Il simulacro veneziano

RENATO PADOAN
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Venezia è una città del tutto immaginaria, nel senso proprio della virtualità dell’immagine. In tale senso non è mai propriamente esistita e sarà forse per questo che possiamo continuare a occuparcene.

Dell’immagine si parla per contrapposizione alla cosa.

Si è già visto che può parlarsi dell’immagine come di una cosa particolare, sui generis. Ora però si ha a disposizione una migliore definizione che è quella di immagine virtuale.

La definizione di virtualità dell’immagine come dislocazione della cosa è perfetta. L’immagine non è altro che una cosa dislocata, una cosa che non trovasi al suo posto. Uno studente mi raccontò un giorno di quel che gli capitò in treno.

Il corso verteva sul cosiddetto Schema Corporeo o come si dice nella letteratura medica o più specificatamente psicologica anglosassone “Body Image”, cioè a dire l’immagine che ciascuno di noi ha del suo proprio corpo. A quest’immagine proprio per il fatto di essere mentale non può corrispondere certo un alcunché di stabilmente localizzato nello spazio come può esserlo il corpo di cui è l’immagine. Trattasi pertanto di pura virtualità o possibilità.

Il treno in cui viaggiava il mio studente si arrestò improvvisamente e il mio studente vide il suo corpo proiettarsi in avanti come fosse il corpo di un altro!

Non perse evidentemente né il suo corpo né la sua consapevolezza ma si sdoppiò in un corpo osservato e in corpo osservatore.

La dislocazione che si attua per l’immaginazione è una scissione riproduttiva. L’immaginazione è capace di dislocare le cose proiettandole in avanti e indietro nel tempo, nella forma del fantasma e in quella del ricordo.

Fantasmatico è per eccellenza il desiderio.

Venezia continua a essere l’incompiutezza del desiderio cioè il desiderare la sua stessa realizzazione ed è tanto più vivo questo desiderio quanto più si rende labile fino alla contraddizione la permanenza della cosa.

I miei studenti mi sottoposero un giorno a un esperimento altrettanto significativo di quell’illusione nel treno.

Dipinsero con una vernice sensibile alla luce una parete dell’aula e fecero camminare velocemente un tale lungo la parete mentre loro con una macchina fotografica lanciavano in continuazione dei flash.

Quelli che con me osservavano l’esperimento videro quel tale seguito da una serie di ombre evanescenti che erano la posizione immediatamente prima occupata come fossero un seguito, un corteggio vivo di impronte fantasma, una bava rimanente del suo procedere in via d’evanescenza e scomparsa definitiva.

La teoria dei simulacri quale trovasi in Lucrezio è illuminante al riguardo.

Le cosiddette cose, che tali sono per permanere nel loro loculo occupato, diffondono ovunque intorno a sé la propria immagine in forma di simulacro.

La stessa parola di simulacro opera una contraddizione in adjecto come dice il filosofo, nel senso che non si può stare e non stare nel proprio loculo occupato. Eppure il simulacro fa questo: c’è e non c’è.

Il simulacro è la simultaneità che si diffonde della/dalla cosa stessa.

Le cose di diffondono intorno, ovunque irraggiano fintantoché non sono arrestate. L’immagine virtuale per il principio di continuità è la cosa stessa che s’irraggia e diffonde.

Il foro stenopeico è quel foro per cui transita l’immagine di una cosa per riprodursi al di là del foro e rendersi visibile nell’arresto di uno schermo, per cui disse Leonardo essere l’Universo costituito di punti in ognuno dei quali tutto risiede e si mostra, anticipando con questa trovata in chiave ottica la teoria delle monadi di Leibniz, ciascuna delle quali è il l’Universo Intero in una sua propria scala diversa internato ed esternato insieme.

Per intendere che cosa sia Venezia, il suo simulacro, la sua immagine virtuale occorre meditare sul paradosso di quel quadro di Magritte citato dall’icona iniziale che si denomina usualmente come il ritratto di Edward James [immagine di copertina].

Che cosa si vede?

Chiunque risponderebbe che si vede innanzitutto il didietro di un tale. Non si vede la sua faccia!

Questo tale di cui si vede solo il didietro nel quadro si specchia in uno specchio senz’altro perché quel che si vede lo si vede tale e quale, che questa è la funzione di uno specchio, cioè di riflettere una cosa tale e quale appare. Nulla d’inconveniente finora, senonché si dovrebbe vedere nello specchio specchiato il suo volto mentre invece si vede il didietro tale e quale come lo si vede nel quadro.

È questa un’incongruenza insostenibile e paradossale? Parrebbe di sì ma non lo è affatto!

Chi può dirmi infatti se quel didietro che si vede nel quadro ha effettivamente un davanti e non è invece che un “puro” didietro?

Chi può distinguere in un’immagine mentale il davanti dal didietro? Qual è il didietro, non dico di un quadro, ma di qualsiasi quadro?

L’immagine in quanto tale è priva di spessore.

Forse che ci hanno mai mostrato il didietro del quadro della Gioconda?

Il didietro di un’immagine non esiste per il semplice fatto che un’immagine non ha un didietro e non ha nemmeno un’immagine mentale un “ubi consistam”!

