La domanda se il political correct (PC) abbia rovinato o meno la standup comedy, dipende a chi la rivolgi.
È un po’ come chiedere se il VAR o l’arbitraggio troppo puntiglioso abbiano rovinato o meno il gioco del calcio, un tempo fluido (insomma, il Calcio).
In entrambi i casi, ci si chiede se i nostri tentativi ossessivi di prendere una decisione giusta – che si tratti di una decisione importante in un gioco o della preoccupazione di un comico di non offendere il pubblico – non finiscano per abbassare la qualità complessiva e la natura di un prodotto finale che non vuole filtri.
Chi di noi tutti non si sente sollevato se meno gambe sono brutalmente rotte in seguito a certi contrasti spietati che succedono in campo? Quel che resta più opaca penso sia l’influenza invisibile del political correct nel mondo della standup comedy dacché, nel corso dei decenni, è diventato un termine corrente.
Possiamo ammettere che abbiamo bisogno di istanze di cooperazione come la correttezza politica affinché la società esista, anche però chiedendoci se in alcuni casi non ne abbia risentito il lavoro di certi comici.
Non è solo una congettura teorica.
La recente richiesta del governo malese di dare la caccia alla comica Jocelyn Chia dopo una sua battuta sul volo scomparso nel 2014 conferma la relativa facilità con cui il lavoro di un artista di cabaret possa ancor oggi essere ritenuto perseguibile da parte di un organo di un un paese importante con cui peraltro non si ha alcuna affiliazione.
È vero, il motivo per cui un episodio come questo arriva a fare notizia è perché capita raramente, eppure non significa che per la maggior parte dei comici sia chiaro quali argomenti possono o non possono affrontare sentendosi a proprio agio di fronte a un determinato pubblico.
Anche solo parlando con un paio di comici di New York, come abbiamo fatto di recente, ce n’è abbastanza per dimostrare senza ombra di dubbio che ogni comico si confronta con questo argomento ambiguo e potenzialmente spinoso in modo diverso.

In che misura, da quando avete iniziato a esibirvi, lo stile del comedian è andato cambiando per diventare più o meno “PC”? Siete sempre stati in grado di muovervi nella direzione in cui volevate andare? Siete mai stati costretti a scartare un pezzo a cui tenevate per non offendere un certo tipo di pubblico?
Otter Lee: Faccio stand-up comedy dal 2018 e, quando ho iniziato, cercavo davvero di evitare di recare offesa a qualcuno. Mi è capitato di trovarmi in open mic e, quasi in ogni occasione, vedere un paio di artisti essere caustici e offensivi per il solo gusto di essere scioccanti. Ne fui terrorizzato, all’idea di essere anch’io così. E poi, come comico queer asiatico-americano, ho capito che nella maggior parte degli spettacoli m’ingaggiavano per evidenziare la diversità e l’intersezionalità. Io, mi ero dato la regola, per un po’, che non mi sarei messo a commentare un gruppo di cui non mi consideravo membro. Poi a poco a poco, mi sono aperto, prendendo in giro situazioni e individui che mi erano personalmente ostili o m’influenzavano in qualche modo. Cerco ancora di far sì che non partano pugni, anche se ultimamente si direi che è più uno scambio di colpi reciproco.
Osservo una tendenza oggi tra i comici, di mettersi con qualcuno di razza o con un background religioso diverso, sembra una licenza per andare a cercarsi materia in quei gruppi. Mi sono chiesto tante volte quanti dei loro partner lo considerino figo. Fammi stare in coppia con qualcuno per un po’ di tempo e poi ne riparliamo!

Brad Rickert: Direi che il mio stile personale è andato nel tempo declinando e rifluendo, con la mia crescita artistica ma anche con il cambiare della società. Quando iniziai, ero alle superiori, il mio era allora un umorismo shock, le battute taglienti per me, personalmente, erano le più divertenti. Con il passare del tempo mi sono ritrovato a conformarmi a contenuti più in linea con il politically correct. La conseguenza è stata tanta, tanta mediocrità da parte mia. Ora mi trovo in una fase in cui sul palco spingo un po’ più in là i limiti e mi trovo a cavallo sulla linea della correttezza politica.
Sono certamente consapevole che ci sono state volte in cui ho avvertito la censura in me o delle limitazioni nel trasmettere al pubblico il vero senso del mio umorismo. Credo che, da parte mia, ci sia stata forse inadeguatezza o scarsa comprensione, e forse fare affidamento alla mia verità sarebbe stato il modo migliore di giocarsela. Per farla breve, ritengo che la censura ce l’infliggiamo noi stessi. Capisco che la cancel culture e la necessità di essere politicamente corretti possano essere reali per chi ha qualcosa da perdere (uno show televisivo, una serata di alto livello); ma per un comico la cui principale forma di espressione è lo stand-up, la censura è il nemico. Non sto sostenendo che l’umorismo shock sia la strada da percorrere e dire che la roba incasinata sia il modo migliore per avvicinarsi alla comicità, sto solo dicendo che devi fidarti del tuo istinto e il pubblico ti dirà se è divertente o no.

Una rapida ricerca su Google dei termini “PC comedy” [comicità politicamente corretta] rivela un divisione intorno all’idea se la correttezza politica si stia succhiando tutto il divertimento dalle nostre vite. Come vi collocate in questo particolare dibattito? La cultura del PC sta semplicemente “guidando la comicità” come afferma Ricky Gervais, o forse la sta facendo deragliare come un treno fuori dai binari, come ritengono alcuni altri comici degni di nota?
BR: Penso che ora ci sia una comedy di grande livello più di quanta ce ne sia mai stata. I cattivi comici usano la “cultura del politicamente corretto” come scusa per spiegare perché le loro orribili barzellette sull’aborto non uccidono (nessun gioco di parole è sottinteso…) e, come rovescio della medaglia, ci sono altrettanti cattivi comici che usano la “cultura del politicamente corretto”e l’Identity Politics come scudo e scusa per spiegare perché le loro battute non funzionano (gioco di parole voluto: e dunque sono disoccupati). Credo che le opinioni radicali di entrambe le parti possano nel tempo creare comici migliori, dato che l’obiettivo dovrebbe essere quello di far ridere tutti. Come comico non m’interessa trovare la mia nicchia di mercato. Sono molto più interessato a usare il mio modo di vedere unico e il mio umorismo per far stare insieme la gente.
Pensate che la comicità al suo meglio sia sempre un po’ scioccante e/o incendiaria, o pensate che sia possibile divertire il pubblico al cento per cento e allo zero per cento metterlo a disagio?
BR: Penso che dire al cento per cento, qualsiasi cosa è difficile, ma sì, penso che possa esserci un’ottima comicità pulita, non conflittuale. Penso che lo shock possa essere sostituito dalla parola sorpresa nella comedy. Si può scioccare qualcuno nascondendosi dietro l’angolo con un coltello, oppure si può organizzare una festa a sorpresa. Adoro una buona battuta di disorientamento nel mio pezzo o un non sequitur casuale perché dai l’illusione di essere spigoloso senza dire nulla di offensivo.
OL: Maturando come comico, davvero non riesco a vedere la correttezza politica binaria quanto lo vedevo ai miei inizi. Penso che tanti credano debba essere completamente in un modo o nell’altro: l’equivalente verbale di The Purge rispetto alla scuola materna. Personalmente la vedo in modo direi più sfumato.
Certo, se qualcuno dovesse fermarmi dopo uno spettacolo e dirmi “Ehi, uno dei tuoi pezzi mi ha fatto davvero arrabbiare”, in gran parte dei casi rimarrei lì ad ascoltarlo.
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