Fonte di ispirazione che non conosce epoche, scuole, periodi di “oblio” compositivo, la primavera è tra i temi ricorrenti nella storia della musica occidentale, dal barocco al romanticismo al Novecento. Dal primo Settecento veneziano di Antonio Vivaldi che, ovviamente, aprì le sue Quattro stagioni con un omaggio, tanto leggero quanto appassionato, alla “stagion dei fiori” (così vien detta nella Bohème di Puccini), a Schumann che le dedicò la prima delle sue quattro sinfonie, a Chopin fino a Stravinsky e Rachmaninov è arduo trovare un compositore che non abbia musicato la primavera. Stagione che, per sua propria natura, si traduce sul pentagramma in una vera e propria indicazione armonica e melodica con conseguenti perimetri espressivi di ritmo e di timbro.
Tra i tanti autori non vogliamo ovviamente dimenticare Beethoven, autore di dieci sonate per violino e pianoforte una delle quali è, appunto, la quinta sonata Primavera, tra le nostre preferite e della quale qui vogliamo parlare. Il celebre “allegro” iniziale, che verrà in parte evocato nello “scherzo” finale, più che un “inno alla primavera” suona come un “gentile benvenuto” alla nuova stagione (e forse alle speranze che il nuovo secolo – fu composta nel 1800 – sembrava potesse promettere). La tonalità in “Fa maggiore” contribuisce a sottolineare, con musicale sicurezza, il lieve scorrere del fraseggio, peraltro espresso con decisa sonorità dal violino e con la “devota” moderazione del pianoforte. Il secondo movimento (“Molto adagio, espressivo”) è caratterizzato al contrario dal ritmo sognante di un malinconico risveglio dal violino, sempre protagonista, accompagnato dalla dolcezza del piano, grazie alle sue scale e agli arpeggi eseguiti su diverse ottave. Può sembrare strano insistere su questa asserita “subordinazione” del pianoforte al violino, circostanza che, a nostro parere, affonda le sue radici nei Lieder di Schubert.

Negli oltre seicento Lieder composti nella sua breve vita, il pianoforte, assolutamente indispensabile, è tuttavia “al servizio” del cantante, sia esso un soprano o un baritono. Le arie schubertiane più famose sono cantate, è la voce umana che si avvale dell’accompagnamento del pianoforte. Successivamente, nella musica da camera, riteniamo che la voce umana sia stata sostituita dal violino e dagli altri archi che regolarmente pongono in una posizione di sudditanza il pianoforte. In alcuni dei suoi Lieder più famosi (Die Forelle, Auf dem Wasser zu singen o la serenata Leise flehen meine Lieder) cantati, ad esempio, dall’impareggiabile soprano americano Cheryl Studer, la musica del Klavier è ridotta a una musica di sottofondo, È vero che gran parte dei Lieder di Schubert sono stati trascritti per “piano solo” per il piacere degli appassionati di musica, ma è anche vero che su queste trascrizioni intervenne spesso Franz Liszt, virtuoso senza pari della tastiera, che non colse tuttavia la divina semplicità del compositore viennese intervenendo quasi con “violenza” sulle partiture originali, ricorrendo a mille “abbellimenti”, ripetizioni, arpeggi e note accessorie destinate a snaturare la pura bellezza dell’opera di Schubert.

Peraltro è vero che il pianoforte moderno è nato con Beethoven che, per questo “pronipote” del clavicembalo, compose 32 sonate e cinque concerti rispetto all’unico concerto per violino. Ma la supremazia dello strumento che Paganini e i liutai cremonesi (Amati, Guarneri e Stradivari) ancora consideravano il “principe” della musica da camera e anche sinfonica, si rese ancora più che evidente con la famosissima Sonata a Kreutzer (della quale scrivemmo su queste pagine). Per quanto riguarda, comunque, la Primavera, Beethoven apporta alcune significative novità. Pur rispettando il modulo “veloce-lento-veloce” che caratterizzava ogni sonata di qualsiasi strumento, il grande musicista di Bonn aggiunse al terzo, breve, movimento “Scherzo, allegro molto” (lo “scherzo” era una forma musicale che lui stesso sembra abbia contribuito a creare) un quarto tempo (“Rondò, allegro ma non troppo”) che in parte ricorda il primo movimento.
Il rondò era una forma tipica della tradizione musicale francese, basato sull’iterazione di un refrain (anche ballabile) che aveva nel Settecento incontrato i favori degli ascoltatori, fossero essi aristocratici o meno. Furono forse questi gli anni del primato musicale del violino. Dopo Beethoven vennero i “romantici” che promossero il pianoforte a “strumento sovrano” in assoluto. Tutto ciò fu opera di Schubert, Schumann, Mendelssohn ma, soprattutto, come appare ovvio, da due grandi compositori venuti dall’est, Chopin e Liszt.

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