L’immagine insomma non ha spessore come l’ombra ed è trasparente. Che l’ombra non abbia spessore è alla portata di chiunque prenderne atto.

Che l’ombra sia invece trasparente di fatto sfugge ai più per la sola ragione che l’ombra è un’attenuazione di luce. Sfugge ancora il fatto, nel senso che non vi si presta attenzione, che l’ombra per manifestarsi esige che si arresti su di un qualche diaframma opaco o semi opaco.

Non è possibile infatti che qualsiasi processione di simulacro, tragitto d’immagine si renda visibile se non vi è uno schermo che n’arresti il percorso o meglio la diffusione.

Le condizioni che consentono la visibilità dell’ombra sono da un lato la trasparenza dell’“aere”, del mezzo e dall’altro l’arresto della propagazione su di uno schermo diaframma. Ci furono sale cinematografiche in cui per risparmiare lo spazio c’era un pubblico da una parte e uno dall’altra dello schermo. Ma così è anche per lo spettacolo delle ombre del Wajang!

Una parte del pubblico vede l’ombra e una parte vede le sagome di cuoio dietro/davanti lo schermo di arresto della luce o della visione degli spettatori! C’è insomma chi vede i burattini e chi le ombre dei burattini sagoma.

L’ombra è più che sottile, non ha proprio spessore e per non averlo non ha né un dietro né un davanti.

Il quadro di Magritte è del tutto virtuale.

È costituito da una fuga arrestata di sole immagini come qualsiasi quadro del resto. Tutto è immaginario in quel quadro, compreso lo specchio nel quale l’osservatore del quadro non può certo ambire di specchiarsi dacché non si tratta di uno specchio ma dell’immagine dipinta di uno specchio “situazionale” e così per l’amico del pittore e il suo didietro.

Non sono cose ma immagini virtuali di cose, cioè immagini tout cour.

È il quadro a essere coerentissimo col suo proposito raffigurativo, non quello spettatore che si stupisce di una presunta incongruenza, che è invece la debolezza logica del suo “esprit”.

Che si possa parlare di Venezia nel modo in cui ne parlo come di un qualcosa che non è mai stato e che pur continua a esserlo, di una città totalmente virtuale, che tale fu e continuerà a essere e persistere, segna semplicemente il divario tra la mente degli imbecilli siano essi dei truffatori o dei nostalgici e quella dei veri intenditori che siano stati messi in forma da quel formante sopravvissuto che ha nome Venezia.

L’estinzione definitiva di Venezia si avrà con la distruzione incomprensione di quel quadro, come di qualsiasi altra opera di vera arte, che non siano le metafore truffaldine di un Cattelan o la traduzione in danaro del sacro.

Non è proprio l’affare Magritte, il prezzo di quel quadro che c’interessa ma l’intelligenza del teorema.

E così dovrà essere per Venezia.

Ovviamente tutto ciò esige una superiore intelligenza e non pare sia questa la dote principale di coloro che si affannano intorno al letto della moribonda Venezia.

Per tirare le somme si dirà che la soluzione del presente caso Venezia non potrà essere inderogabilmente che quella d’intenderne fino in fondo il suo non essere cosa ma bensì immagine e in quanto tale simulacro senza passato né futuro ma in qualche modo eternità. Ciò è paradossale, incongruo, contraddittorio infine come il quadro di Magritte. Ma non è affatto così!

Non solo si dovrà accettare in pieno la logica intrinseca dell’immagine ma ricostituirla in pieno per sopravanzare la morte presente dell’ Immaginario di contro alla concretezza presunta delle cose.

Il simulacro va inteso come la persistenza del divino. Un’icona non può vendersi propriamente.

Non può essere questa la parola che si usa al punto di ricorrere a un sotterfugio verbale.

Progettare l’eternità è possibile, ma non è propriamente un compito della ragione scientifica, ma della virtualità dell’immaginario che è pur sempre scienza!

Se l’immaginario si spegne non c’è soccorso di scienza che ci possa garantire la sopravvivenza o forse meglio, e traggo l’espressione da uno scienziato, imporci la  “supervivenza”.

La Venezia storica visse sempre oltre le sue possibilità al punto di raffigurare il Paradiso come esito e confine della sua storia. Non si trattava ovviamente di una previsione a breve scadenza come una legge di bilancio od un’alternanza elettiva.

Avrebbero potuto fare gli Antenati tutto quel che oggi torme di turisti vacanzieri ammirano se avessero “immaginato” che questa sarebbe stata la conclusione, la fine della loro città? Vi è una qualità dell’immaginario la sua virtualità virtuosa che rovescia le cose o le deforma o le inverte specchiandole, ma giammai le riproduce così come sono.

Sicuramente no! Non avrebbero edificato il Palazzo Ducale o sarebbero morti in Morea o si sarebbero fatti scuoiare vivi a Famagosta se avessero saputo che andava a finire così.

Nemmeno l’affare di ora, le grandi navi di Noè cariche di fratelli, liberi ed eguali a noi sarebbe per noi possibile, perché vi avrebbero rinunciato e si sarebbero suicidati senz’altro!

Il simulacro veneziano ultima modifica: 2023-07-06T13:18:35+02:00 da RENATO PADOAN
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1 commento

Camillo Tonini 7 Luglio 2023 a 16:24

Grande come sempre. Forza Renato

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