Veneziana non per caso

“Venezia e io” è un bel libro autobiografico, scritto da Marilia Mazzeo, scrittrice ispirata dalla sua città d’adozione e dalla sua acqua di cui è rimasta intrisa da quando è qui approdata da Ravenna per studiare architettura. Chi approda nella città lagunare si lascia alle spalle il passato, cade vittima d’amore e resta ammaliato, in un alternarsi di prossimità e distanza che gli consente forse maggiore obiettività rispetto a chi ci è nato e cresciuto.
GIOVANNI LEONE
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Venezia è un’esperienza sensazionale legata dal filo conduttore delle emozioni, figlie del contrasto e dell’intreccio di opposti anche sensoriali, di vista udito tatto odorato e anche gusto, già, perché il sentore di salsedine e alghe e laguna dal naso si deposita infine in bocca e lo si mastica camminando. Emozione si prova quando, dopo avere percorso una calle stretta, rinfrescati dall’ombra e accompagnati da un refolo o dalla bava, si sfocia in una campo, spazio allargato che si espande improvvisamente dove ci si scalda del tepore solare. Tutti i sensi sono coinvolti in quest’esperienza ma è il pensiero a trovare terreno fertile dove attecchire, privo vie di fuga. A Venezia si ha modo di fare esperienza dello spazio nel tempo e del tempo nello spazio: esperienza oggettiva dello spazio che s’introduce nel tempo allargando lo spazio di mezzo tra le azioni ed è lì, in quei i vuoti che regna il pensiero dilagante dentro come marea lenta e inesorabile a cui è impossibile sottrarsi, un pensare collettivo che accomuna tutti nella medesima dimensione espansa; il tempo permea invece lo spazio in forma di ritmo, soggettivo perché dipende da fattori individuali come il respiro, i passi, il battito cardiaco… i pensieri, che solo occasionalmente e momentaneamente si allineano con quelli degli altri. Questa tempesta percettiva e sensoriale provoca continui ribalta-menti che possono essere inquietanti, analoghi ai riflessi sull’acqua, specchio irregolare continuamente cangiante.

È per evitare di stare soli con sé stessi che ci si rifugia nel piccolo confortante mondo del minuscolo schermo del cellulare, in quel surrogato di socialità che sono i social. La maggioranza dei visitatori trascorre la maggior parte del tempo a martellare tastiere con mitragliate di messaggi, attività da cui si distaccano solo il tempo necessario per fare quattro foto e due autoscatti a testimonianza d’esserci stati in questa città che è da sogno ma anche, per taluni, da incubo. Ogni tanto si può anche vederli assorti, in contemplazione… del cellulare, gli sguardi intorno sono invece fugaci e distratti. Venezia è un labirinto che consente di perdersi dentro di sé a chi è pronto ad accogliere l’intorno e accettare l’interno, un’arte che si affina col tempo ed è uno degli aspetti salienti della venezianità. Questa non è una qualità innata che riceve in dote chi vi abita da generazioni, ma un’attitudine che si acquisisce abitando la città d’acqua e che, come l’acqua, s’insinua lentamente prima come sfumatura e poi dilagando dentro. L’esperienza che facciamo di spazio e tempo modifica radicalmente e irreversibilmente il modo d’essere e il carattere di chi abita la città/laguna. 

Vivere a Venezia non è da tutti, facile venire per una incursione che è piacevole se dura poco, ma viverci è un’altra cosa. Non tanto per la scomodità di una vita pedonale né solo per i maggiori costi, non per questo ma perché non tutti sono pronti a misurarsi con l’introspezione e la propria coscienza, esercizio inevitabile in uno spazio a misura d’uomo dov’è un tempo di natura, che scorre privo delle interferenze tipiche delle nostre città con un ritmo disteso, allentato. Molti degli abitanti di Venezia sono foresti perché in questa città d’acqua si approda da ogni dove, inoltre nel corso della sua storia è stata più volte ripopolata proprio grazie all’accoglienza di nuovi arrivati, basti pensare ieri agli ebrei o agli armeni e oggi ai tanti italiani, spesso studenti che qui approdano e mettono radici. Costui apprezza forse ancor più di chi ci è nato le sue qualità, che sono di carattere relazionale e sociale tra sé e sé con gli altri, chi qui è nato le vive naturalmente senza quasi farci caso e talvolta senza neanche rendersene conto.

