Al vertice euromediterraneo EuMed 9 di venerdì scorso ad Alicante la presidente del Consiglio Giorgia Meloni non c’era. La delegazione italiana è stata guidata dal vicepresidente e ministro degli Esteri, Antonio Tajani. In Spagna la notizia l’ha data venerdì mattina Pedro Sánchez sul suo profilo Twitter. “Ho appena parlato con la prima ministra italiana Giorgia Meloni, che non potrà essere oggi con noi al vertice Med9 ad Alicante. Il rapporto storico che unisce Italia e Spagna è fondamentale per riaffermare l’importanza dei Paesi del sud in Europa”, ha aggiunto Sánchez, concludendo con un amichevole “Ci vediamo presto”.
L’influenza ha tolto a Meloni una passerella importante, molto attesa anche dalla destra spagnola, ma le ha anche evitato una situazione imbarazzante. Palazzo Chigi aveva tentato di organizzare un incontro a due tra Meloni e Macron che avrebbe dovuto sancire la pace tra Roma e Parigi dopo le tensioni sui migranti, ma l’Eliseo non è stato disponibile, non mancando di farlo sapere alla stampa. Si sono scontrate la volontà del governo italiano di continuare a giocare la carta interna della migrazione, coinvolgendo i tavoli europei, col fermo stop di Parigi, che suona come un avvertimento al governo italiano sui limiti da non valicare. La generale sensazione è che non basti l’europeismo e l’atlantismo rivendicato e ostentato dal governo italiano per tranquillizzare alcuni partner europei, che sanno bene quanto possano significare altro, un domani, con, magari, di nuovo Trump alla Casa bianca. Il messaggio sembra essere stato recepito da Roma — che, senza far tanto rumore, sta ora facendo sbarcare i migranti — ma Meloni dovrà aspettare per un faccia a faccia con Macron. Mentre l’Italia resta al margine in uno scatto che immortala movimenti decisivi.
Il vertice Eu Med è un summit informale ma importante fra i paesi europei che affacciano sul mediterraneo che in questa nona edizione ha riunito, ospite la Spagna, Italia, Francia, Portogallo, Grecia, Malta, Cipro, Croazia e Slovenia. Al centro aveva non la questione migratoria ma quella energetica. In agenda c’era il discusso tetto europeo al prezzo del gas, che nella penisola iberica esiste e funziona per famiglie e imprese e sul quale a Bruxelles continuano a non mettersi d’accordo. Altro tema, strettamente legato al primo, era la preoccupazione per gli incentivi Usa all’industria — i paesi europei temono che costi energetici alti facciano ritirare piani di investimento e commissioni a stelle e strisce — ma il vertice è stato anche, forse soprattutto, lo scenario della presentazione dell’EuroMed2, anzi H2Med, come ribattezzato.
Si tratta di un progetto legato all’idrogeno di dimensione strategica. Se si conferma la scelta per convertire questo elemento chimico nella principale “fonte” energetica del futuro — passaggio segnalato ma ancora in essere e che si scontra con non poche difficoltà, tecnologiche e “politico-economiche”, riconvertire vuol dire anche smantellare sistemi di produzione energetica che hanno prodotto gruppi di potere — costituirà il primo e principale nodo distributivo in Europa dell’idrogeno verde, cioè prodotto a partire da fonti energetiche rinnovabili).

All’inizio si chiamava BarMar e doveva collegare Barcellona e Marsiglia per trasportare gas naturale liquido (Gnl) rigassificato in Spagna e, solo successivamente, idrogeno. La Francia, sempre tesa all’indipendenza energetica e restia a aprirsi alle reti europee, era fredda sul progetto ma la guerra ha cambiato le cose. L’Europa ne ha poi fatto il fulcro della futura rete strategica di distribuzione di idrogeno, accelerando quella che sulla carta sarebbe stata solo una seconda fase d’uso bisognosa di interventi d’adeguamento. Il progetto punta direttamente sull’idrogeno, coinvolge il Portogallo — la penisola come un unico sistema energetico— e il nome diventa H2Med, a sottolineare la nuova risorsa energetica (H, idrogeno, come da denominazione del primo della tavola periodica degli elementi) e il ruolo di asse mediterraneo di un corridoio dell’idrogeno verde che porterà sino in Olanda, a Rotterdam, la produzione della penisola iberica, potendo potenzialmente coprire il dieci per cento del consumo di idrogeno dell’Ue. I lavori dell’H2Med dovrebbero iniziare nel 2025, a cura di un consorzio tra la spagnola Enagás e le francesi Teréga e GRTgaz. Una prima tratta —terrestre, di 240 chilometri, denominata Celza— collegherà il Portogallo con la Spagna, da Celorico, nel distretto di Guarda, a Zamora, in Castilla y León. La seconda, la BarMar, percorrerà il fondo marino tra Barcellona e Marsiglia per circa 350 chilometri. A regime l’H2Med fornirà circa due milioni di tonnellate l’anno d’idrogeno verde.

