Roberto Carlos, il campione oltre

ROBERTO BERTONI BERNARDI
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Roberto Carlos sfidava la forza di gravità con le sue folate offensive e le altre leggi della fisica con le sue punizioni ai limiti dell’impossibile. Diciamo che era un campione oltre, un calciatore senza limiti, un fenomeno che ha illuminato le nostre serate di Champions e un avversario che nessuno era felice di incontrare, anche se va detto che, al termine della partita, spesso non si poteva far altro che fargli i complimenti per averci regalato un saggio della sua classe. 

Brasiliano che più brasiliano non si può, è nato a Garça, nello stato di San Paolo, il 10 aprile del ’73, dunque ne fa cinquanta, e noi ci chiediamo come sia stato possibile che un fuoriclasse del genere abbia già raggiunto “il mezzo del cammin”, ritenendolo una sorta di highlander, un dio destinato all’immortalità e un personaggio prossimo all’onnipotenza. Ponendo un freno alla retorica, pur necessaria al cospetto di un simile portento, bisogna precisare a chi non lo ha visto giocare che Carlos era pressoché imprendibile, tanta era la sua potenza fisica e la rapidità del suo scatto. Terzino sinistro moderno, indossava la maglia numero 3 nel Real Madrid e la numero 6 nel Brasile, risultando, insieme a Maldini, il miglior interprete del ruolo nella sua generazione. A ciò aggiungiamo che era uno specialista dei calci di punizione, al punto che spesso i suoi tiri costituivano altrettante sentenze, oltretutto preparate con uno stile inconfondibile e una rincorsa che bastava da sola a terrorizzare portieri e difese. Carlos, del resto, si presentò al mondo a ventiquattro anni, contro la Francia, in una partita del Torneo di Francia, prova generale dei Mondiali che i transalpini avrebbero organizzato e vinto l’anno successivo, proprio contro il Brasile. Si impadronì del pallone, lo sistemò con sicurezza a terra e prese la rincorsa, per poi esplodere un tiro d’esterno che non si può descrivere a parole. L’effetto che il nostro riuscì a imprimere alla palla fu, infatti, assurdo, fuori da ogni logica: un esterno che si insaccò alle spalle dello sfortunato Barthez e che lo stesso autore del gesto non è mai stato in grado di spiegare. Fatto sta che, da quel momento in poi, nulla è stato più come prima: nella sua vita e nella nostra di appassionati e di tifosi.

Quando si pensa a Roberto Carlos, vengono in mente non tanto i trofei, anch’essi incredibili per quantità e prestigio, quanto le giocate. Come ci si può scordare, ad esempio, l’assist che servì a Zidane nella finale di Champions contro il Bayer Leverkusen? Un cross al volo che Zizou girò in rete con una semi-rovesciata destinata a passare anch’essa alla storia. 

Carlos, del resto, è un’icona del Real Madrid e del calcio mondiale. Ha vinto da protagonista praticamente tutto, ha alzato la Coppa del mondo nel 2002 col Brasile e ha fallito la conquista del Pallone d’oro solo per l’ottusità dei giurati di France Football, che quell’anno si rifiutarono di assegnarlo ex aequo a lui e a Ronaldo. Poco male: non è il Pallone d’oro o qualche altro riconoscimento individuale, per quanto significativo, a fare la differenza nella carriera di un calciatore. 

Roberto Carlos ha rappresentato un’esplosione di meraviglia e di splendore, come se si fossero mescolate e racchiuse in una sola persona Samba e Capoeira. Aveva nel sangue i ritmi e le storie del suo Paese, coniugati con la razionalità tipica del Vecchio Continente e con la mentalità vincente tipica della Casa Blanca. 

Non era, dunque, uno di quei brasiliani fondamentalisti, per cui la giocata viene prima di tutto e prescinde dell’utilità e dal contesto, anche se era a sua volta un cultore del bel gioco e dell’eleganza dei gesti.

Un moto perpetuo, un impeto costante, praticamente un’ala, tanto che l’Inter commise il “crimine” di lasciarselo sfuggire, ritenendolo poco difensivo. E in effetti all’epoca lo era, ma a Milano non compresero la rivoluzione, che oggi pare scontata ma non lo è stata affatto, del terzino che, sostanzialmente, si trasforma in ala e progressivamente impara a ricoprire entrambi i ruoli a seconda delle necessità del momento. 

Modernissimo, come detto, era come se ogni volta indossasse un’armatura e si lanciasse all’assalto, animato da una grinta senza pari, da una tenacia che faceva la differenza e da una forza complessiva che raramente si è vista sui campi di calcio. Oltretutto, era anche un giocatore profondamente tecnico e capace di svolgere, col passare degli anni, le due fasi, difesa e attacco, con la medesima abnegazione e risultati quasi sempre entusiasmanti. 

Cinquant’anni, e ancora ci ricordiamo l’effetto ottico dei suoi calci di punizione, il suo andare al di là di ogni immaginazione, il suo essere spesso decisivo e la sua capacità di modificare radicalmente gli equilibri della squadra. Non a caso, benché meno celebrato rispetto ai cosiddetti “galacticos” di inizio millennio, nell’undici titolare del Real Madrid lui c’era sempre. E c’era perché non se ne poteva fare a meno, perché costituiva la quintessenza del madridismo e perché faceva scuola. Oggi, nell’era dei social e del calcio trasformato in un videogioco, sarebbe stato comunque titolare, avendo anticipato di vent’anni ogni tendenza e non essendo stato rimpiazzato, nel cuore dei tifosi del Real, nemmeno da Marcelo, ancora più ala, ugualmente dotato tecnicamente ma senza quel carisma e quella potenza dinamitarda nel sinistro che rendeva Carlos un costruttore di gloria e un demolitore di avversari. 

Mezzo secolo: ero bambino quando ti ammiravo le prime volte. Ma perché il tempo è più veloce persino delle tue punizioni? 

Roberto Carlos, il campione oltre ultima modifica: 2023-04-11T16:33:06+02:00 da ROBERTO BERTONI BERNARDI
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