L’Aquascutum di Arnaldo Forlani

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Arnaldo Forlani indossava con aplomb britannico il suo Aquascutum, in tinta crema, oppure blu. Una volta mi disse che un trench doveva essere “vissuto” per essere davvero elegante. Nelle riunioni e nei raduni democristiani la sua flemma metteva ancora più in risalto il rumoroso agitarsi degli “amici” che faceva felici noi cronisti parlamentari, allegramente mescolati tra dirigenti e delegati, pure a volte pronti a votare con loro.
Dietro la calma cordiale si celava una notevole determinazione politica. Forlani era di Pesaro, una città, forse anche per la vicinanza con la Romagna, di solide tradizioni di sinistra, un’isola rossa nelle bianche Marche. Viene di lì l’anticomunismo di Forlani? Certo è che sarà la bussola che orienterà sempre la sua azione e i suoi comportamenti politici.
Provenendo da una circoscrizione dove la Dc era all’opposizione, il peso specifico di Forlani era notevolmente inferiore a quello degli altri big democristiani, eletti in collegi di forte radicamento e presenza scudocrociata. E Forlani non era neppure tra i leader delle più forti correnti democratico cristiane, come quella dorotea, o la sinistra di base, Forze nuove. Dietro di lui c’erano giusto Pier Ferdinando Casini, per molto tempo un due di coppe, e altri piccoli ras locali, il fidato Enzo Carra, in interazione con il presidio in Rai di Gianni Pasquarelli e Bruno Vespa. Senza una propria corrente forte, o forse per questo, ebbe sempre un ruolo di primissimo piano nel partito di piazza del Gesù, diventando protagonista dei giochi e delle alleanze che hanno segnato la storia della Democrazia cristiana e quindi quella della Prima repubblica.
Una carriera finita molto male. Il 7 aprile 1993 il leader democratico cristiano è raggiunto da un avviso di garanzia nella sua residenza all’Eur.
Quel giorno, sulla Repubblica, la grande giornalista politica Miriam Mafai, nel darne notizia, offre ai suoi lettori un lungo ritratto di Arnaldo Forlani. Un necrologio politico. Due giorni fa la notizia della sua morte.
Trent’anni d’oblio che stridono con la centralità che ha avuto per molti decenni e che il bellissimo articolo di Mafai [qui di seguito] ricostruisce con la maestria della grande giornalista.
[Guido Moltedo]

Arnaldo Forlani interviene al XIV Congresso della Democrazia Cristiana, Palazzo dello Sport, Roma, 19/25 febbraio 1980.

TUTTO CAMBIA, ARNALDO NO
di Miriam Mafai 

Ha una bella villa in una zona verdeggiante dell’Eur e per goderne la tranquillità ha ottenuto la modifica del tracciato della metropolitana, ha tre figli, uno dei quali, Alessandro, è già avviato alla carriera politica (prima consigliere comunale, poi consigliere regionale), ama il calcio, e quand’era ragazzo passava molto del suo tempo ad addomesticare animali: falchi, tordi e gazze ladre. Tiene in casa un merlo indiano, al quale ha insegnato a parlottare. A 23 anni era segretario della Dc di Pesaro, a 26 consigliere provinciale e comunale, a 27 fu eletto nel Consiglio nazionale della Dc e subito dopo nella Direzione. È deputato da nove legislature. Due volte ministro per le Partecipazioni statali, tre volte ministro degli Esteri, una volta presidente del Consiglio, e due volte vicepresidente (nel primo e secondo governo Craxi), è stato per due volte segretario nazionale della Dc: prima dal novembre del 1969 al giugno 1973, poi dal febbraio del 1989 all’ ottobre del 1992. Un curriculum di tutto rispetto, insomma, che lo colloca di diritto nell’Olimpo dei “vecchi democristiani”, pur non avendo ancora raggiunto i settant’anni.

Ne aveva soltanto 34 nel 1969 quando, con il più giovane Ciriaco De Mita stipulò a San Ginesio, piccolo paese delle Marche, quel “patto” che avrebbe dovuto rinnovare la Dc e portarli alla testa del partito: la cosiddetta “terza generazione” dopo quella di “Iniziativa Democratica” e di Fanfani che a sua volta aveva sostituito la generazione dei De Gasperi e dei Piccioni. Il “patto di San Ginesio” si realizzò nell’autunno del 1969 quando Forlani divenne segretario del partito e De Mita vicesegretario. I tempi erano drammatici, per le tensioni sociali, i tentativi di riorganizzazione della destra, il manifestarsi di trame eversive. È in questa fase che il neosegretario Forlani elabora il cosidetto “preambolo” con cui si impone al Psi, se vuol far parte del governo di centro sinistra, di interrompere ogni relazione con i comunisti nelle amministrazioni comunali e nelle organizzazioni sindacali.

Ma questo non basta per legittimarsi di fronte alla crescente richiesta di ordine che sembra salire dal paese come risposta al movimento delle università e delle fabbriche. Il successo della destra nelle elezioni del 1971 (quando il Msi conquista a Catania oltre il 20 per cento dei voti) spinge la Dc a farsi interprete della volontà della cosiddetta “maggioranza silenziosa”: la segreteria Forlani brucia quindi la candidatura di Aldo Moro, e fa eleggere alla presidenza della Repubblica Giovanni Leone con il contributo determinante dei missini. E sarà ancora grazie a Forlani che Giulio Andreotti potrà costituire, subito dopo le elezioni del ’72, un governo di centro destra, con Tanassi e Malagodi.

