Come una preghiera laica

Sulla poesia di Luca Pizzolitto.
EZIO SETTEMBRI
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Questo svegliarsi molte ore
prima del mattino,
un vento leggero,
il canto impervio della luce.
Nella grazia di un Dio che è
e che diviene, 
nel grato abbandono 
di ogni uomo che
illumina il mondo
– sottovoce,
quasi senza sapere.

La poesia, quando è autentica, richiede un’assunzione di responsabilità. La parola è azione, comportamento, militanza, nel suo senso più nobile, nel momento in cui si sente investita da un impegno che non sia la difesa della “piccola chiesa” o fazione, ma dell’umano nella sua universalità e verità. Mi sembra utile partire da queste considerazioni per addentrarmi nella ricerca di Luca Pizzolitto, autore che ha già all’attivo diverse raccolte di poesia, unite a un’attività di diffusione, lettura, confronto che comunicano direttamente con la pratica dei propri versi. Lo stesso titolo della sua ultima raccolta, Crocevia dei cammini, suggerisce a mio parere l’ipotesi di un’opera come punto di incontro nel quale confluiscano le voci dei poeti amati e quelle dei sodali che Luca ama frequentare nella dimensione del cenacolo, più che del circolo letterario, il club esclusivo di chi deve proteggere un presunto prestigio acquisito. Potremmo dunque richiamarci alla celebre affermazione del grande Maestro anconetano Franco Scataglini, di una poesia che “si spezza col pane e si beve col vino”, ad indicare il rapporto dialogico di un cenacolo inteso come palestra all’interno della quale mettere continuamente in discussione la propria arte.

Credo sia questo il senso anche della collana che Pizzolitto dirige dal 2022, e che ha ospitato anche la mia raccolta D’altra luce, in uscita. La collana portosepolto si affianca al progetto preesistente, bottega portosepolto, un blog di approfondimento sulla poesia contemporanea che si distingue per la qualità degli interventi. Parlare di bottega, riguardo la scrittura, implica innanzitutto un distanziarsi dall’atrofia immaginativa e dall’eccessiva astrazione della neoavanguardia, seguendo quella che uno dei più potenti manifesti, sebbene implicito, della Terza Generazione, chiamava “Esperienza della poesia” (Vittorio Sereni, Gli immediati dintorni), con tutta la concretezza e l’umiltà del lavoro artigianale che si esprime in Luca nella generosa attenzione rivolta ai Maestri del Grande Stile, quanto alle grandi voci del passato riportate alla luce, fino ai sodali del proprio tempo. Alcune stelle fisse del proprio percorso ricorrono in modo esplicito, sul piano stilistico e della pronuncia: Ungaretti dell’Allegria, vero e proprio livre de chevet del Nostro; da Ungaretti i simbolisti francesi fino a Bonnefoy; Scarabicchi, solo per restare ai riferimenti ineludibili. 

In particolare, la poetica e il dettato verticale di quest’ultimo, grande Maestro marchigiano recentemente scomparso, si sono rivelati decisivi nella penultima raccolta di Pizzolitto, La ragione della polvere (peQuod, 2020), incentrata sulla caducità dell’esistente, se confrontiamo i versi di Scarabicchi da Il viale d’inverno (1989):

Tutto sommato,
quello che conta è poco,
il resto va,
polvere d’ogni vivo,
quel di più che non giunge
a perfezione alcuna.

con alcuni versi essenziali di Pizzolitto:

Andiamo da sempre verso un luogo
senza tempo e senza nome,
l’ora muta della sera avvolge
in un sudario i nostri volti
e ciò che di noi rimane.