I colori dell’idrogeno, grigio, blu, verde e… rosa.
L’idrogeno è l’elemento più diffuso in natura ma non per questo è facile da ottenere. Più che una vera fonte d’energia è un vettore, per produrlo serve altrettanta energia. Ma quando brucia emette solo vapore acqueo. E ha altri vantaggi. L’elettricità, diffusa capillarmente, può alimentare piccoli mezzi e autovetture ma non camion da carico per lunghi percorsi, né navi o aerei. L’idrogeno può stiparsi in spazi ristretti e sostituire ogni carburante attuale, a emissioni zero.
Occorrendo energia per produrre l’idrogeno, lo differenziamo a seconda della fonte energetica con cui viene prodotto. La gran parte attualmente proviene dal metano, una fonte fossile, ed è per questo denominato idrogeno “grigio”. Anche l’idrogeno “blu” è prodotto bruciando metano ma in questo processo la CO2, l’anidride carbonica che risulta, principale responsabile dell’effetto serra, viene catturata e stipata iniettandola in giacimenti esausti sotterranei. L’idrogeno “verde” è quello prodotto dall’acqua, attraverso diversi metodi di elettrolisi o un processo elettrochimico, in un processo di produzione che emette solo ossigeno il cui prodotto finale nel consumo rilascia solo vapore acqueo. Attualmente è il più costoso. Poi c’è un altro colore per l’idrogeno, il “rosa”, che sta molto a cuore ai francesi.
La grande battaglia in atto è quella di inserire nel percorso di transizione all’idrogeno verde, non ancora sviluppato, oltre a quello derivato dal gas, l’idrogeno prodotto a partire dalle centrali nucleari. L’idrogeno rosa garantirebbe alla Francia di non dipendere dai partner europei ma per molti analisti sarebbe un fardello che rallenterebbe, in una contraddizione molto rischiosa, il processo di transizione energetica. La Francia blocca il gas processato dai rigassificatori spagnoli (resta ad arrugginire il MidCat) ma consente l’H2Med a condizione che sia dedicato all’idrogeno verde — che Spagna e Portogallo sono attrezzate a produrre da solare ed eolico e che garantisce l’accesso ai fondi europei che finanzieranno il progetto per il cinquanta per cento dei 2,5 miliardi di costo stimati.
L’energia europea nel mondo che cambia.
“Entro il 2030 l’Ue produrrà dieci milioni di tonnellate di idrogeno verde e altre dieci saranno importate” – ha detto Ursula von der Leyen a Alicante. Produrre idrogeno verde continua a essere più caro che produrre il grigio ma Madrid mette nel piatto un programma di sviluppo del fotovoltaico massiccio che renderà le sue assolate e sterili regioni meridionali il principale centro di produzione fotovoltaica del continente e prevede che già nel 2030 l’idrogeno verde sarà competitivo col grigio, per diventare più economico entro il 2050, quando i costi d’impianto saranno ammortizzati.
Nel 2020, abbiamo identificato la necessità che i principali corridoi dell’idrogeno facciano fluire l’idrogeno dove è necessario. Poi abbiamo assistito all’inizio della guerra energetica russa, con gravi ripercussioni sui nostri sistemi e mercati energetici. E questo ha reso la transizione verso l’energia pulita non solo pressante ma vitale
ha detto ancora van der Leyen.
Progetti strategici elaborati nell’ultimo decennio, che iniziavano i primi passi operativi quando il mondo di prima è finito, vedono nuovo impulso e nuovi ostacoli. L’Ue ha linee guida di conversione energetica e produttiva per affrontare la questione ambientale, che si manifesta innanzitutto nell’emergenza climatica, e per la costruzione strategica di un’indipendenza del continente nella produzione energetica. In questo processo è arrivata la guerra in Europa, con l’invasione russa dell’Ucraina che segnala il cambiamento degli equilibri mondiali in atto. Un cigno nero che da un lato ostacola il percorso, con la guerra non si guarda tanto per il sottile e se dovrai bruciare carbone per riscaldarti lo farai, dall’altro offre altre motivazioni strategiche alla necessità del processo di conversione energetica. Intanto sconvolge il mercato mondiale con un cambio di relazioni commerciali e politiche su scala planetaria senza precedenti.
