Guardiola oltre il guardiolismo. Inzaghi oltre tutto

ROBERTO BERTONI BERNARDI
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Guardiola vince andando oltre il guardiolismo, mettendo in discussione se stesso e il proprio credo, rinunciando al bel gioco e alla tessitura che l’avevo reso celebre negli anni trascorsi al Barcellona. Inzaghi, non più Inzaghino, specie se si considera che il fratello Filippo ha ottenuto, da allenatore, risultati assai meno lusinghieri, va oltre se stesso, uscendo a testa altissima da una partita il cui esito era pressoché scontato. Complimenti a entrambi, dunque, anche se la coppa dalle grandi orecchie l’ha alzata il City e per l’albo d’oro questo è ciò che conta. Per noi no, invece. Perché se gli inglesi sono campioni d’Europa, ai nerazzurri va comunque il merito di averli sfidati a viso aperto, di aver messo Haaland, l’attaccante più prolifico e  temibile del Vecchio Continente, nelle condizioni di non nuocere (monumentale Acerbi, a dimostrazione che la scuola dei difensori italiani ancora funziona) e di aver sfiorato più volte il pareggio, andando a sbattere contro la sfortuna e contro l’abilità di un portiere, Ederson, che ha ribadito anche in finale le proprie qualità. 

Quando il vichingo norvegese sbarcò a Manchester, fui tra coloro che si domandarono se avrebbe mai potuto coesistere con un tecnico che aveva predicato per oltre un decennio il Vangelo del “falso nueve”, supportato dal concetto secondo cui “il nostro centravanti è lo spazio”. Diciamo che Pep ci ha marciato, dato che il suo centravanti, nel magno Barcellona che fu, non era propriamente lo spazio ma il ventitreenne Lionel Messi, con alle spalle Xavi e Iniesta. E diciamo anche che il conducator di Catalogna dev’essersi divertito un mondo vedendo i suoi improbabili imitatori che si sforzavano di seguirne l’esempio, potendo però contare su attaccanti un tantino meno forti di Messi e su centrocampisti un tantino meno geniali di Xavi e Iniesta. Poi è arrivato un “vero nueve”, Haaland per l’appunto, e Pep, evidentemente stanco di non vincere in Europa, ha cambiato modo di giocare. Bene la ragnatela di passaggi, bene la classe sopraffina dei palleggiatori di centrocampo, bene le giocate d’autore, tutto giusto, ma alla fine dell’azione palla al cecchino dell’area di rigore e gol: questa è stata la trama della stagione da favola del City e questo è uno dei motivi principali del “treble” che l’altra squadra di Manchester, ormai egemone, si è portata a casa, eguagliando l’impresa compiuta dallo United di Sir Alex Ferguson nel ’99.

Sull’altro versante, se pensiamo che fino a qualche mese fa Inzaghi si trovava sulla graticola, staccatissimo in campionato dal Napoli dei record e con una montagna di sconfitte, alcune delle quali imbarazzanti, a costituire altrettante macchie su un’annata che pareva fallimentare, possiamo dire, a ragion veduta, che il nostro ha compiuto un miracolo. Ha dato, infatti, un gioco e un’identità a una compagine che la pazzia non ce l’ha solo nell’inno ma proprio nel DNA. Ha puntato sui suoi veterani e sul talento di Lautaro Martínez, oltre a lanciare definitivamente Onana tra i pali e ad affidarsi a una difesa di tutto rispetto e a un centrocampo che ha in Barella il proprio punto di riferimento. Insomma, con questo perfetto mix di giovani e senatori, Inzaghi è andato alla conquista della Coppa Italia, vinta a fine maggio contro la Fiorentina, e a caccia del sogno Champions, sfumato a Istanbul ma comunque sempre ben presente nelle menti e nei cuori nerazzurri. E se al City non possiamo dir nulla, anche perché non ci viene in mente un mome che potrebbe rinforzare una simile corazzata, all’Inter ci permettiamo di consigliare di rafforzare la squadra di quest’anno con qualche innesto mirato e di ripartire dagli ultimi due mesi. C’è, difatti, una seconda stella da appuntarsi sul petto, una Champions in cui far valere ancora una volta la propria storia e le proprie qualità, una Coppa Italia da difendere e una supremazia cittadina da confermare, il che, per chi è di fede interista, non guasta. 

Se c’è una lezione che possiamo trarre da questa duplice impresa, pertanto, è che nulla va dato per scontato perché non lo è. A ciò aggiungiamo una considerazione: il calcio italiano non se la passa benissimo ma, forse, sta meno peggio di quanto noi stessi non immaginassimo. Infine, concludiamo dicendo che è sempre bello vedere grandi personalità che si rimettono in gioco, fino a cambiare tutto ciò che c’è da cambiare per non vivere di gloria ma di presente. Pep ha scoperto l’importanza del centravanti puro, ideale per questa fase storica in cui il confine fra social, videogiochi e realtà si è fatto assai più labile. Inzaghi, dal canto suo, ha costruito un gruppo che ora ha il diritto di andarsene in vacanza ma che quando si riunirà, ne siamo certi, avrà una voglia di riscatto senza confini. E allora ne vedremo delle belle. 

Guardiola oltre il guardiolismo. Inzaghi oltre tutto ultima modifica: 2023-06-11T19:17:07+02:00 da ROBERTO BERTONI BERNARDI
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