Gianluca Marcon,
Venezia in barca. Come sopravvivere fra le isole della Laguna,
Mare di carta, Venezia

Della guida di Gianluca Marcon va posto in primo piano il suo importante intento educativo, offerto in modo chiaro e semplice e con disegni dell’autore davvero accattivanti, che si sviluppa su due direttrici: il rispetto dell’ambiente, che intesse in filigrana molte delle pagine del libro, e la sicurezza del diportista, per la quale ho un interesse ambivalente.
Voglio essere chiaro: trovo fondamentali e centrati i consigli sparsi a piene mani per evitare gli abbordi, per rispettare i limiti di velocità, per non offendere il naviglio minore a remi o a vela, e anzi per consigliarne l’uso.
Mi è invece indifferente, e anzi quasi ne godo (scusate, sono un incazzato cronico ma anche onesto nel dirlo), se un gommonauta perde l’elica su una motta di sassi fuori dai canali navigabili, o se si incaglia in secca, o se un incapace impicca la sua barca a una riva non sapendo ormeggiare e nulla sapendo delle maree.

Venezia in barca spiega per bene e in modo puntuale come evitare che questi incidenti avvengano, si capisce che Gianluca Marcon conosce molto bene la Laguna, la frequenta e, ne sono certo, la ama.
Il manuale propone anche degli itinerari in molte delle località più belle e magari meno conosciute della Laguna, dalle barene di quella Nord alle valli di quella Sud.
Qui si annida un pericolo, anche se immagino che nonostante la guida non saranno molti dei non locali coloro che si azzarderanno ad avventurarsi sui Fondi dei Sette Morti o ai margini di Valle Zappa, ovvero a Paliaga o al Casone Montiròn.
Ma spero che se qualcuno ci arriverà, seguendo le indicazioni della guida, ne rispetti anche i suggerimenti educativi e di rispetto ambientale.
Leggendo il godibile libro di Morcon, inevitabile, per chi frequenta e ama la laguna, fare alcune considerazioni che ne consigliano una lettura non spensierata, come suggeriscono le illustrazioni, e non tanto per i suoi contenuti, quanto per le “associazioni” che può suscitare, che sicuramente suscita in chi scrive queste note.

Confesso che quando sento personaggi come il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi proporre, come ha fatto oggi 12 maggio 2023, l’introduzione di percorsi alternativi per affrontare il problema dell’eccesso di turismo che divora Venezia, mi viene la pelle d’oca, come credo a tutti i pochi veneziani residui.
Se alcuni lembi di città ancora si salvano, non hanno le calli intasate coi residenti che strisciano lungo i muri, e hanno ancora il fornaio, il lattaio, il fruttivendolo, il macellaio, anziché bar, ristoranti, tavolini dappertutto e negozi di vetri made in China, è proprio perché lì i turisti non ci arrivano e i cittadini respirano. Non parliamo dei B&B.
Certo, tutti i turisti solo a San Marco è una pazzia, ma è esattamente quel che i turisti vogliono e che vorranno sempre, anche se per arrivarci verranno obbligatoriamente instradati, che ne so, per San Piero di Castello o per Santa Marta. È umano, e il risultato sarà solo aver dato il colpo di grazia a una città morente.
Io, confesso, visto che col Brugnaro da Spinea il turismo non verrà mai regolamentato, una soglia massima giornaliera di presenze attraverso le prenotazioni non verrà mai definita, l’attività dei B&B non verrà mai limitata, vorrei almeno che la proposta di Sgarbi venisse rovesciata, e che a Venezia venissero istituite aree vietate ai turisti, delle riserve dove gli ultimi nativi possano trascorrere tranquillamente i giorni di vita che la sorte darà loro.

Poi, quando gli ultimi giovani se ne saranno andati e gli studenti, trascorso il triennio per la laurea breve in qualche magazzino ammuffito, li avranno seguiti, di Venezia come la vedono Sgarbi&Brugnaro sarà quel che sarà.
Naturalmente lo dico per paradosso: l’idea balzana delle riserve mi è venuta leggendo di Sgarbi e nel contempo pensando alle zone blu in Laguna, istituite al tempo della gestione commissariale del traffico acqueo, mentre mi accingevo a recensire Venezia in barca.

L’intento è educativo e Marcon, da quel che capisco e da quanto mi ha detto Cristina Giussani di Mare di Carta – imprinting veneziano con la vela, skipper professionista -, deve essere una persona lontana da ogni idea dell’abuso ambientale, eppure di primo acchito nell’affrontare il libro mi è venuta la stessa pelle d’oca provocata dalla proposta di Sgarbi. Ho visto la guida, perché è di questo che si tratta, come uno strumento che rischia di produrre in Laguna ciò che il turismo sta facendo in città: cioè un’invasione alla Sgarbi dovunque, non con gli infradito dei visitatori a piedi ma con motoscafoni e gommoni che distruggono velme e barene e impediscono fruizioni più sostenibili dell’ambiente come la voga e la vela tradizionale.

Poi ho riflettuto meglio e ho capìto che ciò non sarà possibile, o almeno spero. Già oggi, credo, il numero delle barche che entrano in Laguna è il massimo possibile, e non perché non ci sia spazio a sufficienza ma perché le strutture di rimessaggio a terra a Venezia e lungo l’intera gronda lagunare hanno costipato ogni angolo possibile e non potranno ospitare più barche di quante non ne ospitino ora. Forse qualcuna in più nel tempo, magari sì, ma non tante da poter far più danni di quanti già non ne facciano ora.

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