La Spagna ha preparato il futuro e, quando è arrivato di colpo, era pronta.
In questo domino globale, la Spagna sta giocando tutte le sue carte. Con abilità e spregiudicatezza, come abbiamo visto col Marocco, riuscendo a convertire le sue storiche debolezze in punti di forza. I compiti non fatti, la mancata metanizzazione e la dipendenza dal gas naturale liquefatto (Gnl), diventano, con la guerra, l’offerta del principale hub europeo di Gnl per l’Europa e, soprattutto, per il gigante tedesco dipendente da Mosca. Una struttura per la transizione e per il futuro. I compiti fatti, lo sviluppo delle rinnovabili, solare ed eolico in testa, diventano punti sui quali guadagnarsi, adesso, l’Eccezione iberica, quel tetto al prezzo del gas deciso politicamente su cui l’Ue non si accorda ma che ha concesso a Spagna e Portogallo (prima erano tra i paesi Ue dove l’energia al consumatore era più cara, ora sono quelli dove costa meno). Convertite le debolezze in punti di forza, si tratta ora di usarli per superare le condizioni che le avevano determinate. Gli investimenti in ricerca e sviluppo sono cresciuti più o meno costantemente, con picchi nei governi di Zapatero e Sánchez. La Spagna isolata dall’Europa ha bisogno di aprirsi, di vie di collegamento per il Gnl —che raccoglie, stocca e processa— e per l’energia verde di cui sta avviando produzioni massicce, preparandosi a diventare il paese leader dell’energia solare in Europa. Futuro.

Altro contesto. Germania e Francia hanno idee e necessità diverse. Berlino fa i conti col fallimento della sua strategia energetica, l’indipendenza da Usa e paesi del Golfo è diventata dipendenza dalla Russia. Putin è riuscito a perdere questa posizione di vantaggio. Berlino deve diversificare, trovare nuove forniture, alimentare il suo complesso industriale, pena il crollo del sistema produttivo. Parigi anche non si sente tanto bene. Ha reti interne ma è isolata dalle reti energetiche internazionali. Produce. Ma il nucleare è caro, inefficiente, al momento in una fase critica, su 56 reattori solo tredici sono in produzione; e soffoca il cambiamento, lo switch energetico alle rinnovabili. Eolico e solare sono terribilmente indietro. Anche qui, la ricerca dell’autonomia energetica nazionale, le strategie del vecchio mondo dei blocchi in disfacimento, presentano il conto. La Francia teme di dover affrontare, unico paese dell’Ue, razionamenti della somministrazione elettrica per garantire la produzione industriale e i servizi. Parigi, a differenza di Berlino, sembra però ancora perseguire l’isolamento dal continente. Quindi non ha concesso alla Spagna, e alla Germania, il MidCat, quasi completato gasdotto inter-pirenaico, non ripreso per volontà di Parigi.

Ma Berlino conta e Macron che ha detto no al MidCat non può certo aprire un fronte, dopo Roma, con tutto il sud dell’Europa. Bruxelles, poi, benedice l’EuroMed2 e l’affrancarsi tedesco da Mosca. A Salamanca, al centro della foto dove manca Meloni, c’è Ursula Von der Leyen. Nelle frizioni tra Francia e Germania l’Europa propone questa rotta di mediazione. Nuove vie per la Germania, a sostituire il gas russo, tempo per la Francia per mettere mano al suo complesso nucleare e per proporsi come fornitrice di idrogeno rosa. Anche alla Germania, magari, vincendo con offerte commerciali molto favorevoli le resistenze a dipendere dal nucleare francese. Berlino vuole differenziare, non favorire Parigi. Ha smantellato il suo nucleare e non vuole ora salvare quello francese. Sa che ci sarà un dopo alla guerra d’Ucraina, che la Russia tornerà a interloquire con l’occidente, a partire dall’Europa, e si riattiveranno i solidi rapporti russo-tedeschi. Punta sul verde anche perché non favorisce Parigi, ma nel frattempo accetterà il grigio, fin quando servirà, e magari anche il rosa. Anche su questi scenari, si gioca il complesso confronto europeo. È un braccio di ferro quello in atto tra Berlino e Parigi che, come sempre, modella il perimetro entro cui si dispiegherà l’effettiva azione europea, mediando tra i diversi interessi nell’ottica della crescita del progetto comune.
Penisole a confronto, Roma ha più strumenti, Madrid ha pianificato meglio.
