[articolo aggiornato h 17.20, 19 maggio 2023]
Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, un’anticipazione del suo intervento al dibattito online di Latinoamericana, che sarà possibile seguire in streaming, oggi 18 maggio, alle ore 20.30 e successivamente in versione registrata su youtube e facebook [link a fondo pagina]
Il 30 aprile il Paraguay ha eletto un nuovo presidente della Repubblica, il Senato e la Camera dei Deputati, i governatori e i membri dei consigli governativi. Ha nuovamente vinto il “continuismo” sull’alternanza, imponendo il quarantaquattrenne Santiago Peña del Partido Colorado, che ha ottenuto il 43 per cento dei voti, mentre il suo rivale, il liberale Efraín Alegre, si è fermato al 27,4 per cento, seguito da Paraguayo (Payo) Cubas con il 23 per cento.
I colorados hanno vinto con il margine più grande in tutta l’epoca democratica dopo la caduta della lunga dittatura, ottenendo la maggioranza in entrambe le Camere del Congresso (23 su 45 seggi al Senato e 48 su 80 tra i Deputati), 15 dei 17 governi dipartimentali e il 62 per cento dei 257 seggi nei consigli dipartimentali. Tonfo della sinistra raggruppata intorno al Fronte Guasú, che ha perso cinque dei suoi sei seggi al Senato, compreso quello dell’ex presidente Fernando Lugo (2008-2012).
È stato un risultato a sorpresa, dato che i sondaggi prevedevano un testa a testa tra destra e sinistra, visto la scarsa popolarità del presidente in carica Abdo Benítez a causa della fallimentare gestione del Covid, della violenza dovuta alla diffusione del narcotraffico e degli scandali che hanno messo in luce la corruzione del settore pubblico. Lo scorso anno gli Stati Uniti hanno dichiarato corrotto l’ex presidente Horacio Cartes, padre politico di Peña, accusandolo, tra l’altro, di lavaggio di denaro e di terrorismo internazionale per i suoi legami con Hezbollah. Tuttavia, quando il governo di Joe Biden ha sanzionato Cartes, Peña e i leader colorados hanno dichiarato che si trattava di un attacco al loro partito e un altro esempio storico di ingerenza straniera contro la sovranità nazionale paraguaiana.
Con le ultime elezioni, il Partido Colorado si è confermato come la formazione principale, come lo è stato in tutte le altre. Di fatto domina la scena politica dal 1947, sotto governi civili o militari, compreso il periodo della dittatura di Alfredo Stroessner (1954-1989).

Eccetto il periodo che va dal 2008, quando i Colorados hanno dovuto cedere il potere dopo il trionfo del vescovo progressista Fernando Lugo, al 2012, quando Lugo è stato destituito attraverso una procedura parlamentare di impeachment piena di irregolarità, l’Asociación Nacional Republicana (ANR), il nome ufficiale del Partido Colorado, ha sempre governato e nelle elezioni del 2013 è tornata al potere grazie alla sua solida struttura politica, basata sul controllo dell’apparato statale, sul clientelismo elettorale, e grazie al fatto che il Partido Colorado è riuscito a ergersi a rappresentante dell’identità nazionale.
Ciò è potuto avvenire perché durante la dittatura di Stroessner l’iscrizione al Partido Colorado era obbligatoria per gli ufficiali delle forze armate, e con l’andare del tempo la maggior parte dei medici, infermieri, insegnanti, ingegneri, architetti, ecc. impiegati dallo Stato sono approdati al partito assieme a quasi tutti i funzionari amministrativi dei ministeri e delle imprese statali. Si stima che l’85 per cento dei 406.000 funzionari pubblici del Paese sia affiliato al Partito Colorado, mentre ciò riguarda il settanta per cento nel caso dei funzionari giudiziari.