Foresto viene dal latino foris (fuori) che è di persona che vive in solitudine nella foresta o di luogo selvatico, remoto, disabitato, è termine usato anche per descrivere una persona, campagnola, agreste, anche selvatica e rozza. Costoro sono stranieri, estranei, forestieri, cioè che non hanno che qui mettono radici, come i semi portati dal vento quando sono disposti ad accettare i cambiamenti che le caratteristiche del nuovo ambiente impone, il quale a sua volta dev’essere disposto ad accogliere e non respingere. L’urbs accoglie immediatamente il foresto, la civitas un po’ più lentamente, ma molti alla fine qui si fermano, nonostante le difficoltà i trovare lavoro, si adattano pur di non abbandonare uno stato d’animo, perché questo è Venezia per chi sa abitarla e apprezzarla. 

Marilia Mazzeo lo racconta con disincantato incanto, non nasconde le contraddizioni e i vizi quando descrive le qualità e le virtù della città d’acqua in cui è arrivata da studentessa e della cui cittadinanza è oggi parte, una delle residenti/resistenti, agguerrita comunità di strenui difensori della venezianità. Leggere il suo racconto getta uno sguardo da una prospettiva diversa e regala nuovi occhi, utili a quanti oggi blaterano di città campus che è idea virtuosa solo a condizione di garantire agli studenti pari dignità a quella che si deve offrire agli altri residenti, senza mettere in competizione i cittadini con le figure (turisti e studenti proprio malgrado) che garantiscono rendite oltre misura a chi ha numerose locazioni turistiche o a chi affitta le case agli studenti a prezzi esorbitanti. Il sindaco Brugnaro proprio ieri dichiarava ai giornali che

Chi si fa fregare non merita di laurearsi. Se paghi settecento euro per una camera non meriti di diventare classe dirigente, [in sostanza dice] se siete dei poveracci andate in periferia che qui dobbiamo far schei, Venezia costa e non fa per voi, meglio darla in pasto ai turisti con locazioni turistiche e alberghi.

Con buona pace della dimensione sociale cittadina.

Il sindaco non pensa a ripristinare le politiche per la casa che ha cancellato, non mira a tutelare chi ci abita a partire dai residenti e poi ospiti come gli studenti, sembra non considerare che lo scandalo è che si affittino posti letto a quei prezzi e che questo sia consentito dall’assenza di politiche pubbliche per la casa e per la tutela del diritto allo studio capaci di calmierare un mercato considerato “libero” ma solo di consentire speculazioni che costringono gli studenti ad affollare le case oltre misura per far fronte a costi altrimenti insostenibili.

L’esordio dello studente fuori sede in arrivo in città non è facile, lo stupore di svegliarsi al mattino in una città da sogno è accompagnato dall’incubo per lo smarrimento provocato dalla prima esperienza di vita in autonomia, fuori dalla protezione familiare, e per il disorientamento provocato dalla ricerca di un posto letto a cifre esorbitanti. Tali sono infatti quelle richieste dai privati che sono cittadini o campus, in cui si arriva al paradosso di dovere lasciare libera la stanza nel periodo estivo per poterla locare a turisti a prezzi ancora più alti. Ricordo che alla fine degli anni Ottanta il movimento degli studenti dell’Assemblea Permanente IU?V (a cui anche Marilia ha di certo partecipato) avevano avviato un’azione di autodifesa dagli abusi con una campagna di informazione e, sostenuti da avvocati volontari e dal SUNIA, avevano vinto numerose cause, alcuni chiedevano addirittura di ricevere l’affitto in contanti dentro a una busta da lasciare nella cassetta delle lettere di casa.

Lasciamo i vizi e torniamo alle virtù: Venezia ti cambia la vita, nulla è più come prima, dopo. Come dicevamo non è città da tutti, e non per questioni di reddito. Alcuni scappano appena possibile, molti trascorrono il periodo di studi come esperienza transeunte, altri vorrebbero affettivamente restare ma la razionalità consiglia loro di ripartire, tutti coloro che ci abitano restano comunque segnati e chi riesce a trovare modo di restare si ferma anche dopo gli studi perché a Venezia si salda l’esperienza d’interno e d’intorno. Di questo perdersi per ritrovarsi ci racconta Marilia, dell’amore e del timore di perdere della città non le pietre ma lo spirito del luogo.

Buona lettura.

Veneziana non per caso ultima modifica: 2023-05-20T12:38:06+02:00 da GIOVANNI LEONE
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