“L’ombra lunga di Ratzinger”. Parla Massimo Faggioli

GUIDO MOLTEDO
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È la prima volta che muore un papa emerito, dopo un pontificato, cessato quasi dieci anni fa e durato otto anni, più breve dunque dell’emeritato. Inizia da qui la nostra conversazione con Massimo Faggioli, storico delle religioni, docente negli Usa, a Philadelphia, presso la Villanova University.

Il pontificato di Benedetto è durato meno del suo emeritato. Che cosa hanno significato e che cosa comporteranno sia la sua scelta traumatica, annunciata nel febbraio del 2013, sia il lungo periodo che ne è seguito, anche per i riverberi avuti sul pontificato del suo successore?
È vero, la fase vissuta da Ratzinger come papa emerito è andata al di là delle previsioni di molti. La sua morte, in un certo senso, segna un secondo inizio del pontificato di Francesco. Sul quale non si potrà più dire che non può fare certe cose perché c’è l’emerito.
Questa vicenda dice molto sul futuro del pontificato romano, perché è uno scenario che molto facilmente si ripeterà. L’intervallo tra la vita attiva, lavorativa, e la vita biologica s’è allungato per tutti, anche per i vescovi, anche per il Papa. Quindi la questione si pone come una questione normale. Il tema è come regolamentare il ministero, la vita, la residenza, il titolo, quando il Papa si dimette.

Nel caso specifico c’è un’altra questione. È vero, il suo pontificato è stato più breve rispetto al suo emeritato, ma quello che succede con la morte di Benedetto è indicativo di quel che succede della sua intera parabola. Benedetto ha avuto e avrà un’influenza molto maggiore rispetto agli otto anni del suo pontificato. Lui diventa il simbolo di una certa cultura cattolica, che risale alla metà degli anni Settanta, quando non è ancora vescovo, poi cardinale e quindi Papa.
A pochi capita di diventare un aggettivo.

Benedetto XVI con mons. Georg Gänswein nel giorno del 93mo compleanno del papa emerito.

Un aggettivo?
Quando dici ratzingeriano dici un sacco di cose. Nella sua parabola biografica il pontificato è un capitolo importante che però è meno rappresentativo rispetto a quello che fa prima, nel senso che quel certo tipo di brand cattolico è già lì, negli anni Ottanta. In questo senso il suo dimettersi da papa ha certo conseguenze nella struttura del papato romano, però non dice della sua influenza che era già molto forte prima e che va al di là dell’influenza che può avere un cardinale o un papa. Ratzinger ha rifatto o in un certo senso disfatto la Chiesa postconciliare. Quindi sì, è un pontificato breve. Ma è riduttivo vedere la sua morte come la morte di un ex Papa. È la morte di una personalità che ha influenzato a tutti i livelli, accademico, teologico, istituzionale, politico. Ha influenzato il cattolicesimo degli ultimi cinquant’anni.

Più dei “riformatori” (usando consapevolmente un termine non appropriato)?
Oh, sicuramente sì. Quando era giovane teologo, accademico, e poi cardinale, era – per esempio – l’antitesi di Hans Küng.

Küng ebbe un grandissimo successo in campo editoriale e accademico, ma è difficile trovare adesso i discepoli di Küng all’interno dei quadri della Chiesa cattolica, perché la sua influenza si è giocata largamente al di fuori del clero.

Ratzinger, invece, ha investito in maniera molto evidente sul futuro della Chiesa, sul giovane clero, sui giovani teologi. Ricordiamo anche il dialogo con Habermas. E l’ha fatto in modo molto intelligente, molto consequenziale, si può dire che in certi casi ha letteralmente rifatto la Chiesa, da zero, come è accaduto con i vescovi degli Stati Uniti.

