Una poesia complicata, spigolosa, che esplora gli angoli remoti dell’esistenza, immergendosi nelle pieghe nascoste di una società di individui connessi da una ragnatela di rapporti indefiniti. E ricavandone una radiografia che spaventa nello stesso momento in cui ci rivela la verità. Durs Grünbein, pluripremiato poeta della nuova Germania, scrive e descrive ciò che sappiamo ma non sentiamo, come appunto il medico che ci illustra il significato della lastra radiografica spiegandoci il male oscuro e gli aloni di quel pallore che ci danno ancora una flebile speranza. È da poco uscito in libreria, per i tipi di Crocetti, la sua raccolta Le parole non dormono, preziosamente curato da Valentina Di Rosa.
Nato a Dresda, capitale della Sassonia, conosciuta anche come la “Firenze sull’Elba”, Grünbein strappa il velo dell’oblio ricordando, come può fare un poeta e non uno storico, l’inferno del 1945 quando i bombardamenti degli Alleati rasero al suolo la sua città. “Sotto la scrittura è all’opera il nervo” annota in bandella, con sottile capacità percettiva, Valentina Di Rosa osservando come Grünbein “coltivi un dialogo serrato con la Storia, derivandone le premesse per una diagnosi del presente”. Nulla sembra sfuggire alla disperata analisi del poeta che tuttavia, nella denuncia, sembra a volte voler magicamente evocare il suo contrario. Così come nei versi di Carta Straccia (Loses Blatt). “Piccola, sudicia poesia, / rinvenuta davanti al portone di casa, / scrittura inzaccherata dalla pioggia /…ha l’aria di una lista della spesa…”, ma alla fine un improvviso bagliore di speranza cambia il timbro dell’intera poesia, “Carta fra gli scarti urbani, niente di più, Ma tra le righe cinguetta la luce“. (“Zwischen den Zeilen / aber Zwitschert das Licht”).
Sebbene sia nato nel 1962, nell’animo di Durs Grünbein abitano le ceneri della disfatta e della distruzione; in Passeggiata per Berlino (Berliner Runde, Potsdamer Platz) leggiamo: “tutto intorno la terra è rimestata per l’aspirante capitale. / Il deserto notturno è preceduto da trattori cingolanti. / Germania nel suo Bunker, su canapè prussiano, / molestata nel sonno dalle ruspe, dimena i fianchi nel fango”, é come se l’eco dei disastri della guerra si fosse propagata per linee sotterranee andandosi a cristallizzare nei versi di Grünbein, “La città dorme, rannicchiata / tra le colline, nella notte fonda / gli incubi vegliano, lungo le rive del fiume i morti vanno a passeggio, tutti ancora illesi”.

Si avverte a volte, nella sua poesia, un’eco che ricorda l’angosciante prosa kafkiana. Gli ”irrequieti ghiri”, “i pipistrelli”, “le due di notte, l’ora del porcospino che fruga tra i bidoni dei rifiuti“ sembrano rimandare al Gregorio Samsa della Metamorfosi, trasformatosi dopo una notte agitata, in un “enorme insetto immondo”. Dunque la radiografia dell’esistenza, accanto alla fredda apatia delle cose, al mistero dell’universo, alla miserabile quotidianità dei più. Insaziabile scrittore di poesie ma anche di prose e saggi, dopo la caduta del Muro di Berlino alla fine dell’89, Grünbein prese a viaggiare spinto dal desiderio di conoscere quel mondo che gli era stato precluso dal regime della Germania orientale. Stati Uniti, Europa (soggiornò a lungo in Italia dove ritorna ogni anno e dove ottenne il premio Feltrinelli per la poesia), Estremo Oriente.
La sua poesia ha una sua specifica, personale autenticità che ne rende difficile paragoni o richiami stilistici di altri grandi poeti. Stilisticamente può a tratti tornare alla mente L’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, ma nella sua nuova estetica e nella sua particolare trama concettuale, il poeta di Dresda sembra più vicino ad Ezra Pound e in altri momenti alla simbolica fragilità degli Haiku giapponesi. A ciò va aggiunto il forte fascino esercitato sul poeta tedesco dai segreti tesori delle antiche civiltà greca e romana. Leggere le poesie di Grünbeim significa dunque entrare nei labirinti di un mondo da decifrare, come un sogno, e da interpretare per capire. O forse semplicemente restarne abbagliati dalla complessità del pensiero che sottende i suoi versi senza necessariamente dare un senso a ciò che si legge.



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