Nel sito della Vogalonga si racconta in maniera succinta e un poco edulcorata la nascita della maratona remiera, definendola genericamente come una manifestazione “contro il degrado della città e il moto ondoso”. In realtà, fino a ieri anche di queste poche motivazioni ambientali nella Vogalonga non c’era più traccia, e solo ora assistiamo a un primo timido tentativo degli organizzatori di recuperare gli originari valori ambientali della maratona remiera grazie a un accordo col Gruppo Insieme, che rappresenta 39 società di voga, canottaggio, vela e motore, per una futura iniziativa di salvaguardia lagunare: il venti per cento delle quote d’iscrizione verrà infatti destinato a finanziare uno studio universitario finalizzato al controllo e al contenimento del moto ondoso.
Intanto, però, i veneziani sono sempre meno e le migliaia di vogatori “foresti” che affrontano ogni anno i 32 chilometri del percorso per quella che ormai è diventata la festa internazionale del remo e del canottaggio – bellissima, per carità – nulla sanno o imparano dei gravissimi problemi della città e della laguna.

Torniamo così alle origini, per raccontare la storia completa della Vogalonga, della quale per fortuna sono stato testimone privilegiato e in piccolissima parte protagonista.
Prima di tutto, bisogna risalire a qualche anno prima, per ricordare le battaglie che dopo la grande alluvione del 4 novembre 1966 avevano mobilitato la città: ne era stato protagonista il Fronte per la Difesa di Venezia, animato da Giuseppe “Pino” Rosa Salva, il padre di tutto l’ambientalismo veneziano, che per anni si era battuto, alla fine inutilmente, contro i progetti di industrializzazione della gronda lagunare e lo scavo e il completamento del Canale dei Petroli.
L’esperienza del Fronte si era conclusa apparentemente con una vittoria: la promulgazione della legge 171 del 1973, la prima legge speciale, anche se poi sappiamo come è andata, ma all’epoca chi aveva partecipato a quelle lotte, e io giovane tra questi, aveva esultato ma aveva anche capito che i veneziani si erano allontanati dalla laguna, che non la conoscevano, che nulla sapevano di quanto vi accadeva, e che dunque per difendere la città con la laguna si trattava di ricostruire questo rapporto spezzato.

Come? L’idea venne a Paolo Rosa Salva, il figlio di “Pino”, che stava facendo il servizio di leva in Polizia a Moena e che aveva prestato assistenza con gli sci alla Marcialonga. Una maratona remiera, analoga a quella di gran fondo! Credo di essere stato la prima persona a cui ne parlò, un giorno dell’inverno tra il 1973 e il 1974 che salendo in macchina a Pozza di Fassa per trovare una morosa gli diedi un passaggio al ritorno in caserma da una licenza. Mi chiese cosa ne pensassi.
Rimasi interdetto, e gli suggerii di parlarne con suo zio Antonio Rosa Salva, che era il presidente regionale della Federazione Canottaggio, una persona che ha segnato per decenni il mondo veneziano della voga. Paròn “Toni” escluse che in laguna si potesse fare una cosa simile, e così anche il cugino Piero Rosa Salva, il futuro promotore della “Venicemarathon” ma all’epoca già importante dirigente della Federazione di Atletica leggera.
Paolo, allora, ripiegò con l’aiuto dello zio “Toni” su di una sfida di pupparini e chiamò a raccolta gli amici che si batterono tra gli Alberoni e Malamocco il 10 novembre 1974 in quella che il Gazzettino battezzò una “regata ecologica”. Questo l’ordine d’arrivo: 1. bianco, Francesco Zanotto e Sandro Potenza; 2. canarin, Pipino Cristinelli e Stefano Falchetta; 3. arancio, Lino Fongher e Sandro Borin; 4. canarin, Paolo e Lalo Rosa Salva; 5. marron, Ugo Gozzi e Paolo Tito; 6. verde, Bepi Cipolato e Mario Borin; 7. celeste, Cesare Albanello e Lucio De Nardo; 8. rosso, Silvio Testa e Lorenzo Zanotto; 9. riserva, Delfo Utimpergher e Bebo Voltolina; 10. viola, Paolo Potenza e Alfredo Poli.

Alle premiazioni partecipò, col pittore Luigi Tito e il fotografo Lorenzo Morucchio, anche l’allora direttore del Gazzettino, Lauro Bergamo, che poi presiedette fino alla morte il Comitato della Vogalonga. Alla sera, nella cena tra i regatanti a casa di Francesco Zanotto e Betta Zinelli, fu rilanciata l’idea della maratona remiera, e tutti, complici forse le abbondanti libagioni, la giudicarono fattibile e dichiararono il loro appoggio incondizionato, mobilitandosi per la sua attuazione.
Come spesso càpita quando un sentire comune prende corpo, anche Delfo Utimpergher aveva da tempo maturato autonomamente e senza parlarne con nessuno l’idea di una maratona remiera per rilanciare la tradizione della voga a difesa della venezianità, che come capocronista della redazione veneziana del Gazzettino vedeva sempre più in pericolo. Nel 1974 su quattrocento gondolieri non se ne erano trovati neppure venti per completare il ruolo della Regata dei Traghetti, il 25 aprile.
Delfo era uno dei pochi che con Pipino Cristinelli, Stefano Falchetta, “Bebo” Voltolina, affrontava ancora a remi estate e inverno la laguna con una splendida “carpaccesca” costruita da Nino Giuponi, e già allora misurava l’enorme problema del moto ondoso e del traffico a motore: quella stessa sera, mentre i compagni di regata festeggiavano, confidò dopo aver chiuso il giornale la sua idea al direttore del Gazzettino.
Bergamo si entusiasmò, paròn “Toni” mise da parte le sue perplessità, venne costituito un comitato promotore composto da Lauro Bergamo, Carlo Gottardi, Delfo Utimpergher, Lilly Sirolla e dai Rosa Salva (“Toni”, “Lalo”, “Pino” e “Paolo”) che il 26 gennaio 1975 bandì la prima Vogalonga, poi sostenuta da una convinta e martellante campagna di stampa del Gazzettino, naturalmente orchestrata da Delfo Utimpergher.

Il rischio del fallimento, della mancata risposta della città, aleggiarono fino all’ultimo nelle menti degli organizzatori, anche se il numero crescente di barche a remi che tornavano a vedersi nei rii cittadini e nei canali lagunari man mano li rincuoravano. Ma fu solo quell’8 maggio, quando il bacino di San Marco si animò per la presenza di ben 545 barche a remi, ricordando gli antichi dipinti del Guardi o del Canaletto, che tutti capirono che la scommessa era stata vinta.
Rispetto agli obiettivi di allora, quali li avevano pensati i padri Paolo Rosa Salva e Delfo Utimpergher, la Vogalonga ha poi preso un’altra strada, come accade per i figli che crescendo non sempre corrispondono ai desideri dei genitori, ma ha comunque dato buoni frutti perché quasi tutte le società di voga veneziane sono figlie della Vogalonga, quasi tutti i veneziani adulti hanno imparato a vogare con la Vogalonga, la cantieristica tradizionale s’è salvata con la Vogalonga, e in fondo, anche se dimenticata in un angolino dagli stessi organizzatori, se c’è ancora in una minoranza di cittadini la sensibilità per i temi della tutela lagunare, beh, anche questo si deve alla Vogalonga.

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