C’è chi gioca alla guerra

STEFANO RIZZO
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Chi scrive non è un pacifista radicale e non ritiene che il ricorso alle armi non sia mai giustificato; ritiene invece che si possa fare la guerra quando si è attaccati e che si possa, anzi si debba, aiutare (almeno fino ad un certo punto) un vicino aggredito. Ma è anche un cittadino di questa Repubblica che, all’art. 11 della Costituzione afferma che “l’Italia ripudia la guerra”. L’Italia, cioè non solo lo Stato o il governo, ma tutti i cittadini di questo Paese, presenti e futuri. L’articolo usa anche un termine insolito: “ripudiare”, che vuol dire non praticare più e respingere da sé quello che in passato si praticava e magari si abbracciava con entusiasmo.

La prescrizione costituzionale non si applica quindi soltanto alle possibili guerre future, ma anche a quelle del passato, alla guerra in sé e al sistema di valori che ne sono all’origine e che furono propri anche dell’Italia, come del resto di tutti i paesi. La Costituzione ci dice che valori come lo “sprezzo del pericolo”, l’“indomito coraggio”, l’“onore militare”, la “fedeltà fino all’estremo sacrificio”, ecc. tanto cari alla propaganda bellicista di ogni epoca, non sono assoluti ed eterni. Sono invece valori in cui per secoli le nazioni, i popoli, gli stati hanno creduto, ma che oggi (senza nulla togliere a chi ha dato la vita in difesa del proprio paese), vanno ripudiati. 

La guerra, di difesa o di conquista, per accaparrarsi territorio o per vendicare qualche presunto torto è sempre stata considerata legittima purché a dichiararla fosse un potere statuale legittimo. Essere animati da “spirito guerriero” era un tratto positivo del carattere che si cercava di inculcare nei giovani, maschi naturalmente, perché la guerra era considerata il punto più alto e la prova della loro “virilità”. Oggi fortunatamente, nella società e nel sentire comune, non è più così. Le immani stragi delle guerre del Novecento hanno ingenerato una crescente ripulsa nei confronti della guerra, che ha portato al divieto di ogni guerra che non sia difensiva nella Carta delle Nazioni Unite e prima ancora nell’articolo 11 della nostra Costituzione. 

Ma veniamo all’oggi. Lasciamo perdere il fatto che non si capisce perché la festa di una Repubblica, che nella sua Costituzione ripudia la guerra, debba, anno dopo anno (con qualche eccezione), essere celebrata con una parata militare. Comprendiamo il peso delle tradizioni e dei simboli, che rimangono in vita anche quando ciò che simboleggiano è scomparso o non svolge più alcuna funzione. Ma forse, dopo settanta e più anni di vita repubblicana, qualcosa di diverso si poteva trovare per celebrare la Repubblica in modo più confacente alla sua natura antibellicista. Ma, appunto, lasciamo perdere.

Soffermiamoci invece sullo spirito nuovo che aleggiava nella parata di quest’anno. Tutto l’armamentario della retorica militaresca più roboante è stato dispiegato in questa occasione, come del resto in molte delle precedenti. La differenza tra queste e quelle stava nel singolare contrasto sul palco tra i membri del governo, festosi e plaudenti come ragazzini ad una scampagnata, e il presidente della Repubblica, sempre controllato con il suo indefinibile sorriso, che si limitava a qualche applauso in sordina e a rispondere con un cenno della mano ai vari reparti che lo salutavano. A fianco dei vertici politici c’erano naturalmente quelli militari: un gran numero di generali e ammiragli impettiti nelle loro uniformi ricoperte di medaglie e di greche dorate che salutavano con la mano perennemente alla visiera. (Colpiva tra tanto sfoggio di spirito militaresco la figura del generale Figliuolo che pareva leggermente imbarazzato da tanta guerresca esibizione, lui l’uomo della logistica e della campagna vaccinale.)

Perché di questo si è trattato, non di festa della Repubblica ma di guerresca esibizione che metteva insieme in un unico trionfalistico sacco tutte le guerre italiane: quelle giuste e le molte ingiuste, quelle di difesa e quelle di conquista e di aggressione; comprese le numerose missioni militari all’estero, risoltesi quasi tutte con risultati scarsi o nulli. Un’esibizione che a tratti è sembrata raggiungere vette di ridicolo. Come quando sono stati fatti sfilare ricoperti da lunghe parrucche bionde i “tiratori scelti” (pudica definizione di coloro che possono ammazzare un uomo con un colpo solo ad un chilometro di distanza), o gli incursori col volto mascherato come dei terroristi; o, tra i sistemi d’arma, un buffo aggeggio che era un mini-sottomarino, discendente degli antichi “maiali” della prima guerra mondiale e della X MAS del comandante repubblichino (e poi golpista) Junio Valerio Borghese, la cui memoria è tuttora cara alla destra neofascista; per terminare con la presentazione di un sofisticato veicolo all-terrain per le operazioni militari nel deserto, che sarebbe poi un semplice fuoristrada come si vedono da anni nei film post-catastrofici. (A proposito di termini inglesi, bisogna dire che gli annunciatori della parata ne hanno fatto uso abbondante, probabilmente con grave disappunto del ministro dell’istruzione e di altri membri del governo.) 