L’Italia ha altri fronti aperti ma certamente sconta un grave ritardo nelle rinnovabili che ci ha fatto scegliere, per esempio, di investire i fondi del Next Generation Ue nella produzione di idrogeno grigio, che sarà meno competitivo e, presumibilmente, nel medio periodo più caro, soprattutto se le politiche fiscali europee saranno coerenti con la “svolta verde”. Anche grazie ai movimenti spagnoli nell’area — l’avvicinamento al Marocco e l’apertura di una crisi con la Tunisia nell’ottica di un profondo cambiamento delle politiche di Madrid in Nordafrica — stiamo consolidando i rapporti con Tunisi, antichi ma ultimamente difficili, nell’affannosa ricerca di alternative al gas russo. La Spagna ha attivato un ponte navale unendo da aprile Barcellona col terminal Gnl di Panigaglia, a Fezzano di Porto Venere (La Spezia), aiutandoci a diminuire il ricorso al gas russo. Snam e Endegás hanno progetti comuni in Grecia e Albania, spingono per un collegamento sottomarino diretto da Barcellona che consenta all’Italia di redistribuire verso il Nordeuropa. Il patrimonio di brevetti, tecnologie ingegneristiche e competenze italiano costituisce sempre un ottimo passaporto per entrare nei grandi progetti internazionali. Quella che sembra mancare è una comune e coerente politica nazionale per capitalizzare politicamente la posizione geografica strategica del paese nel Mediterraneo. La pianificazione.
La penisola iberica è destinata a diventare uno dei principali snodi energetici d’Europa. Abbiamo cofinanziato l’interconnessione del Golfo di Biscaglia, sostenuto i collegamenti transpirenaici, l’interconnessione tra Spagna e Portogallo. Oggi, la penisola iberica sta diventando un importante portale energetico europeo verso il mondo. Un corridoio dell’idrogeno attraverso la Penisola può anche collegarsi con l’approvvigionamento di idrogeno dall’intera regione del Mediterraneo. È ciò su cui stiamo lavorando anche noi. Stiamo stabilendo partenariati per l’idrogeno con i paesi del Mediterraneo: ne abbiamo già uno con l’Egitto, ne stiamo discutendo uno con il Marocco. E stiamo lavorando a una più ampia partnership per l’idrogeno verde con tutti i paesi del Mediterraneo meridionale. Quindi questo è solo l’inizio
ha detto van der Layen spiegando la portata del progetto europeo e il ruolo spagnolo.
Le cose comunque si muovono. L’Unione europea investirà 602 milioni di euro per collegare l’Europa in otto progetti transfrontalieri di infrastrutture energetiche nell’ambito del piano REPowerEU e del Green Deal europeo. Saranno finanziati progetti —per reti elettriche “intelligenti”, reti, siti e processi di stoccaggio sotterraneo di CO2 e un terminale di GNL offshore— in Austria, Belgio, Croazia, Francia, Irlanda, Italia, Polonia, Romania, Slovenia e Tunisia (unico paese extraeuropeo). L’Italia si porta a casa la fetta più grossa, 307,6 milioni di euro, per una prima interconnessione tra Italia e Tunisia con un cavo elettrico sottomarino ad alta tensione, denominato interconnettore ELMED, che aumenterà la sicurezza dell’approvvigionamento elettrico europeo e l’integrazione delle rinnovabili per la sostituzione della generazione termica a gas. L’Ue persegue i suoi obiettivi in materia di mitigazione climatica e, di passo, avvicina a sé Tunisi, allontanandola un po’ da Mosca.
Snam e Eni costruiscono partnership, coltivando quei legami che spesso i governi sottovalutano, ma appare evidente come l’Italia paghi decenni di mancato governo di certe questioni, di mancata pianificazione, di scarso investimento, finanziario e di governo, sul superamento del metano e di sviluppo delle rinnovabili. La Spagna, che ha totalmente privatizzato il settore, parte con un fondamentale strumento in meno per la sua politica energetica, non avendo una multinazionale di stato come l’Eni. Con la pianificazione energetica è riuscita a compensare questo limite —sui prezzi del mercato energetico totalmente privatizzato è intervenuta “l’economia di guerra”— e ora si avvia a diventare un hub energetico europeo, nella transizione energetica e di fronte alla guerra, e un nucleo produttivo e distributivo nel futuro sistema energetico europeo.

Immagine di copertina: Foto di gruppo dei leader partecipanti al IX vertice euroemediterraneo di Alicante [fonte: Gobierno de España]

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