La vittima e il campione

Un brutto caso di cronaca che coinvolge un calciatore famoso è utile per capire le misure che autorità e amministrazioni spagnole attivano per non lasciare sole le vittime di violenza sessuale e come queste influiscano positivamente anche sullo svolgimento delle indagini
ETTORE SINISCALCHI
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È una brutta vicenda, che peggiora col passare dei giorni, quella di cui è protagonista il calciatore brasiliano Dani Alves, arrestato a Barcellona con l’accusa di stupro. Secondo le accuse, il 30 dicembre scorso Alves avrebbe violentato e percosso una ragazza di 23 anni, all’interno di una nota discoteca della città, il Sutton club, in una parte del prestigioso quartiere di San Gervasi che, affiancata alla strategica Avinguida Diagonal, concentra una mezza dozzina di locali simili.

Senza entrare nei particolari riportati dalla stampa, la ragazza, che aveva già frequentato il locale, era tornata assieme a due amiche. Secondo il suo racconto, le tre sarebbero state prima invitate nel privé, dove hanno scoperto che c’era Alves e un suo amico; qui il calciatore, dopo averle fatto pesanti avances, avrebbe indotto la ragazza con l’inganno a accedere a una stanza che si è rivelata essere un angusto bagno di servizio, dove avrebbe avuto luogo la violenza sessuale.

La notizia ha avuto grande ripercussione. Non poteva essere altrimenti, Alves aveva appena lasciato il Barcellona ma era molto legato alla società, che programmava una partita-omaggio per quella che viene definita la migliore ala della storia della squadra.

Le indagini vengono svelate il due gennaio dal quotidiano El Periodico. Il 9 la stessa testata annuncia che il Tribunale istruttorio di Barcelona, il corrispondente del nostro Giudice per le indagini preliminari, ha aperto un fascicolo.

Il calciatore invia anche un video a una testata sportiva in cui si dice di non conoscere la vittima, la cui identità è protetta, e di essere estraneo ai fatti. Prima dell’arresto, il momento è delicato. Alves lavora in Messico ed è cittadino brasiliano ma in quei giorni deve essere a Barcellona per la malattia dell’ex suocera. Non è chiaro se lui e il suo avvocato avessero idea di quanto avevano in mano gli inquirenti, forse pensavano a un arresto di poche ore; fatto sta che decide di collaborare alle indagini, concordano un incontro il 20 gennaio, nel quale viene arrestato.

La squadra che lo aveva ingaggiato, i Pumas de Mexico, immediatamente rescinde il contratto. L’allenatore del Barcellona, Xavi Hernández, interviene due volte sul tema, nelle conferenze stampa post-partita. La prima, dichiarandosi “in stato di shock” e augurandosi che tutto venga chiarito, la seconda per scusarsi di non “essere stato abbastanza netto nelle mie parole e di aver tralasciato il tema della vittima”.

Questa necessità di chiarire da parte di Xavi Hernández si deve all’attenzione che esiste in Spagna sul tema, liquidazioni o sottovalutazioni delle vittime sono stigmatizzate nel dibattito pubblico, ma anche al fatto che, a parte i doverosi avverbi dubitativi, quasi nessuno metta in dubbio le accuse.

Alves si è difende malamente, cambiando ben tre versioni, dal negare di conoscere la ragazza per arrivare al “rapporto consenziente”. Ma, a rendere difficile la posizione del presunto aggressore sessuale, è il sistema investigativo e di appoggio alla vittima che si è messo in moto. Perché, e non il caso di cronaca ma questo è il punto che ci interessa raccontare, sono immediatamente scattate tutte le misure prese dalla Spagna in materia di appoggio alle vittime di violenza sessuale.

Torniamo, quindi, al 30 dicembre scorso, al racconto di cronaca come riportato dalla stampa spagnola. Mentre la ragazza esce dalla discoteca – Alves si era allontanato col suo amico poco prima – un vigilante della sicurezza ne nota l’espressione stravolta e si avvicina per chiedere informazioni. Scoppiata in lacrime, in stato confusionale, la ragazza fa capire di aver subìto un’aggressione sessuale. Il vigilante la accompagna in uno spazio tranquillo, informa la direzione e telefona, lui direttamente in quanto prima persona informata dei fatti, ai Mossos de Esquadra, la polizia catalana.

Questa reazione, che si rivelerà fondamentale anche per le indagini, non è dovuta solo alla prontezza e al senso del dovere del vigilantes in questione ma risponde a un protocollo di intervento specifico, il Protocollo “No callamos” (“Non azzittiamoci”) contro le aggressioni e le molestie sessuali negli spazi di svago notturno privato. Prodotto dal Comune di Barcellona, in coordinazione con la Generalitat catalana – che a sua volta, date le specifiche competenze in sanità e pubblica sicurezza, ne ha prodotto uno come governo regionale – i Mossos, il Sistema sanitario catalano e, in questo caso, le associazioni di categoria delle discoteche e sale da ballo.