Se non ci fosse stato questo lungo tempo supplementare, probabilmente sarebbe stato diverso. Si è parlato addirittura di un bipapato, una narrativa alimentata anche dal fatto stesso di essere rimasto nel perimetro delle mura vaticane…
Certo, ma quella era una scelta, non dico obbligata, ma la scelta naturale anche per lui. Per il tipo di personalità, intellettuale tragico, teologo monaco. E quindi il suo seppellirsi là dentro era perfettamente conseguente. Il fatto è che per lungo tempo ci si è illusi che Papa Francesco fosse l’antitesi, una contraddizione rispetto a Benedetto. Su certe cose lo è stato, per esempio sulla liturgia. Su altre cose c’è una continuità o una consonanza. Questo compenetrarsi dei due pontificati non è dovuto all’influenza che Benedetto ha esercitato, anche se a far questo ci ha provato il suo entourage.

Va ricordato che, all’origine del conclave del 2005, c’erano due alternative, Ratzinger e Bergoglio. Che non erano Ratzinger e Martini. Un mio amico ciellino, negli Stati Uniti, mi ha detto, qualche tempo fa, guardate, voi progressisti, Bergoglio è un ciellino sotto mentite spoglie.

Ha un po’ ragione. Perché? Perché, secondo me, esistono differenze significative fra Francesco e Benedetto, ma non come le si erano viste all’inizio. E questa è una cosa che il post pontificato, l’emeritato, ci ha aiutato a capire, a vedere. Perché non c’era solo un buon rapporto personale fra loro due, ma anche una sostanziale intesa su altre questioni. Detto questo, è chiaro ci fossero differenze che hanno fatto imbestialire gli orfani di Benedetto, questo è innegabile.

Monastero Mater Ecclesiae, residenza di papa Benedetto XVI

Nella definizione di tutti e due i Papi prevale quella del racconto che viene fatto dai non cattolici, cioè una loro definizione, e una differenza tra i due, politica più che religiosa…
Dipende dove: per esempio, se i cattolici tedeschi sanno bene che non c’è una grandissima differenza tra i due papi, i cattolici nordamericani notano una grande differenza perché lì ci sono questioni che pesano come la questione della suore americane e quella dei gay in attesa. Sono ferite aperte. Quindi, sì, ci sono percezioni che sono politiche. Ma ci sono anche percezioni, in aree del mondo all’interno dello stesso stesso Occidente, che sono diverse.

Certo, su certe questioni – la chiesa, l’Occidente, l’Islam, un certo conservatorismo degli Stati Uniti – c’è una differenza abissale. Non c’è nessun dubbio.

E poi pesa la caratura anche terzomondista di questo Papa.
Certamente.

Ratzinger, sul piano più strettamente politico, non ha mai rivendicato né gli è stato attribuito un ruolo particolare, essendo visto più che altro come un teologo e un intellettuale...
In Italia non ha avuto successo. L’operazione neocon che nei primi anni 2000 fu tentata da Giuliano Ferrara, Marcello Pera e circoli romani non riuscì, ma negli Stati Uniti ebbe successo. C’è una compagine teologico politica all’interno sia dell’episcopato sia di certe élite repubblicane, che è stata plasmata dal ratzingerismo, per esempio sulla questione dell’islam.

Negli Stati Uniti, a partire dai primi anni 2000 in poi, il progetto neoconservatore di fine anni Ottanta-Novanta, che si basava su un rapporto amichevole con il liberalismo politico occidentale, nei primi anni 2000 e specialmente successivamente, quando arriva Francesco, si trasforma in un nazionalismo che ha a che vedere molto di più con Victor Orbán che con George Bush. Sono gli eredi di Ratzinger. Ma Ratzinger ha direttamente poco a che fare con quello che ora è diventato quel mondo lì, c’è stata un’evoluzione ideologica, un’estremizzazione che ha reso quelle voci significativamente diverse da quelle che erano trent’anni fa.

In Italia non succede perché rimangono solo delle frange, personaggi come Socci. Ma in America non è così, il pensiero di Ratzinger è molto più centrale. E questi si rifanno a quel nome, ai suoi libri.

