È ormai ben noto, sicuramente ai veneziani residenti, ma anche ai lettori attenti dei quotidiani, che la gondola sta vivendo un altro passo della sua secolare evoluzione. Stiamo parlando dell’uso sempre più diffuso di tagliare il “pizo” poppiero, ossia l’estremità dell’asta (in italiano “ruota”): si tratta della porzione terminale superiore, sporgente rispetto ai collegamenti del fasciame all’asta stessa. Questa consuetudine è iniziata qualche anno fa incernierando il pizo, per poterlo ribaltare momentaneamente, ma oggi sempre più spesso si vedono poppe del tutto mozzate e addirittura rifinite con una lastrina piatta di acciaio, senza traccia del terminale; tanto da suscitare l’attenzione di qualche giornalista.
Qual è la funzione del pizo? assolutamente nessuna, salvo essere un completamento estetico.
Nei secoli passati, le estremità di tutte le barche veneziane, a prua come a poppa, ne chiudevano la forma protendendosi verso l’alto (poco o tanto secondo le tipologie) formando così una conclusione slanciata all’imbarcazione. Questa soluzione assecondava con semplicità la naturale tendenza delle tavole di fasciame che venivano piegate verso le estremità, ma con mirabile pragmatismo divenne anche una prassi estetica consolidatasi nel corso del tempo.
Per fare qualche esempio – purtroppo di barche per la maggior parte scomparse – oltre alla gondola e sue varianti (barchéta, móza) citeremo bissona, caorlina, batèla (veneziana, quella che oggi viene definita “a cóa de gambaro“) e perfino la grossa peata.
Noteremo per inciso che quasi tutte sono/erano imbarcazioni utilitarie e non da diporto: infatti, fino ai tempi moderni, nella cantieristica veneziana il senso estetico coinvolgeva anche le umili barche da lavoro, poiché con la propulsione remo/velica valeva sempre il concetto che una barca dalle linee eleganti possedesse anche una buona idrodinamica.
Spesso le estremità delle aste terminavano oltre la linea del fasciame, formando appunto il pizo. Ovviamente nella gondola la componente estetica ebbe maggior importanza, e dal XVI secolo le sue aste si slanciarono notevolmente, facendo anche da supporto ai ferri – a prua come a poppa – a loro volta alti e sinuosi.
Anche in tempi antichi ferri molto elevati, però, creavano problemi al passaggio dei ponti; quindi per praticità quello poppiero venne rimosso e, dalla fine del XVIII secolo, sostituito da un piccolo ricciolo metallico. Ma l’asta rimase alta, elegante e non problematica.
Fino ai tempi moderni.
Oggi, invece, le gondole molto spesso non riescono a passare sotto i ponti, e viene spontaneo pensare che l’acqua abbia raggiunto un livello sempre più alto (infatti ci serve anche il M.O.S.E.) ma pochi sanno che questa è solo la metà del problema: già, poiché fermo restando il livello dell’acqua maggiore, è invece la gondola che oggi è più alta! Questo perché dalla metà dell’Ottocento iniziò una tendenza costruttiva ad accentuare la normale insellatura longitudinale (che in tutte le imbarcazioni contrasta le spinte idrostatiche) e ciò diede sempre più alla gondola quella forma “a mezzaluna” oggi da tutti riconosciuta. Tale accentuazione personalizzata – nella misura concordata col committente – viene ottenuta a barca quasi completa, forzandone la struttura prima di fissare il fasciame del fondo (la cosiddetta fracàda, appunto).
Le ragioni di questo progressivo sollevamento dall’acqua di prua e poppa sono pratiche ma anche molto estetiche: il progressivo avvento della motorizzazione nautica esautorò via via la gondola dal suo essere mezzo di comunicazione anche lagunare, relegandola a trasporto cittadino, e l’apparire del turismo la fece concentrare sul moto lento nei canali, piuttosto che su rapidi spostamenti per cittadini indaffarati. Mutando quindi la funzione, i gondolieri-proprietari richiesero ai costruttori una barca più manovriera, e questo si ottiene diminuendo la lunghezza della parte immersa, appunto rialzando dall’acqua le estremità. Questo comporta però una riduzione della velocità (pensiamo alle barche da canottaggio, lunghe, sottili e adagiate) ma per delle passeggiate cittadine non c’è fretta…
A conferma, la tendenza ad aumentare l’insellatura oggi coinvolge anche i sandoli turistici, dal medesimo utilizzo.
Per la gondola, a questa ragione prettamente utilitaria si affiancò anche un importante fattore estetico/psicologico: bisogna sapere che fino alla metà del Novecento la cantieristica non conosceva viti, colle e resine, e tutta la struttura veniva solo inchiodata; col tempo il legname si rilasciava e, nonostante fossero previsti interventi di ripassatura delle chiodature, una barca vecchia perdeva inesorabilmente la sua insellatura e veniva appunto definita scavezada (“rotta”). Di conseguenza, una gondola dalle estremità sollevate dichiarava la sua recente costruzione, e che il proprietario si era potuto permettere la “barca nuova”, specie in periodi in cui i gondolieri riuscivano a malapena a sbarcare il lunario.
Ecco il risvolto psicologico: prua e poppa svettanti sono motivo di orgoglio. E spesso, al momento della commissione, il gondoliere dice allo squerariòl che la vuole «bella alta», preferibilmente più di quelle dei colleghi…
Ma oggi, serve? No.
I metodi attuali di costruzione moderni garantiscono che le barche mantengano la forma ottimale anche col passare degli anni. E soprattutto gli odierni gondolieri hanno i mezzi per cambiare la barca ben prima che diventi vetusta.