La copertina dell’edizione in catalano del Protocollo

I Mossos hanno allertato la Unitat Central d’Agressions Sexuals (UCAS), composta per il 70 per cento da donne e personale comunque formato per relazionarsi con le vittime e avviare le prime attività investigative. Hanno parlato con la ragazza, registrando le prime dichiarazioni, identificato i testimoni, reperito e messo in sicurezza le immagini di tutte le telecamere e le prove materiali incontrate.

Il modello d’intervento coordina legislazione e pubblica sicurezza nazionale con le competenze delle Comunità autonome, che hanno autonoma potestà normativa e corpi di polizia, in un protocollo che viaggia sul doppio binario, di verifica del reato e di presa in carico e accompagnamento della vittima di violenza che, immediatamente, viene accudita dal punto di vista sanitario e psicologico.

Non è l’unico, ci sono, o si stanno producendo, protocolli per molti ambiti, come la scuola e l’università – qui quello della Complutense di Madrid –, lo sport – per i diversi settori, come i Centri di alta formazione o le federazioni sportive, qui la pallacanestro e il calcio —, i luoghi di lavoro, lo spettacolo dal vivo –.

Il primo elaborato a Barcellona, fu il Protocollo per le feste di Poble sec, un quartiere alle pendici del Montjuïc, nato dall’iniziativa di associazioni locali per affrontare il problema delle molestie, abituali durante la celebrazione della festa del quartiere. Si chiedevano la definizione chiara degli atti di aggressione, la tutela della libera volontà, lo sviluppo di strumenti di intervento, suggerendo delle modalità. Il comune accolse e rielaborò il progetto assieme alle associazioni, rendendolo operativo nel luglio 2015.

I passi raccomandati nel Protocollo per le vittime di violenza sono stati spiegati su La Vanguardia, da  Lluïsa Garcia Esteve, psichiatra e presidente della Commissione violenza intrafamiliare e di genere dell’Hospital Clínic di Barcellona. Queste indicazioni circolano in materiale illustrativo distribuito in tutti i centri di quartiere, la cui rete in città è ben curata, nelle scuole pubbliche, biblioteche e associazioni, in particolare la vasta rete femminista / LGBTQ+.

Nell’ambito dell’attività investigativa, la vittima viene messa nelle condizioni di poter raccontare tutto, senza esser giudicata o messa in dubbio per giudizi morali sui suoi comportamenti, mentre immediatamente partono i procedimenti investigativi, la ricerca di testimonianze o prove nella prima verifica dei fatti. Tutto avviene seguendo un preciso percorso.

Il protocollo è rivolto a tutti gli attori in gioco, locali, testimoni, forze di polizia, organizzazione sanitaria, e, naturalmente, anche alle vittime. La prima cosa è proteggersi, verificare che l’aggressore si sia allontanato e raggiungere un luogo sicuro.

Poi, cercare aiuto. Non restare soli, rivolgersi a parenti e amici, al personale di sicurezza se in un locale o in qualsiasi atto pubblico. Se non si può, recarsi comunque al più vicino centro sanitario. In Catalogna, e in Spagna, ogni città ne ha uno specificamente dedicato alla violenza sessuale. A Barcellona, per le persone maggiori di sedici anni, è il Clínic, e tutto il sistema del 112, il numero unico di emergenza, è organizzato per farvi riferimento.

Non restare soli, è continuamente raccomandato. Recarsi al centro sanitario, a fare la denuncia, è sempre consigliato di farlo accompagnati, perlomeno dal personale del servizio sanitario d’emergenza o delle forze dell’ordine. E va fatto subito, senza passare da casa, cambiarsi né farsi la doccia, per non perdere eventuali tracce biologiche; si raccomanda anche di evitare di bere molta acqua e di mangiare, adesso che vengono implementati nei protocolli d’intervento i test per  le sostanze usate nei sempre più denunciati “stupri chimici”.

Le indicazioni specifiche di intervento per gli operatori di sicurezza dei locali notturni, dal Protocollo elaborato dalla Generalitat catalana

Quando la vittima di violenza arriva nel centro sanitario, scatta un protocollo multidisciplinare interno al servizio di pronto soccorso, coordinato dal personale infermieristico. Prima di tutto, la vittima viene informata che, affinché le prove abbiano valore legale, ci vuole l’intervento di un medico forense, passaggio che non comporta obbligo di denuncia, scelta difficile a ridosso dei fatti, ma richiede comunque l’autorizzazione esplicita della persona. La nuova legge del “Solo sì è sì”, prevede che la “catena di custodia” delle prove possa essere attivata autonomamente dall’ospedale, ma la misura deve ancora essere implementata. A questo punto inizia un esame medico approfondito della durata di circa tre ore e mezza. Visita ginecologica, un’eventuale altra indagine chirurgica nel caso di lesioni anali, valutazione del rapporto rischi / benefici nell’applicazione di un’eventuale profilassi infettivologica e si apre un supporto a cura del reparto di salute mentale, con la partecipazione degli altri sanitari coinvolti.