Nella società dell’immagine, la nostra società di oggi, ha contato il contrasto tra i due Papi, uno che ostentava aspetti perfino del lusso, l’altro, al contrario, la sobrietà testimoniata da lui stesso, a iniziare dalla scelta di Santa Marta come sua residenza. Quanto e come ha pesato, se ha pesato, questo contrasto, di apparenze poi diventato di sostanza in una certa misura?
Ha pesato molto, nel senso che era inconfondibile anche il tipo di rapporto che i due volevano avere con la stampa, con la cultura laica. Benedetto non era certo alieno dal gusto della provocazione. Quando parlava, ma anche nella scelta di partecipare a certi eventi con un certo gusto. Papa Francesco, è più intenzionale, intende catturare un’audience di un certo tipo e di tenersela cara.
Le interviste con Papa Francesco sono sempre interessanti, ma sono sempre molto amichevoli.

Amichevoli?
Be’, non ci sono mai domande difficili…

E invece Papa Benedetto è uno con il gusto dell’impopolarità. Anche con l’ostentazione di simboli, le scarpe rosse, per dire, che era un po’ ridicolo, ma faceva parte del tentativo di recuperare un certo gusto estetico all’interno del cattolicesimo che era stato, a suo parere, cancellato dal Concilio Vaticano secondo. Era uno, diciamo così, che ficcava il dito nell’occhio a un certo tipo di cultura cattolica.

Francesco è il terzo papa non italiano. Che peso ha avuto, per i vescovi italiani, quest’avvicendarsi di papi “stranieri”?
È una chiesa orfana di un Papa italiano da un bel pezzo. Con Benedetto c’era un rapporto diverso rispetto a Francesco perché c’era una difficoltà culturale rispetto a un tedesco. Che non c’è con un argentino. Però era anche un oggetto meno sconosciuto, nel senso che era stato a Roma per un quarto di secolo e quindi si sapeva in po’ di più delle cose italiane.

Quindi Io credo che, in fine dei conti, i vescovi italiani si trovassero meglio con Benedetto che con Francesco, perché  comunque Benedetto aveva un certo savoir faire ecclesiastico, vecchio stile, che era quello di proteggere i suoi vescovi, mentre Francesco ha un certo gusto populista, fino ad additarli come principi che vivono nell’agio. Insomma, con tutti e due era un rapporto non facile, ma con Francesco si è rivelato alla fine più complicato di quello che si pensava all’inizio.

La cappella nei Giardini Vaticani dove pregava e celebrava messa il papa emerito

Dimettendosi, Ratzinger ha fatto una scelta rivoluzionaria, il che colpisce ancora di più considerando la sua immagine e la sua storia di conservatore, anzi di custode dell’ortodossia...
La cosa interessante è che non ha mai avuto un vero prefetto del Sant’Uffizio, come lo fu lui. E il suo rapporto con la curia romana è stato difficile. È vero che ha riformato il papato, dimettendosi, ma allo stesso tempo c’è un aspetto paradossale qui, perché Benedetto ha sempre sostenuto che il Concilio Vaticano II va interpretato secondo quello che dicono i documenti e non lo spirito o le intenzioni. Be’, il Concilio Vaticano II ha sempre escluso categoricamente di parlare delle dimissioni del papa. E invece lui, su questa questione, ha capito che bisognava andare oltre la lettera del codice di diritto canonico del Concilio Vaticano II, e improvvisare un poco, per ovvi motivi.

Tornando alla sua scelta di restare a Roma, con un entourage in evidente frizione con quello bersagliano, non è stato un errore che in qualche modo inficia quella scelta?
Sarebbe stato peggio. Secondo me è stato saggio. Le alternative, per esempio trasferirsi in Germania, la sua residenza sarebbe diventata un sito di pellegrinaggi…

…una sorta di di Avignone.
C’era quel rischio. Potrà essere stata discutibile, la scelta di restare a vivere in Vaticano, ma ha avuto senso rispetto alle alternative.

I suoi sostenitori sostengono che Francesco non desse ascolto al suo predecessore.
Ma questo non è assolutamente vero. C’è stato un rapporto sempre assai rispettoso tra i due uomini.

“L’ombra lunga di Ratzinger”. Parla Massimo Faggioli ultima modifica: 2022-12-31T18:48:23+01:00 da GUIDO MOLTEDO

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