Qui sta il punto. Di forzatura in forzatura, le gondole attuali raggiungono un’altezza maggiore di almeno una trentina di centimetri rispetto a cento anni fa. Chiaro che tale misura, assieme al livello elevato dell’acqua, crei problemi sotto i ponti. Ma non solo: anche il baricentro della gondola si è spostato verso l’alto, e le notizie degli ultimi anni su gondole rovesciatesi o fortemente sbandate, fino a far cadere in acqua gli occupanti, ne sono la prova… le onde saranno pure l’innesco, ma come mai non succede alle altre barche, pur piccole?
Detto ciò, il rimedio sembrerebbe ovvio: rialzare meno le estremità. Macché! cos’hanno pensato i gondolieri? Una scelta draconiana, anzi “robespierriana”: accorciare la poppa tagliando il pizo.
Si dirà che questa è comunque una soluzione; però non risolve il problema della stabilità, e della conseguente responsabilità nei confronti dei passeggeri.
E pensare che tutto si riconduce a un vezzo estetico, poiché i gondolieri hanno un bel dire che la prua alta fa affrontare meglio le onde scomposte; ma non è così, come confermano i costruttori (che a volte tentano di proporre gondole più distese, ma senza successo) perché una prua meno elevata di una ventina di centimetri non deprime affatto la capacità nautica, mentre invece il baricentro abbassato anche solo di una decina di centimetri migliorerebbe molto la stabilità.
Ma come si farà a convincere i gondolieri? pensate che qualcuno di noi, vedendo una gondola meno insellata, penserà proprio che il suo proprietario è “povero”..?
Già, tutta una questione di estetica. Ma quale estetica è preferibile?
Quella secolare, dell’umile squerariol, che perdeva ore pur di avviare una curva con la giusta eleganza, riuscendo a protendere con levità verso il cielo il pizo di una batèla pur sapendo che magari avrebbe trasportato carbone?
O quella odierna, pragmatica, che vive la gondola come mera fonte di guadagno e considera le sue forme un retaggio arcaico, ma che pur di mantenere una prua “alta”, non passando sotto i ponti prende semplicemente una sega, tanto la curva della poppa a chi importa come finisce..?
Io sono di un’altra generazione, e non ho dubbi, ma… «ai posteri l’ardua sentenza».

Gianfranco Munerotto è autore de La gondola nei secoli (Mare di Carta), il libro più bello e più completo sulla gondola. Un testo colto e avvincente, corredato di illustrazioni e immagini, dell’autore stesso, e testimonianze iconografiche.


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