Brusca virata di Xi. Finisce la guerra al Covid

BENIAMINO NATALE
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Sorprendendo molti osservatori (tra cui il sottoscritto) e mostrando la sua capacita’ di adattarsi alle situazioni che si presentano, il Partito comunista cinese ha dato il via allo smantellamento della politica dello “zero-Covid”. Dopo le manifestazioni di protesta contro i lockdown e più in generale contro la politica di “guerra” al Covid, una serie di misure restrittive sono state abbandonate. Il processo è lento e contraddittorio e sui “social” residenti di alcune città – per esempio di Shanghai – affermano che poco o nulla è cambiato. Sono le storture del sistema “imperiale” cinese, nel quale le direttive del centro necessitano tempo per arrivare in periferia. Ma la direzione è chiara.

Si tratta di una svolta sorprendente perché la politica dello “zero-Covid”, della “guerra” dichiarata al virus dal Partito – con milioni di persone tenute a forza nei centri appositamente creati per i malati o nelle loro abitazioni, con i temuti “dabai”, gli “uomini in bianco” (dal colore delle tute protettive) scatenati nell’imporre le rigide regole di sicurezza – è stata concepita e promossa dal leader supremo Xi Jinping, il segretario del Partito/capo delle Forze armate/presidente della Repubblica, che ne aveva fatto un importante terreno di competizione tra il suo sistema dittatoriale e le “decadenti” democrazie occidentali. 

Il fatto – mi sembra – è che in Cina negli ultimi mesi si sono sviluppate due linee di tendenza parallele, destinate a scontrarsi tra di loro sul periodo medio-lungo.

Da una parte Xi ha consolidato la sua “presa” sul Partito facendosi eleggere nella triplice carica per un terzo mandato e mettendo i suoi uomini in tutte le posizioni più rilevanti.

Dall’altra, nella società, si è sviluppata un’avversione per le misure autoritarie varate nel quadro della “guerra” al Covid, che in buona sostanza è un’avversione allo strapotere del potere del Partito, alla progressiva limitazione delle libertà degli individui. Intellettuali, imprenditori, studenti, a nessuna categoria sono state risparmiate le restrizioni della libertà imposte da Xi Jinping. Dai campi di detenzione per milioni di uighuri nello Xinjiang, al massiccio sviluppo della censura su Internet, agli attacchi diretti agli imprenditori privati più popolari, come Jack Ma di Alibaba, la stretta autoritaria di Xi si è fatta sentire con forza in tutta la società.

Per qualche tempo la repressione è stata tollerata – se non accettata – da vasti settori della popolazione, in particolare i giovani, tra i quali si è diffusa una forma di nazionalismo estremo. Il Partito è riuscito a ottenere questo risultato con vari mezzi. In primo luogo, con una campagna condotta da molti anni a tutti i livelli che propaganda come “felici” gli anni in realtà terribili del maoismo messi in contrasto con tutti i difetti della politica della “riforma e apertura”, vale a dire l’accentuarsi delle differenze di reddito e la corruzione estremamente diffusa agli alti livelli del Partito e dell’amministrazione statale. In aggiunta, il Partito ha fatto leva sulle indubbie difficoltà che i cinesi, soprattutto giovani che vanno a studiare in Occidente, principalmente negli Stati Uniti, incontrano per adattarsi alle società occidentali: il nazionalismo estremo si è dimostrato un’ideologia capace di attirare molti di questi giovani, dando loro una forte identità di gruppo che li ha aiutati a sentirsi alla pari – o superiori – ai loro compagni di studi occcidentali. 

Sfortunatamente per il regime, sono proprio questo tipo di persone, gli esponenti delle generazioni di cinesi che hanno studiato all’estero, che hanno viaggiato, che usano i Virtual Private Network (Vpn) per aggirare la censura su Internet, che hanno guidato le manifestazioni di protesta. Secondo molte testimonianze, uno dei fattori che hanno dato il via alle proteste sono state le immagini della Coppa del Mondo di calcio in corso nel Qatar, che mostravano decine di migliaia di spettatori senza le mascherine protettive. Questo ha dato a molti cinesi la spiacevole sensazione di vivere in una realtà separata dal resto del mondo e certo non migliore di quella che vivono i tifosi accalcati negli stadi del Qatar. 

La frattura che si è creata tra la tendenza al sempre maggiore centralismo all’interno del Partito e quella alla ricerca di una sempre maggiore libertà personale e intellettuale, di contatti con il resto del mondo, di iniziativa personale appare insanabile. Paradossalmente, è stata proprio l’eliminazione di qualsiasi dialettica interna al Partito a permettere la rapida conversione della politica verso il Covid: ora la propaganda governativa predica che l’Omicron non è pericoloso come il “vecchio” virus, invita gli anziani a vaccinarsi (con i vaccini cinesi, che sono meno efficaci di quelli occidentali ma sono comunque una protezione) e indica la direzione di una graduale ripresa della vita “normale”, vale a dire quella che centinaia di milioni di cinesi conducevano prima dell’esplodere della pandemia. 

Difficilmente questo permetterà a Xi Jinping di ricreare la “luna di miele” con una vasta e vitale parte della società che ha favorito la sua scalata al potere assoluto. In Cina oggi non esiste un’alternativa al Pcc ma sicuramente esistono forze all’interno del Partito che vedono, realisticamente, un’unica possibile strada di sviluppo per il Paese, cioè un deciso ritorno sulla strada della “riforma e apertura”, di un rapporto di competizione – ma anche di collaborazione – con l’Occidente sul terreno dello sviluppo economico, di un abbandono delle velleità imperiali su tutto il sudest asiatico. Oggi i militanti e dirigenti del Pcc che hanno queste idee sanno di potere contare sul sostegno della parte più dinamica della società. Sia chiaro, non si tratta di democratici, sono anche loro comunisti sostenitori della supremazia del Partito, ma allo stesso tempo hanno una visione a lungo termine di una Cina sempre più aperta e in buone relazioni con il resto del mondo.

L’altra strada – quella della costruzione di un impero che oscuri la potenza mondiale degli Stati Uniti e che imponga la sua volontà in tutto il pianeta, a partire dai Paesi vicini – porta solo a un putinismo in salsa cinese e ai disastri che questo provocherebbe prima di crollare e finire nella pattumiera della storia.

Brusca virata di Xi. Finisce la guerra al Covid ultima modifica: 2022-12-13T09:26:22+01:00 da BENIAMINO NATALE
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