James Joyce. L’Irlanda a Trieste, città di confine e di poesia

MARIO GAZZERI
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Nel mosaico multiculturale della Trieste di cent’anni fa, James Joyce alternò la scrittura della versione finale dell’Ulysses ad una ricerca poetica tesa ad esplorare i confini, estremi e ignoti, dell’esistenza e della creatività. Grazie alla casa editrice Passigli, nella sua preziosa collana di poesia fondata da Mario Luzi, è appena uscito un volumetto di versi che nel 1927 Joyce scrisse in gran parte nella città giuliana (alcune poesie, invece, a Dublino e a Zurigo). Poesia, un soldo l’una è il titolo scelto dai traduttori per questa piccola raccolta (tredici poesie) alla quale il grande scrittore irlandese dette il titolo Pomes Penyach, in una sorta di gioco di parole o di poetico enigma  che richiama la lingua gaelica e in cui la parola Poems diventa Pomes simile al termine francese Pommes (mele) e Peny che richiama il penny (un soldo, appunto) ma che evoca anche foneticamente il termine pain (pena, dolore), come annota nella lunga e colta prefazione lo studioso di Joyce, Alessandro Gentili. Una prefazione alla quale Gentili premette una terzina dantesca che può spiegare più di un mistero:

O voi ch’avete li ‘ntelletti sani/ mirate la dottrina che s’asconde/ sotto ‘l velame delli versi strani.” (Inferno, IX, 61-63).

La raccolta piacque a Italo Svevo e a Umberto Saba ma fu criticata da Ezra Pound secondo cui Joyce si stava impegolando nella redazione del quasi incomprensibile (linguisticamente) Finnegans Wake, la cui complicata trama si dipana all’interno di un sogno, trasferendo questo suo linguaggio apparentemente illogico ed incoerente nelle sue poesie.

Poesie, un soldo l’una non fu l’unica incursione dello scrittore irlandese nell’empireo delle muse Calliope ed Euterpe. La breve raccolta di cui parliamo fu infatti preceduta da Chamber music (completata da Joyce nel 1907 all’età di 25 anni) che già nel titolo sembra rimandare ad un’impronta poetica quasi musicale, appunto, come i versi romantici dei grandi poeti inglesi Byron, Shelley e Keats. 

È questo cuore che batte accanto al mio / la mia speranza e tutti i miei beni…Ché lì, come in un nido muschioso, vari tesori lo scricciolo tiene / io misi quelli che possedevo / prima che gli occhi imparassero il pianto….

In questi versi dedicati alla moglie Nora, un’intellettuale nata a Galway in una famiglia molto povera e costretta nei primi anni della sua gioventù a fare la cameriera o la lavandaia, Joyce non sembra ancora aver trovato la sua strada, il suo nuovo alfabeto, il suo segreto, innovativo dizionario poetico.

Dopo vent’anni, o poco più, la narrazione diventa più drammatica, più criptica e impersonale, in Alta marea possiamo leggere:

Brunodorati sulla marea piena /si ergono ondeggianti grappoli di vite di roccia / sulle acque guizzanti covano le vaste ali / del giorno cupo.

e in Semplici, (che ha come sottotitolo la nenia O bella bionda / sei come l’onda, in italiano anche nella versione originale) troviamo questi versi:

Datemi, vi prego, orecchie di cera / che mi facciano scudo a quel canto infantile / datemi un cuore corazzato per lei / che raccoglie i semplici della luna.

Siamo ormai all’astrattismo delle parole, ad una linea poetica che va decifrata.

La scultura dedicata a James Joyce sul Canal Grande a Trieste

Viaggiatore instancabile, dopo aver lasciato l’Irlanda, anche per l’avversione all’imperante cattolicesimo oscurantista, passò mille volte per Parigi, poi in Svizzera dove a Zurigo insegnò inglese e dove morirà nel 1941, visitò gran parte della nostra penisola stabilendosi infine a Trieste dove insegnò alla Berlitz School continuando a scrivere l’Ulysses che avrebbe cambiato la struttura narrativa del ventesimo secolo, impegnando dieci anni per descrivere una sola giornata del povero Leopold Bloom, un ebreo senz’arte né parte, tradito dalla moglie. La giornata dell’Ulysses è quella del 16 giugno del 1904. Una giornata qualsiasi, ma che ancora oggi viene ricordata (come Bloomsday) a Dublino, a Trieste e a Parigi.

Nella capitale francese, lo scrittore irlandese frequentò la storica libreria Shakespeare and Company diventando grande amico di Sylvia Beach, l’americana che l’aveva fondata. Nella sua autobiografia, la Beach scrive:

mi attraeva, nelle sue piccole poesie, quella certa atmosfera di mistero che è presente in tutta l’opera di Joyce, e che poi è la strana presenza di Joyce stesso.

James Joyce

La Beach rivela poi che tredici compositori musicarono Pomes Penyach e che la Oxford University Press pubblicò le loro composizioni come omaggio a James Joyce. Particolare, questo, non citato in molte delle biografie dello scrittore. Ma, almeno in piccola parte, l’origine della sua singolare scrittura, le parole che ne nascondono altre, la stessa collocazione della trama di Finnegans Wake in un sogno, ci fanno pensare ancora una volta a Trieste più che alla Ville lumière. Fu in quegli anni, in cui le teorie di Sigmund Freud venivano studiate e approfondite in diversi paesi d’Europa, che Trieste (assieme ad altri centri giuliani e friulani) si dimostrò una delle città più interessate ai temi freudiani dell’inconscio e dei sogni intesi come spia di una nostra sconosciuta dimensione. Nel capoluogo giuliano si affermò una scuola psichiatrica molto sensibile alle teorie freudiane formata da un’élite di studiosi guidati da Edoardo Weiss, psicoanalista di origini ebraiche e antesignano di altre scuole, in tempi molto più recenti, caratterizzate dal geniale e originale apporto di psichiatri e psicoanalisti come il veneziano Franco Basaglia o il fiorentino Giovanni Jervis, molto attivo nella comunità terapeutica di Gorizia.

Considerando lo stile e il contenuto, a volte solo apparentemente illogici di alcune delle sue opere principali, è più che probabile che lo stesso James Joyce fosse rimasto affascinato, e probabilmente influenzato dall’opera di Freud e dei suoi seguaci.

James Joyce. L’Irlanda a Trieste, città di confine e di poesia ultima modifica: 2023-07-03T18:14:13+02:00 da MARIO GAZZERI
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