Non è solo nella vicina Francia che i sindacati sono tornati a fare rumore. Streik (sciopero), Warnstreik (sciopero di avvertimento), Mega-Streik (mega-sciopero) sono termini alla moda in questo momento dall’altra parte del Reno.
Giovedì e venerdì a essere bloccato è stato il settore dell’aviazione. Il sindacato Ver.di ha indetto uno sciopero che ha interessato gli aeroporti di Düsseldorf, Amburgo e Colonia/Bonn. La protesta dei lavoratori s’inserisce nella trattativa tra Ver.di e l’Associazione federale delle imprese di sicurezza aerea. Venerdì a fermarsi poi è stato anche il trasporto ferroviario. EVG, il sindacato dei ferrovieri, sta cercando di negoziare per i suoi 230mila iscritti un aumento di stipendio del dodici per cento, o almeno 650 euro in più al mese. Deutsche Bahn tira al ribasso e offre un incremento del salario del cinque per cento e dei premi fino a 2500 euro.
Tale tornata di scioperi è solo l’ultimo episodio di una stagione di rinnovato attivismo dei sindacati in Germania. L’inflazione al 7,4 per cento (nel 2022 è stata del 7,9 per cento) è una febbre che colpisce il gigante d’Europa e i suoi cittadini, i quali fanno i conti con l’erosione progressiva del loro potere di acquisto.
Lunedì 27 marzo l’intero paese si è fermato a causa di una seri di scioperi soprattutto nel settore delle ferrovie e dei trasporti pubblici. Un vero e proprio Mega-Streik, definito dai commentatori tedeschi come il più grande negli ultimi trent’anni.
A lanciarlo sono stati Ver.di – potente sigla sindacale che rappresenta più di mille professioni nel campo dei servizi, dalla finanza alla comunicazione, dagli impiegati statali a quelli della poste, fino alle spedizioni, la logistica e i trasporti – e EVG. Obiettivo del mega-sciopero, alzare la posta nelle contrattazioni collettive, in un escalation del tutto inusuale. Alcuni commentatori hanno addirittura parlato di una rottura culturale per il paese, lontana dai toni più pacati con cui di solito ha luogo la negoziazione salariale in Germania.
Frank Werneke, dal 2019 leader di Ver.di, acronimo che sta per Vereinte Dienstleistungsgewerkschaft (Unione dei sindacati del settore dei servizi), ha giustificato il blocco totale del 27 marzo insistendo sulla necessità di recuperare terreno rispetto all’inflazione arretrata:
È meglio inviare un segnale forte ora, che avere settimane di controversie sindacali con relative conseguenze.
Da un lato, Ver.di chiedeva un aumento salariale del 10,5 per cento per gli impiegati statali e comunali, o almeno cinquecento euro di più al mese. Dall’altro, i datori di lavoro offrivano solo un aumento del cinque per cento.
La situazione si è finalmente sbloccata ieri grazie a un’intesa tra Ver.di e i datori di lavoro nel settore pubblico. Lo ha annunciato Nancy Faeser, ministra dell’Interno. Secondo l’accordo, ogni impiegato statale riceverà, da qui a febbraio 2024, un premio di 3000 mila euro – esenti da imposte – per far fronte all’aumento del costo della vita. A partire da marzo 2024 poi, i salari aumenteranno di duecento euro al mese e, in una seconda fase, ci sarà un aumento del 5,5 per cento. I comuni lamentano “l’accordo più caro di sempre”.

La prova di forza è stata anche una boccata d’ossigeno in termini d’iscritti per Ver.di, che è la seconda sigla sindacale più grande della Germania (dopo IG Metall, il sindacato dei metallurgici) ma che negli ultimi anni ha fatto i conti con un’emorragia di associati. Ver.di nasce infatti nel 2001, dalla confluenza di cinque sigle che rappresentavano ognuna categorie specifiche (impiegati statali; poste; commercio, banche e assicurazioni; media e cultura; trasporti pubblici). Nel 2001 Ver.di aveva 2,8 milioni di iscritti. Ora invece ne ha solo 1,8 milioni.
La nuova ondata di proteste ha fermato l’esodo, grazie a un impennata di adesioni, con 70mila nuovi membri dall’inizio dell’anno. Si tratta del più grande picco di iscrizioni dalla nascita del sindacato.
Il Mega-Streik ha attirato però anche pesanti critiche da parte del mondo imprenditoriale e della politica.
Il diritto di sciopero viene sfruttano in modo esagerato,
ha dichiarato Karin Welge, sindaca socialdemocratica di Gelsenkirchen, responsabile di guidare i negoziati per conto delle amministrazioni comunicali. Le fa eco Steffen Kampeter, amministratore delegato della Confederazione delle associazioni dei datori di lavoro tedeschi:
Chiunque agisce in questo modo lo sta facendo in maniera sproporzionata e sta mettendo a rischio l’accettazione del diritto di sciopero.
È una battaglia politica che riguarda le percezioni dei tedeschi rispetto alle soluzioni che dovrebbero essere messe in atto per lottare contro l’inflazione.
Da un’altra parte del paese, a Francoforte, la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, mette da tempo in guardia contro il rischio di una spirale prezzi-salari. Secondo la presidente della Bce, andrebbero evitati forti aumenti salariali e i costi dell’inflazione dovrebbero essere equamente distribuiti tra aziende e lavoratori. Il rischio altrimenti è che prezzi e salari si spingano verso l’alto a vicenda, rendendo l’inflazione fuori controllo.
Per alcuni questa dinamica sarebbe già in atto. Come Joachim Nagel, presidente della Bundesbank, secondo cui
gli attuali accordi salariali in Germania non sono compatibili con la stabilità dei prezzi a medio termine nell’area dell’euro.

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