Un consulente per mettere ordine alla Casa Bianca

Joe Biden perde Ron Klain, il suo capo di gabinetto e uno dei pezzi fondamentali della sua squadra. A sostituirlo - con qualche polemica - Jeff Zients, l’ex plenipotenziario del presidente sul Covid-19 con un curriculum di “consultant” gestionale.
MARCO MICHIELI
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Ron Klain, il chief of staff del presidente Joe Biden, ha deciso di dimettersi. Le ragioni sono private ma la decisione arriva in un momento difficile per il presidente democratico. Biden è infatti alle prese con un procuratore speciale, che sta indagando sulla sua gestione di informazioni riservate quando era vicepresidente di Obama, e con la Camera a guida repubblicana che avvierà commissioni di indagini sull’amministrazione e sulla famiglia del presidente.

Secondo la stampa americana, Klain stava valutando da tempo la sua uscita di scena. Aveva anche sottolineato pubblicamente la natura estenuante e faticosa della sua posizione. Elementi che non risparmiava nemmeno ai collaboratori. Klain è noto per inviare e-mail allo staff a tutte le ore e persino per controllare i prezzi della benzina nel cuore della notte. Un ritmo di lavoro che molti dei suoi colleghi consideravano insostenibile a lungo termine.

Il dimissionario capo di gabinetto è stato una figura fondamentale per i primi due anni dell’amministrazione Biden, ricoprendo un ruolo che è considerato uno dei più potenti del governo degli Stati Uniti (e non sottoposto ad alcuna ratifica parlamentare). Il chief of staff infatti agisce come un manager delle operazioni per la Casa Bianca, assicurando che l’istituzione funzioni e che le priorità politiche siano mantenute. È una sorta di “guardiano” del presidente e gestisce le persone con cui il presidente comunica e quelle con cui non comunica. Deve godere quindi della fiducia totale del presidente e deve saper trasformare la visione del presidente in politiche.

A sostituire Klain sarà Jeff Zients, l’ex plenipotenziario del presidente sul Covid-19. Sarà lui a dover gestire molto probabilmente la prossima campagna elettorale del presidente, se come sembra, dovesse ricandidarsi. 

Zients è vicino al presidente ma non è considerato parte del Bidenworld. Per il presidente ha gestito la fase di transizione con la presidenza di Donald Trump, prima di occuparsi della risposta dell’amministrazione Biden per far fronte al Covid-19, soprattutto per avviare la campagna di vaccinazione. Aveva poi dato le proprie dimissioni ma era ritornato in autunno per aiutare l’amministrazione a gestire i cambiamenti del personale, mentre entrava nella seconda metà del suo primo mandato. In passato aveva lavorato con l’allora vicepresidente di Obama come direttore del Consiglio economico nazionale ed è stato anche direttore ad interim dell’Ufficio di gestione e bilancio. Ha anche aiutato l’amministrazione Obama a risolvere i problemi legati all’avvio della riforma Obamacare, compreso il caotico lancio del sito web del programma.

Il nuovo chief of staff ha però trascorso gran parte della sua carriera professionale come consulente di gestione. Ha inoltre fondato Portfolio Logic, una società di gestione degli investimenti focalizzata sui settori della sanità e dei servizi alle imprese. Per queste ragioni la nomina ha suscitato polemiche. In precedenza, ha infatti contribuito alla supervisione di due aziende sanitarie coinvolte in accuse di frode contro Medicare e Medicaid, per le quali hanno pagato decine di milioni. Ed è stato poi membro del consiglio di amministrazione di Facebook. Il neo capo di gabinetto sembra godere però della fiducia totale di Biden e dei suoi consiglieri senior, nonostante non abbia “trascorso anni a imparare le stranezze di Biden e ad assimilare le sue teorie politiche”, né abbia “una padronanza del manuale d’uso per affrontare gli occasionali scoppi d’ira di Biden” o “un sesto senso per capire quando il capo non si lascia smuovere da una posizione profondamente radicata”, come racconta Franklin Foer su The Atlantic.

Jeff Zients e Joe Biden

Klain è solo uno degli ultimi esponenti dell’amministrazione democratica a lasciare il proprio ruolo. Secondo Brookings Institution, sono ventuno le personalità principali che hanno scelto di dimettersi in questi due anni. Non solo lo stesso Zients, quando si è dimesso da responsabile delle politiche della Casa Bianca per far fronte al Covid-19, ma anche Dana Remus, consigliera di Biden, Jen Psaki, l’addetta stampa, e Gina McCarthy, consigliera nazionale per il clima. Tra le altre partenze critiche vi è stata anche quella dell’assistente del presidente e direttore della gestione e dell’amministrazione, Anne Filipic, la “spina dorsale amministrativa” della Casa Bianca.

Anche se la vicenda complica non poco i prossimi due anni di Biden, il fatto che molti collaboratori del presidente decidano di lasciare l’amministrazione non è sorprendente. Sempre secondo i dati di Brookings Institution, tutte le amministrazioni – tranne una – dal 1981 hanno registrato un aumento delle partenze dei principali consiglieri al secondo anno. Anche se il tasso di turnover al secondo anno della squadra di Biden è il secondo più alto (32 per cento) dopo Ronald Reagan con il quaranta per cento, la combinazione di primo e secondo anno pone Biden al terzo posto (quaranta per cento), dopo Donald Trump (66%) e Reagan (57 per cento).

Che gli ultimi due presidenti tuttavia risultino in testa in questa “classifica” stilata da Brookings Institution pone qualche interrogativo. Se lo stile caotico di governo di Trump può essere indicativo della volontà di molti collaboratori di dimettersi, è tuttavia da sottolineare che la polarizzazione del sistema politico e il moltiplicarsi dei fronti legislativi della presidenza potrebbero aver incentivato il turnover.

Basti pensare che soltanto nel 2022 Klain ha dovuto guidare l’amministrazione Biden attraverso l’aumento dell’inflazione, le continue difficoltà con il Covid-19, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, un processo di conferma della giudice Ketanji Brown Jackson alla Corte Suprema straordinariamente lento e i timori della vittoria repubblicana alle elezioni di midterm. La costruzione delle politiche e delle coalizione a sostegno di quelle politiche è un lavoro estenuante e faticosissimo che necessita di personalità in grado di tenere assieme giudizio politico, conoscenze dei singoli dossier e capacità organizzative e relazionali.

Un ruolo quello del chief of staff che diventa sempre più complesso e che “consuma” la persona che lo ricopre. Perché la moderna figura nasce proprio con lo scopo di dare al presidente tempo e spazio per fare “politica”. Almeno questo è quello che pensava Nixon quando scelse H.R. Haldeman – il suo “son of a bitch” lo definì – per ricoprire quel ruolo ed evitare tutti gli incontri privati tra un individuo guidato da una propria agenda politica e il presidente.

H.R. Haldeman, capo di gabinetto di Richard Nixon
Un consulente per mettere ordine alla Casa Bianca ultima modifica: 2023-01-31T18:56:00+01:00 da MARCO MICHIELI
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