Sì, c’erano un po’ tutti, carristi, paracadutisti, artificieri, bersaglieri, corazzieri, corpi speciali di qua, corpi speciali di là. Abbiamo troppa stima degli uomini e delle donne delle forze armate per prendere sul serio questa ridicola esibizione di presunta forza militare, la cui unica funzione era di fornire la scenografia, peraltro alquanto dispendiosa, della festa di paese in cui i nuovi governanti hanno potuto, tra risate, pacche sulla schiena e applausi, mostrarsi da padroni di fronte al popolo festante. 

Tuttavia, con una guerra sanguinosa in corso nel centro dell’Europa e un’altra in ebollizione nei Balcani, vedere gli esponenti del governo della Repubblica applaudire gioiosamente, come scolaretti, al passaggio delle bande musicali o ammirare con i nasi all’insù le evoluzioni dei tre paracadutisti con fumogeni tricolori (la novità di quest’anno), produceva un senso di estraniazione, di dissonanza concettuale. Là si combatte e si muore a decine di migliaia; qui noi, felici e contenti, giochiamo a fare la guerra.

Immagini tratte da Ministero Difesa @MinisteroDifesa

C’è chi gioca alla guerra ultima modifica: 2023-06-05T18:44:30+02:00 da STEFANO RIZZO
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3 commenti

Margherita Grigolato 7 Giugno 2023 a 10:57

grazie per questo articolo, per questi pensieri, che condivido parola per parola.
Il 2 giugno si dovrebbe far sfilare coloro che compongono la Repubblica e che si adoperano per aiutare e sostenere i cittadini: sindaci, vigli del fuoco, protezione civile, Croce Rossa e Croce Verde, medici e personale sanitario, insegnanti ecc, ecc,
Temo che la parata di quest’anno sia solo l’antipasto di qualche altra dimostrazione di forza che verrà. Alla faccia del già citato art.11 della Costituzione.

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loredano 7 Giugno 2023 a 16:59

Mi permetto un commento. Concordo pienamente con il significato generale dell’articolo, e a prova ne cito, in particole, solo alcune frasi (riducendo al minimo le citazioni del Rizzo solo per spazio):
– … una crescente ripulsa nei confronti della guerra,
– …non si capisce perché la festa di una Repubblica (…) debba, (…) essere celebrata con una parata militare.
– …sullo spirito nuovo che aleggiava nella parata di quest’anno
– … singolare contrasto sul palco tra i membri del governo, festosi e plaudenti come ragazzini ad una scampagnata, e il presidente della Repubblica, sempre controllato con il suo indefinibile sorriso,
– …vedere gli esponenti del governo della Repubblica applaudire gioiosamente, come scolaretti
– produceva un senso di estraniazione, di dissonanza concettuale.

Con altre parole, ma con gli stessi concetti base, anche Michela Murgia ha criticato, in maniera che pienamente condivido, la stessa “parata”.
Da queste considerazioni, a mio avviso discende che una profonda critica (almeno a posteriori) ai passati ministri della Difesa e/o Presidenti del Consiglio che erano espressione di parti politiche … “non di destra” (per tenerci larghi!) penso sia doverosa, per non aver mai pensato ad aprire alla “società civile” la Parata, come esplicitato dalla Murgia.
Ma non è solo questo il punto che vorrei esplicitare. Se mi si consente un paradosso, forse lo chiarisco più efficacemente e brevemente.
Se scrivo la frase “Il suicidio è una scelta che appare come soluzione, quando un soggetto si trovi in condizioni di grave disagio o malessere psichico o fisico”. Appare evidente che non sto giustificando il suicidio, bensì sto cercando di definirne il contesto.
Se qualcuno citasse parzialmente la mia frase, limitandosi a: “Il suicidio è una scelta che appare come soluzione” qualcuno potrebbe elaborarci sopra che in fondo il suicidio sia giustificabile.
L’art. 11 della Costituzione recita: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”
Mi considero per la pace, se possibile anche pacifista, purché il mio impegno per la pace parta, in quanto italiano, dall’intero articolo 11 della Costituzione, che non mi sembra elegante “tirare per la giacchetta” citandola molto parzialmente nella sua piena espressione.

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Federico 11 Giugno 2023 a 23:58

È un articolo che ho letto con piacere ma manca l’analisi più sensata che andrebbe fatta: i motivi. Manca il colpevole e si è smesso di chiederselo. Non vorrei risultare anch’io un pacifista dell’ultima ora, ma mi sono sempre chiesto dall’inizio del conflitto quali fossero le cause scatenanti (e le sto ancora cercando). Come a molti capiterà – anche se si è smesso di parlarne – da quando le truppe ucraine sono entrate nelle zone annesse dalla Russia, pochi giorni fa – la visione di un conflitto che inizialmente sembrava “locale” ora comincia a insospettirmi. E so, sotto sotto, che gli scontri stanno prendendo una piega inaspettata – inaspettata a me ché sono un comune mortale e non un membro degli apparati federali statunitensi, tanto per citare un esempio a caso. Quindi, di questi tempi, prima di scrivere un articolo con un grosso punto interrogativo che gli ruota attorno, forse si dovrebbero avere cristalline le cause politiche – et economiche – che hanno dato fuoco alla miccia. Oramai è ora.

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