte. Una settimana prima di uscire di prigione hanno cercato di ammazzarlo dentro Kgosi Mampuru Prison. 

Walus ha un suo pubblico in Sudafrica, dov’è stato adottato dai nazisti, e in Polonia. Una decina di anni fa, sono cominciate ad arrivare le lettere da giovani hitleriani polacchi. Deliri e fanatismo hanno trovato terreno negli stadi. Fino al 2022 le bandiere inneggianti a Walus con la pistola in mano erano merce comune. Con un poco di ritardo la polizia le ha fatte levare.

La convocazione di un corteo di protesta contro la scarcerazione dell’assassino di Chris Hani

C’è una storia secondaria, interessante, a proposito di queste bandiere. L’azienda che le fabbricava, la Oxl, è di proprietà dell’olandese Prosus che fa capo alla sudafricana Naspers, gigante di giornali e hi-tech. Nata nel 1915 per mano dell’avvocato afrikaner W. A. Hofmeyr, Naspers doveva contrastare l’editoria inglese.  È stata grancassa dell’apartheid fino all’inizio degli anni Novanta, poi si è presentata alla Commissione per la Verità e la Riconciliazione scusandosi per quel che era stato fatto sotto il regime razzista. Nel suo portafoglio c’è, attraverso Media24, anche il bel sito molto informato News24 e il settimanale City Press. Di certo Naspers non sapeva nulla delle bandiere naziste inneggianti a Janusz Walus – forse.  

Il polacco ora è libero. L’assassinio di Hani la vigilia di Pasqua fu il punto di passaggio, la cesura tra regime dell’apartheid e il governo del Sudafrica arcobaleno. Nel maggio dell’anno dopo, il 1994, Mandela giurò. Non aveva in mente come futuro capo dello Stato l’intellettuale Thabo Mbeki o il fumantino Cyril Ramaphosa. Chris Hani era più che un figlio per Mandela, ed era lui l’uomo designato a succedergli.  

Libero il killer che cercò di fermare la rivoluzione di Mandela ultima modifica: 2022-12-12T16:21:01+01:00 da FRANCESCO MALGAROLI
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