Il Paraguay è il terzo esportatore mondiale di soia e uno dei dieci maggiori esportatori di carne. Le sue esportazioni di riso, mais e zucchero biologico sono in costante crescita. Questi enormi cambiamenti economici sono stati determinati in gran parte dall’immigrazione di circa 300.000 brasiliani, per lo più agricoltori, oggi chiamati brasiguayos. A loro si deve la trasformazione dell’economia rurale.
Ma tutto ciò non ha comportato cambiamenti significativi a livello sociale, mentre uno stato sovradimensionato continua a svolgere un importante ruolo di ammortizzatore politico. Al fine di preservare l’enorme disuguaglianza di reddito, di ricchezza e di possesso di terra che caratterizza la realtà paraguaiana, l’élite economica e il suo partner minore, il Partito Colorado, nella sfera politica continuano a tollerare la grande corruzione e inefficienza del settore pubblico.
La vittoria di Santiago Peña non è stata una passeggiata, dato che il partito che lo ha candidato vive da tempo una divisione tra l’attuale presidente Abdo Benítez e l’ex presidente Horacio Cartes, che si sono scambiati vicendevolmente accuse di corruzione. Per quanto entrambi siano espressioni della destra e dello stesso partito, lo scontro tra i due non è cessato, fino a dividersi anche sui nomi dei candidati alla presidenza. Finché il 18 dicembre del 2022 Peña, candidato di Cartes di cui è stato ministro delle finanze e per questo è stato accusato di essere “impiegato del padrone”, ha vinto le primarie dei colorados.
Il nuovo presidente è un liberale in economia e ha lavorato al Fondo Monetario Internazionale. Come ministro delle finanze di Cartes si è distinto per aver imposto politiche di austerità, e alla fine dei suoi due anni come ministro nel 2017 è entrato nel board del Banco Basa, di proprietà di Cartes che è pure l’uomo più ricco del Paese. In campagna ha promesso di voler controllare l’inflazione e che avrebbe creato mezzo milione di nuovi posti di lavoro nei cinque anni del mandato, promuovendo nel contempo politiche finalizzate a favorire gli investimenti stranieri. Sul piano della politica interna, il suo messaggio principale ha fatto perno sulla sicurezza, facendosi promotore del rafforzamento delle forze di polizia, e nel febbraio scorso si è spinto persino ad elogiare l’ex dittatore Stroessner, “responsabile di più di cinquant’anni di stabilità in Paraguay”.

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È possibile che l’uscita di Peña fosse dovuta alla necessità di assicurarsi i voti di destra, tuttavia desta perplessità la spiegazione da lui data successivamente. Quando ha detto che l’elogio di Stroessner si limitava al fatto che egli poté godere di un così forte accordo politico senza doversi preoccupare delle successioni presidenziali. “Questo permise, ha spiegato Peña, di disegnare politiche di lungo respiro e mantenerle, senza l’insicurezza che provoca la politica elettorale.”
Ciò detto, è prevedibile che il nuovo governo seguirà la strada tracciata dall’ex presidente Horacio Cartes, e che, come quelli che lo hanno preceduto, non tenterà nemmeno una riforma tiepida della pubblica amministrazione per non intaccare le ragioni stesse della longevità del partito. Nell’immediato, dovrà affrontare i gravi problemi in ambito sanitario e educativo, nonostante le previsioni economiche per l’anno in corso prevedano una crescita del 4,5 per cento.