Luca Pizzolitto

Peraltro, la lezione di “monachesimo lessicale” derivata da Scarabicchi, si rivela già presaga degli sviluppi futuri, nei quali Pizzolitto ritorna alla ricerca di senso tipica del nomade ungarettiano. Come suggerisce il titolo, Crocevia dei cammini (dedicato proprio a Scarabicchi e ad Emidio Alessandrini) è infatti la testimonianza di un attraversamento: Pizzolitto indugia sul significato del proprio mettersi in relazione con l’alterità, fatica e dolore compresi, senza sublimare esteticamente la propria esperienza, ma limitandosi ad una restituzione lirica ed esistenziale. “La vita, amico, è l’arte dell’incontro” amava ripetere Vinicius De Moraes, poeta e compositore di samba, che prese questa sua felice espressione per intitolare un album del 1969 che vedeva protagonisti Sergio Endrigo e Ungaretti.

Sono parole che, in una differente declinazione, anche dal punto di vista semantico, mi piace attribuire anche alla raccolta di Pizzolitto soprattutto per la sua capacità di esporsi, di lasciarsi spiazzare dall’ “allegrezza della poesia”, se mi è permesso citare lo Zibaldone di Leopardi. Differenze semantiche, dicevamo, rilevabili nel persistere di un lessico legato al deserto o all’inquietudine di un paesaggio invernale che esplicita anche il carattere civile della posizione di Pizzolitto, nell’attraversare l’inverno/inferno della Storia. La ricerca del poeta, come sempre condotta su componimenti brevi, ma distesi, si sviluppa lungo un percorso conoscitivo all’interno del quale la dialettica tra lo spazio fuori di sé e la propria interiorità non viene mai drammatizzata: la sintesi a cui porta la poesia altro non è che una domanda, l’interrogativo di chi rivolge al mondo una preghiera laica capace di lenire, mai del tutto colmare, una sete di senso personale ed universale:

Tornare, quando fa sera,
tornare all’abisso che divora,
al grido deserto, al ramo spezzato;
sul tuo corpo giace, priva di forza,
la santità di un dolore antico,
immolato.

Senti come trema la voce
di questa fede immatura,
senti l’invisibile crepa
che avanza nel nostro domani.

La poesia di Luca Pizzolitto possiede il coraggio di lasciarsi intridere dalla passione, da uno scandaglio interiore anche doloroso, senza tuttavia rivoltarsi per maledire il mondo, e in questo senso legandosi alla linea creaturale della migliore poesia italiana:

Sia benedetto il vuoto
che ingoia e mastica, 
sia benedetto il tempo
avaro di speranza,
sia benedetto il pianto,
la nuda miseria, la malattia.
I bianchi fiori recisi 
dei nostri deserti.

Dicevamo dell’ascendenza ungarettiana e del versante che dai simbolisti francesi arriva fino a Bonnefoy: ma sarebbe eccessivo soffermarsi su questioni culturalistiche. La lirica di Pizzolitto è sì colta, ma insieme capace di innestare le proprie radici nelle letture e viceversa, per dirla con Seamus Heaney. Una delle qualità migliori dei suoi versi è nel prendere sul serio gli interrogativi riguardo l’opera come sulla propria esistenza, restituendo a entrambe la sacralità perduta. Solo in questa prospettiva, dalla ricerca del varco, di uno spiraglio di senso, può scaturire la possibilità che si manifesti il miracolo montaliano, aprendo all’arte le proprie “riserve umane di dolore” (Luzi), come nella poesia finale che dà il titolo alla raccolta:

Nello spazio sacro della sera,
nel volgere a compimento
di tutte le cose,
scenda ancora su noi la grazia,
una dolce benedizione.

A Te giunga il canto
di questo inquieto esistere,
a Te giunga il grido
che non trova pace, ragione.

In fondo, scriveva il poeta inglese Coventry Patmore, il mistico e il poeta vivono dello stesso movimento, con una differenza capitale: il mistico non parla; il poeta usa le parole. Credo vada reso merito alla poesia di Luca Pizzolitto, al coraggio, nel chiacchiericcio imperante di oggi, di una parola che sappia imporsi fragile e limpida al nostro ascolto. 

Crocevia dei cammini
di Luca Pizzolitto
peQuod Edizioni, 2022
Prezzo: Euro 13,00

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Come una preghiera laica ultima modifica: 2023-02-03T16:57:16+01:00 da EZIO SETTEMBRI

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