Arnaldo Forlani con Giulio Andreotti

Al Congresso successivo Forlani viene sostituito da Fanfani alla segreteria della Dc (è la rivincita della seconda generazione su quelli di San Ginesio), ma tre anni dopo Forlani ci riprova, questa volta contrapponendosi a Zaccagnini. Il suo sponsor principale questa volta è Andreotti che per sostenerlo ricorderà, in congresso, la vicenda di un lontano conclave del 1585, quando sembrando ormai insuperabili le difficoltà per la elezione del nuovo Papa, “se ne uscì scegliendo un marchigiano. E questo marchigiano che non voleva essere papa ed era anche di poca salute, fece splendidamente il suo lavoro. Si trattava di Sisto V”.

Nonostante la sponsorizzazione di Andreotti, questa volta il marchigiano non ce la fa, e il congresso elegge, a scrutinio segreto, il “buon” Zac, “l’onesto” Zac, simbolo di un possibile rinnovamento. Ma Forlani non rinuncia. Sa aspettare. La pazienza è una delle sue virtù. E un uomo riservato, flemmatico, sempre vestito correttamente di grigio (con il gilet anche d’estate). Si costruisce una fama di indolente, di pigro, di notabile tranquillo, restio a tutti gli incarichi, persino timido, meritandosi molti soprannomi, tra cui quello di Mammoletta e Pisolo.

Da buon Pisolo, Arnaldo Forlani dorme o sonnecchia o è distratto quando, nel marzo del 1981 la magistratura milanese che indagava su Michele Sindona gli trasmette, a Palazzo Chigi, la lista degli iscritti alla Loggia P2 di Licio Gelli. Forlani la chiude in un cassetto e per mesi la dimentica, o fa mostra di dimenticarla. L’ indignazione e le proteste per un silenzio che ha il sapore dell’ indifferenza o della complicità, crescono a tal punto che Forlani sarà costretto a dare le dimissioni da presidente del Consiglio. A sostituirlo sarà chiamato, per la prima volta nella storia della nostra repubblica, un laico, Giovanni Spadolini, mentre la Dc tenta di imboccare ancora una volta, faticosamente la strada del rinnovamento.

Pier Ferdinando Casini e Arnaldo Forlani

Questa volta De Mita gioca in proprio e conquisterà, nel 1983, la segreteria del partito che manterrà fino al 1989 quando sarà sostituito da Forlani che fa grandi progetti per se stesso grazie all’alleanza stabilita con Craxi ed Andreotti (il cosiddetto Caf). Mancano solo tre anni ormai all’ elezione del nuovo presidente della Repubblica, e Forlani pensa che questa volta, dopo Cossiga, spetta a lui. Ma sono tre anni di fuoco e il nuovo segretario della Dc sembra non rendersene del tutto conto. Spera di addomesticare i propri avversari come addomesticava una volta merli e gazze, polemizza con Segni che ha voluto il referendum sulla preferenza unica ma poi, dopo il risultato del 9 giugno lo abbraccia in pubblico. Tenta ancora di mediare, di aggiustare, di conciliare gli opposti, mentre mette i suoi migliori uomini, da Vespa a Pasquarelli, in posti decisivi per il controllo dell’ informazione. E intanto ribadisce pubblicamente l’esistenza di un patto politico “forte e concorde” che prevede un’ alleanza della Dc con Craxi fino al 1997, sulla base di una spartizione attenta di tutto ciò che si possa spartire.

È tanto tranquillo che alla viglia delle elezioni del 5 aprile dichiara: “Noi meritiamo di essere votati per altri cento anni”. Gli elettori non sono evidentemente dello stesso parere.

La Dc scende per la prima volta al di sotto della soglia del 30 per cento. Tutto sta cambiando nella vita dei partiti, nei rapporti tra i partiti, nei rapporti tra cittadini e istituzioni. Sta montando nel paese una protesta della quale Forlani (come molti altri dirigenti di primo piano dei partiti tradizionali) non sembra rendersi conto. Tuttavia, dopo la sconfitta si dimette da segretario, poi accetta di rimanere per qualche tempo, sia pure “congelato”. Il che non impedisce che venga proposta la sua candidatura per il Quirinale, sostenuta anche da Craxi, naturalmente, che spera di ottenere Palazzo Chigi in cambio. Per due volte, nel corso di sabato 16 maggio, Forlani fallisce l’obiettivo: la prima volta gli mancano 39 voti, la seconda 29. Alla fine la mano passerà a Scalfaro. Intanto le vicende di Tangentopoli bruciano ogni possibilità per Craxi di tornare a Palazzo Chigi, e la mano passerà ad Amato. Tutto cambia. Quel rinnovamento della Dc al quale dichiaravano di ispirarsi i giovani riuniti a San Ginesio più di venti anni fa ha imboccato strade imprevedibili. Nell’agosto del 1992, nel corso del Consiglio nazionale che doveva eleggere il nuovo segretario, Arnaldo Forlani rispondeva polemicamente a Martinazzoli ricordando che “il cambiamento per il cambiamento è caratteristica del diavolo”.

La sostituzione del segretario veniva quindi rinviata all’autunno. Ancora una volta dunque Forlani riusciva a prendere tempo, a rinviare. Nel frattempo l’inchiesta Mani pulite arrivava fino ad Ancona, dove veniva arrestato un suo amico, Edoardo Longarini, costruttore ed editore, concessionario unico del piano di ricostruzione della città, sulla cui legittimità da anni erano stati sollevati dubbi e fatte denunce.

Oggi un avviso di garanzia ha raggiunto anche Arnaldo Forlani, detto Mammoletta, detto Pisolo, il più giovane dei “grandi vecchi” della Dc.

L’Aquascutum di Arnaldo Forlani ultima modifica: 2023-07-07T18:15:14+02:00 da YTALI
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