Nella sua prima conferenza stampa dopo l’elezione, Peña ha segnato un cambio in politica estera rispetto al suo predecessore annunciando la sua intenzione di ristabilire le relazioni diplomatiche con Caracas, interrotte nel 2019. Mentre ha ribadito la sua volontà di mantenere l’attuale rapporto con Taiwan, che fa del suo Paese l’unico in America del Sud a non riconoscere Pechino. La questione taiwanese è stata uno dei temi della campagna elettorale, con l’opposizione guidata da Efraín Alegre, favorevole a un riconoscimento della Cina Popolare, che superasse la tradizionale posizione anticomunista di Stroessner. Tanto più che la Cina è dal 2009 diventata il primo partner commerciale dell’America Latina e che i benefici economici derivanti dal rapporto con Taipei sono del tutto trascurabili rispetto ai costi che l’economia paraguayana deve affrontare per rendere possibili le triangolazioni che le sue esportazioni devono fare per raggiungere Pechino.
Efraín Alegre, presidente del Partido Liberal Radical Auténtico (PLRA), già ministro dei lavori pubblici e delle comunicazioni durante il governo di Lugo, è il candidato che è risultato sconfitto. Alegre è un politico di orientamento centrista con venature progressiste. Questo era il suo terzo tentativo come candidato alla presidenza. Prima si era infatti candidato contro Cartes nel 2013, e contro Abdo Benítez nel 2018, perdendo di poco. Alle elezioni del 30 aprile si era presentato dopo aver vinto le primarie di un ampio schieramento riunito per l’alternanza, e in campagna elettorale ha insistito sul tema della corruzione affermando che il Paraguay, a causa di uomini come Cartes, vive un processo di “messicanizzazione”, alludendo alla presenza del crimine organizzato nel Paese.

Il Paraguay è il maggior produttore di cannabis in Sud America con un fatturato annuo da ottocento milioni di dollari. Negli ultimi tempi si è trasformato soprattutto in un crocevia molto importante del traffico della cocaina che dalla Bolivia e dal Perù giunge ai porti di Santos, Rosario o Montevideo, collegando, grazie al suo sistema fluviale, la zona di produzione andina ai porti sull’Atlantico. Nel suo territorio operano gruppi narcos come il brasiliano Primeiro Comando da Capital. Sta di fatto che il crimine legato al narcotraffico si è consolidato nelle regioni di frontiera, dove controlla vaste aree di territorio, e questo sarà con ogni evidenza il problema più preoccupante nei prossimi anni.
Il programma di governo di Alegre prevedeva la nascita di un sistema sanitario pubblico, gratuito e di qualità, contrapposto alle privatizzazioni proposte da Peña, e la riduzione del cinquanta per cento del costo del trasporto pubblico per gli universitari. Nello schieramento che lo appoggiava, grande peso ha avuto il Frente Guasú dell’ex presidente Fernando Lugo, soprattutto dopo che la candidata alla presidenza di questa formazione si è ritirata dalla competizione per appoggiare Alegre.

Terzo arrivato, Paraguayo (Payo) Cubas del Partido Cruzada Nacional (PCN), candidato antisistema che ha ottenuto 692mila voti, un’enormità. Cubas, simile all’argentino Javier Milei, è l’ultimo dei fenomeni latinoamericani capaci di mobilitare movimenti antisistema che sfruttano la rabbia contro l’ordine stabilito facendo ricorso al populismo digitale, spesso antidemocratico, e facendo leva sullo scontento sociale esteso che vede nella politica l’origine delle proprie frustrazioni. Tenuto conto che il Partido Colorado ha più o meno conservato i suoi voti delle primarie e che Alegre ha perso quasi 300mila voti rispetto al 2018, pare evidente che il successo di Cubas ha danneggiato fortemente la Concertación Nacional di Efraín Alegre.
Anziché festeggiare, Cubas ha denunciato di essere stato vittima di una frode elettorale scatenando la mobilitazione dei suoi seguaci che ha portato all’arresto di almeno 208 persone e di lui stesso. Alla richiesta di procedere a un nuovo conteggio manuale delle schede si è aggiunto anche Alegre, oltre ad altri settori politici. Una richiesta che il Tribunale superiore di giustizia elettorale ha deciso di respingere considerando, assieme agli osservatori internazionali, sostanzialmente regolare lo svolgimento delle elezioni. Martedì 16 maggio, Cubas arrestato per perturbazione della pace pubblica, ha chiesto ai suoi seguaci di lasciare la strada per evitare la repressione della polizia. Ciononostante ieri ci sono stati scontri presso la sede del Tribunale elettorale con quattro feriti e una ventina di arresti.

Immagine di copertina: Santiago Peña, in visita a Brasilia, prima missione all’estero dopo le elezioni.



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