Questo “protocollo sanitario integrale” è indipendente dal fatto che la vittima decida o meno di presentare denuncia penale. Viene ritenuto fondamentale nella cura della salute fisica e mentale delle persone sottoposte a violenza sessuale e per iniziare un processo di riparazione del trauma. Si prevede anche di prestare assistenza giuridica e legale. Tutto è finalizzato a che la vittima possa esprimere al meglio il racconto dell’esperienza che dichiara di avere subito, per facilitare il lavoro d’indagine, e arrivare a scegliere consapevolmente se procedere o meno alla denuncia.

Trattandosi di un delitto perseguibile obbligatoriamente d’ufficio, il reo verrà comunque giudicato se le accuse ritenute fondate dal Tribunale di garanzia, ma la vittima non potrà presentarsi nel giudizio come accusa. L’ordinamento penale spagnolo, a differenza del nostro, prevede che l’azione penale sia pubblica, dovere del pubblico ministero (che in Italia lo esercita in esclusiva) e diritto per tutti i cittadini. In un processo, oltre alla Procura, possono esserci anche l’accusa privata e quella del danneggiato. A complicare le cose, anche qualsiasi personalità fisica o giuridica, pur non essendo offesa o danneggiata direttamente dal reato, può costituirsi come accusa popolare — così, per esempio, il partito di Vox esercitò l’accusa popolare nel processo contro gli indipendentisti catalani, ottenendo una forte tribuna propagandistica –.

Il protocollo per le vittime di violenza, nel caso del Sutton club ha funzionato. Della parola della vittima nessuno ha dubitato, il personale ha correttamente proceduto senza tentare di coprire l’ospite importante, la polizia è intervenuta subito, specificamente preparata per il tipo di situazione. La vittima non si è chiusa nel silenzio per timore di non essere creduta dall’autorità: l’immediata verifica delle sue dichiarazioni e l’inserimento in un percorso immediato di “accoglienza” la rafforza e aumenta la fiducia nel meccanismo della giustizia.

In questo caso la ragazza è andata a presentare denuncia e, successivamente, come riferito da El País, ha rinunciato agli indennizzi in denaro. Nel generale riconoscimento del funzionamento del protocollo, questo passaggio è stato letto comunque come il risultato di una pressione sociale sulla vittima di violenza, che ritiene di dover dimostrare essere disinteressata, “pura”, rinunciando al suo diritto sancito e riconosciuto di richiedere i danni morali e materiali patiti per la violenza subita.

Al 31 ottobre 2022 sono passate dal Clínic circa seicento vittime di aggressioni sessuali, il 51 per cento in più dell’anno precedente, una media di due al giorno; il 100 per cento degli aggressori sono uomini, il 90 per cento delle vittime donne, il 53 per cento ha meno di 25 anni, circa il 50 per cento seguono il protocollo di assistenza anche nelle fasi successive ai fatti.

A queste cifre vanno aggiunte quelle dell’Hospital Vall d’Hebrón, centro di riferimento per le vittime fino ai sedici anni. Da novembre 2021 a novembre 2022, l’ospedale ha seguito 341 pazienti, erano 307 nel periodo di riferimento precedente. Il 79 per cento vittime di violenza sessuale, il 15 per cento di violenza fisica e il 3 per cento vittime di negligenza; bambine e adolescenti sono l’87 per cento delle vittime, maschi il 13, il 59 per cento ha meno di 12 anni. Come spiega Anna Fàbregas, del Servizio pediatrico dell’ospedale e coordinatrice del Gruppo EMMA, aumenta in maniera importante il fenomeno della “violenza fra uguali”, tra coetanei, specialmente tra gli adolescenti: gli aggressori dei pazienti trattati erano minori nel 32 per cento dei casi. Il 50 per cento degli episodi avviene in ambito intrafamiliare, nel 34 per cento dei casi è un genitore e nel 17 un cugino. Se la violenza avviene all’esterno della famiglia è stata esercitata nel 42 per cento dei casi da un coetaneo della vittima. L’83 per cento degli aggressori sono famigliari o conoscenti delle vittime.

Immagine di apertura: Dani Alves alla Fifa Club World Cup del 2009 ad Abu Dhabi, di Wael Mogherbi, [via Wikicommons]

La vittima e il campione ultima modifica: 2023-01-27T19:42:03+01:00 da ETTORE SINISCALCHI
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