Addio a un artista coi baffi

David Crosby ha toccato tante vite con la sua musica, con la sua influenza. È rimasto sempre un personaggio senza peli sulla lingua, un artista importante per tutta la vita, ma soprattutto ha portato una gioia rara alla sua musica e ai suoi ascoltatori, che vivrà per sempre.
PAUL ROSENBERG
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It’s getting to the point where I’m no fun anymore…

[Si sta arrivando al punto in cui non mi diverto più… ]- Crosby Stills e Nash, Suite: Judy Blue Eyes

Quel verso sembra dolorosamente vero in questo momento, mentre mi metto a sedere per scrivere il mio omaggio a un’altra stella che cade. Non basta la recente scomparsa di alcuni tra i più grandi musicisti del mondo per buttarti giù? Dubito però che Christine McVie, Jeff Beck e ora David Crosby vorrebbero che avessimo meno gioia nelle nostre vite gettandone il peso su di loro, quindi, su la testa, e scriverò un affettuoso addio a Crosby, morto all’età di 81 anni.

È difficile misurare l’impatto di un artista come David Crosby, per molti versi più famoso per via dei gruppi di cui ha fatto parte. Ma possiamo iniziare ricordando che è stato uno dei membri fondatori dei Byrds. L’hanno essenzialmente inventato loro il folk-rock. Poi va detto che per molti anni il suo successivo progetto, Crosby Stills e Nash (e più tardi, con Neil Young, CSNY), è stato un gruppo di successo, influente e iconico senza precedenti. E a proposito di impatto, non possiamo non menzionare che fu per primo David Crosby a riportare a Los Angeles la giovane Joni Mitchell e fu lui di fatto a lanciarla come artista discografica.

Che altro dire? L’uomo ha avuto una vita difficile, ma ha continuato a suonare e a scrivere musica fino alla sua recente malattia. Certo, parliamo di un’icona: la sua voce, le sue canzoni e persino il suo aspetto erano immediatamente riconoscibili.

Di tutte le canzoni della sua carriera stellare, spicca una in particolare, secondo me, ed è la classica Suite: Judy Blue Eyes, dal primo album di Crosby Stills e Nash. Sì, fu scritta da Stills, ma era sinonimo di CSN, e per una buona ragione. C’è qualcosa in quella canzone, un brano che era trasmesso quasi costantemente alla radio negli anni Settanta, assolutamente memorabile, dal suo attacco indimenticabile (vedi sopra) fino alla gioiosa coda che tutti noi attendiamo con impazienza ogni volta che ascoltiamo il brano – una coda così semplice e divertente che chiunque può cantarlo: “doo doo doo doo doo, doo doo di doodoodoo…”. Sembra ogni volta una festa, ed è una cosa molto speciale da raggiungere nella musica.

Poi c’è la scena di Crosby Stills e Nash seduti nervosamente sul palco di Woodstock, tre cantanti con chitarre acustiche davanti a mezzo milione di persone. Mentre guardano increduli la folla davanti a loro, Crosby dice “Ragazzi, questo è il nostro primo concerto!”. Puoi sentire l’affetto della folla per loro – si vede che tutte quelle persone sono dalla loro parte, che tifano per loro mentre si lanciano in Suite: Judy Blue Eyes. Veramente uno dei grandi momenti della storia della musica popolare.

Avevano buone ragioni per esserlo, un po’ nervosi. Con i suoi tempi multipli e le armonie lunghe ed estese nella sezione centrale (“Wiiiilllll you come seeee me? Thursdays and Saturdays… what you got to loo oo oose…“), Judy Blue Eyes è una canzone difficile da cantare dal vivo. Cavalcando l’energia del momento e della folla, fu quella volta, la prima volta, che riuscirono a incardinarla.

Ne so qualcosa di quanto sia difficile cantare quella canzone. Suite: Judy Blue Eyes è stata in realtà la prima canzone che abbia mai eseguito dal vivo come cantante/chitarrista – il mio primo concerto, nel 1981. Ogni anno il mio liceo organizzava un talent show, e alcuni miei amici vollero inventare un numero. Adoravamo tutti CSN(Y) – la mia copia di So Far (con copertina di Joni Mitchell) era a quei tempi costantemente sul giradischi. Per noi Suite: Judy Blue Eyes era una specie di Santo Graal. Decidemmo che l’avremmo imparata per lo spettacolo di quell’anno.

Provammo e riprovammo quella canzone all’infinito, cercando di fondere bene le parti vocali e lottando con la tempistica delle parti tratteggiate in secondo piano. Onestamente, non so quanto ci avvicinammo all’originale. Ricordo però quanto fossimo nervosi e di come l’esibizione della prima serata fosse un po’ confusa.

La serata seguente, invece, la ricordo chiaramente, quando cercammo di conquistare il pubblico eseguendo una canzone che era ormai una vera e propria icona musicale, tutti la conoscevano. Fummo più audaci di quanto pensassimo cercando di misurarci con quel brano. Ma quella sera successe qualcosa – c’era calore da parte del pubblico per noi, era dalla nostra parte – e quando finimmo si sprigionò un entusiasmo che non dimenticherò mai.

C’è quindi un che di personale mentre scrivo queste note, alla notizia della morte di David Crosby, ma sono sicuro che non lo sia più che per le innumerevoli persone in tutto il mondo che personalmente sentono il dolore della sua perdita. Ha toccato tante vite con la sua musica, con la sua influenza. Lo conoscevano tutti, tutti conoscevano le sue canzoni e riconoscevano il suo sorriso contagioso quando suonava. È rimasto sempre un personaggio senza peli sulla lingua, un artista importante per tutta la vita, ma soprattutto ha portato una gioia rara alla sua musica e ai suoi ascoltatori, che vivrà per sempre.

E dire che per poco non si tagliava i capelli… che continui a sventolare la sua bandiera di freak.

Addio a un artista coi baffi ultima modifica: 2023-01-20T15:58:15+01:00 da PAUL ROSENBERG
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