Quindici milioni di italiani sono residenti all’estero, e si calcolano in ottanta milioni gli oriundi, cioè italiani di discendenza di emigrati, che vivono nei cinque continenti. Fazendas, café, cana-de-açúcar, vinha e uvas. Marchigiani in Brasile è il volume di Paola Cecchini edito da Mazzanti che racconta una lunga e dolorosa storia, quella dell’emigrazione italiana che dalla fine del XIX secolo vide protagonisti centinaia di migliaia di connazionali costretti da fame e miseria a lasciare villaggi e paesi dal sud al nord della Penisola per cercare sostentamento lontano. Vicende che fanno parte della storia del nostro Paese e che trovano nelle drammatiche cronache dei giorni nostri un tragico parallelismo.
Cecchini, giornalista e divulgatrice recentemente insignita del premio “Marchigiano dell’anno” per la divulgazione dell’emigrazione marchigiana nel mondo, presenta in queste pagine dense di dati un panorama troppo spesso dimenticato da noi tutti, dal Friuli alla Sicilia passando per il Veneto, prima regione della diaspora italiana dai primi dati esaminati, dal 1876 fino al 1976. Dalle indagini compiute dall’Autrice attraverso ricerche d’archivio su stampa e testi letterari esce un quadro quanto mai interessante, se letto con gli occhi dell’analisi politica e sociale e quanto mai triste se letto con gli occhi dell’anima.
Chi erano questi connazionali che a fine Ottocento lasciavano un’Italia povera e senza speranze (per emigrare in povertà bisogna essere senza speranze, come i moderni profughi del sud e dell’est del mondo oggi)? Quali erano i Paesi sconosciuti verso i quali si dirigevano, angariati da sedicenti agenti di collegamento che lucravano sui viaggi e si impadronivano per sempre dei beni del migrante? Stati Uniti, Francia, Svizzera, Argentina, Germania, Brasile, Canada, Australia, Gran Bretagna… ben pochi (erano in maggioranza analfabeti) potevano vedere su una carta geografica il luogo di destinazione finale, convogliati a Genova verso piroscafi da incubo dove i viaggi spesso si trasformavano in naufragi. Suona nuovo questo insieme di parole? Scafisti, naufragi, morti sconosciuti…

Ritmate da vicende storiche che hanno caratterizzato l’Italia dell’ante e del post prima guerra mondiale, le ricerche di Cecchini parlano dei nostri connazionali, tra i quali magari alcuni membri delle nostre famiglie di oltre cent’anni fa, classificando oltre ai migranti conosciuti una serie di clandestini protagonisti di un”emigrazione parallela”: fuorusciti che lasciarono l’Italia durante il Fascismo (150.000 almeno), bambini venduti alle vetrerie francesi e di Pittsburgh, età media otto anni, bambini venduti in Francia come spazzacamini, bambini che lavoravano nelle fornaci in Baviera, Austria, Croazia e Detroit, marmisti minorenni nel Canton Ticino, bambini di altezza minore di un metro nelle miniere di carbone del Gard (Francia) o venduti ai musicanti della Garfagnana. Per non parlare delle ragazze oggetto della tratta delle bianche (oggi la tratta ha cambiato colore ma esiste più che mai) che il giornale La voce della verità il 29 luglio 1902 denuncia e che “assegna all’Italia il primato vergognoso”. In un secolo si parla di quattro milioni di persone, che illegalmente lasciavano l’Italia.
Molte furono le discussioni e i pareri difformi tra schieramenti di destra e di sinistra anche all’inizio del secolo scorso, con i cattolici che temevano l’emigrazione. Favoriva – sostenevano – la dissoluzione delle famiglie e l’adulterio.
Lunghissimo il cammino legislativo per regolamentare il fenomeno migratorio, dalla prima legge Crispi del 1888 si attese il 1901 con la legge Luzzati che “tutelava i momenti iniziali della partenza e del viaggio e vietò l’attività degli agenti”, ma con risultati scarsissimi verso i poveri destinatari.

Ma mettiamoci nei panni di un cittadino italiano che a fine Ottocento decide di partire per cercare con diritto una vita migliore. Da Genova salpavano i piroscafi per le Americhe, dove i nostri connazionali erano marchiati come accoltellatori, ubriaconi, sporchi, palle di grasso: fino agli anni Settanta del Novecento, o forse anche dopo, in molti locali pubblici svizzeri o tedeschi era vietato l’ingresso agli italiani (e ai cani).
A Ellis Island, dove svetta la Statua della Libertà donata dalla Francia all’America nel 1886, gli italiani con capelli neri erano iscritti in un registro di non white, non bianchi; d’altronde la schiavitù era da poco stata abolita anche nell’America del Sud (Brasile, che aveva bisogno sempre di più di manodopera). Oggetto di vari episodi di “cronaca nera”, linciaggio di Marsiglia (1881), Aigues Mortes (1893) New Orleans (1891) e cosi via.
E che dire del viaggio per mare, dopo esser passati sotto le forche caudine degli agenti della Casa di Genova, lucratrice seriale.
A Genova ci hanno trattato peggio dei maiali per mangiare e per dormire peggio dei reclusi in mezzo a un puzzo che la gente credeva di morire [Lettera scritta dai braccianti pubblicata dalla “Provincia”marchigiana nel 1905].
Ci ricorda qualcosa su ciò che avviene sulle coste del Nord Africa oggi, 2023?
Il medico di bordo denuncia ma invano: l’infermeria, un bugigattolo, vitto scadente, schiacciati come sardine, senza bagno… e le donne e le ragazze oggetto di turpi scambi tra personale di bordo e infami inviati nei porti di arrivo, per la suddetta tratta delle bianche.
Sono questi solo alcuni cenni dell’intensa, partecipata e dettagliata storia della migrazione, parole dietro le quali si celano milioni di esseri umani che sono vissuti lontano dall’Italia, alcuni facendo fortuna e chiamando compaesani, altri vivendo ancora di espedienti e di miseria, protagonisti della cronaca nera e nerissima, oggetto di film e di letteratura.
Il libro, insieme a tutto ciò, rende omaggio e verità all’emigrazione marchigiana che in Brasile, Argentina, Francia, Svizzera, Belgio, Germania ha avuto un riscatto, un lavoro, una dignità.



Immagine di copertina: L’emigrazione marchigiana in Brasile (da Progetto Radici)

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