L‘estate delle cinquanta stagioni

Vieri, Inzaghi e Zanetti, in quest'estate 2023, arrivano al traguardo del mezzo secolo e non ci sembra vero che siano passati dal campo al bordocampo o al commento televisivo o alla scrivania. Vorremmo ancora vederli guizzare su e giù come facevano quando appendevamo i loro poster in camera.
ROBERTO BERTONI BERNARDI
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Cinquanta! Età fatidica, tempo di primi bilanci e di guardare avanti, quando la vita ormai è trascorsa per metà ma, per fortuna, rimangono ancora tanti anni da vivere, finalmente maturi e pienamente realizzati. Il problema, stavolta, ce l’abbiamo noi. Noi innamorati del calcio e della bellezza, noi che li abbiamo visti correre sui campi della Serie A e di mezza Europa, noi che ne abbiamo collezionato le figurine, noi che eravamo bambini mezzo secolo fa, quando erano i nostri idoli e compravano le loro magliette, magari facendo ore di fila sotto il sole cocente di luglio per farcele autografare, noi, semplicemente noi che ancora non vogliamo arrenderci allo strapotere dei petrodollari e degli sceicchi oggi abbiamo un buon motivo per piangere. Perché Vieri, Inzaghi e Zanetti, in quest’estate 2023, arrivano al traguardo del mezzo secolo e non ci sembra vero che siano passati dal campo al bordocampo o al commento televisivo o alla scrivania. Noi, infatti, vorremmo ancora vederli guizzare su e giù come facevano quando appendevamo i loro poster in camera.

Javier Zanetti

Vorremmo ancora assistere ai derby in cui si sfidavano per la supremazia italiana ed europea, quando il nostro Paese era una potenza calcistica globale ed erano gli altri a doversi preoccupare durante i sorteggi. Dire Italia, negli anni Novanta e anche nei primi Duemila, significava immaginare coppe levate al cielo, tifosi in estasi, il gotha pallomaro riunito alle nostre latitudini, grandi giornali che davano conto delle loro gesta e una generazione che viveva un’infanzia felice ritagliando articoli e sognando, un giorno, di poterli imitare. Il sogno, ovviamente, è rimasto tale, ma almeno noi lo abbiamo coltivato. Sapevamo che non avremmo mai macinato chilometri come l’argentino in maglia nerazzurra, che era arrivato, nell’estate del ’95, come contorno alla portata principale, tale Rambert, argentino anche lui, di cui oggi si ricordano solo i patiti. E sapevamo anche che non avremmo mai segnato gol a ripetizione come i due bomber che hanno reso grandi Juve, Inter e Milan nonché i colori azzurri, quando anche la Nazionale costituiva un motivo d’orgoglio per noi che la seguivamo con gli occhi incollati al televisore.

Eravamo coscienti, sui nostri campetti di terra o di cemento, raramente d’erba, che quell’utopia sarebbe rimasta tale, eppure, se per fortuna siamo ancora un po’ bambini, è perché non l’abbiamo del tutto accantonata. Rimarrà dentro di noi per sempre, come la speranza di vivere in un mondo migliore, come la convinzione di doversi battere comunque per un’altra idea di società, come la certezza che ne valga comunque la pena, anche quando tutto sembra perduto. Se esiste quest’articolo, è perché ho passato anni e anni ad applaudire quei fenomeni che rendevano felici le nostre domeniche e, spesso, anche i martedì e i mercoledì di coppa.

Christian Vieri e Filippo Inzaghi

C’erano già gli anticipi e i posticipi, il calcio si era già trasformato in un business, si sentiva spesso parlare di doping e la dimensione epica di un tempo si era già conclusa da un pezzo, d’accordo; fatto sta che noi eravamo contenti di ciò che avevamo, che ci sembrava tantissimo, e non avvertivamo alcuna mancanza. Avevamo le loro maglie, li sceglievano alla Play Station, collezionavamo tutto ciò che i giornali scrivevano su di loro e, negli anni pari, quando scattava la magia di Europei e Mondiali, ci lasciavamo cullare dai racconti di padri e nonni sulle notti magiche del passato: dalla “Partita del secolo” agli sfortunati ragazzi di Vicini, passando ovviamente per l’estasi dell'”Armata Brancazot” che trionfò in Spagna e che da allora è considerata un monumento nazionale. Abbiamo avuto la fortuna di vivere anche noi una notte del genere, più o meno di questi tempi, quando a Berlino la banda di Lippi conquistò un Mondiale che era iniziato con gli echi di Calciopoli in sottofondo ed era proseguito con il tentato suicidio del povero Pessotto. In quell’estate del 2006, Zanetti non venne nemmeno convocato dall’Argentina, Vieri dovette arrendersi a causa di un infortunio al ginocchio sinistro mentre Inzaghi è uno dei ventitré eroi che ricorderemo per sempre, perdonandogli persino l’egoismo che lo induceva a voler segnare in ogni circostanza, anche a costo di umiliare un compagno di squadra che attendeva invano il suo passaggio. 

Non sappiamo quando un’altra generazione di adolescenti potrà togliersi una soddisfazione del genere. Noi ormai saremo grandi, adulti, forse quasi vecchi e vivremo quell’emozione, se mai si ripeterà, con lo sguardo disincantato di chi ne avrà già viste tante e avrà già raccontato, fin quasi allo sfinimento, a figli ed eventuali nipoti quella notte in cui a Berlino Zidane diede una testata a Materazzi e Grosso, da Carneade che era prima del Mondiale, si trasformò nell’artefice della vittoria, mettendo a segno l’ultimo rigore e passando direttamente alla storia. 

Vivere un evento così intenso, che coinvolge davvero chiunque, con tutta la vita ancora davanti è un’altra cosa, perché hai davvero l’impressione che dopo tutto sarà più bello, che tutto cambierà, che ogni speranza si realizzerà, che i sogni siano destinati a non morire all’alba e che un momento in realtà unico possa ripetersi se non ogni giorno, comunque abbastanza di frequente. Non è così, ma a quindici-sedici anni è giusto che un ragazzo non lo capisca. 

Cinquanta! Ma perché il tempo, almeno per un giorno, non si ferma?

L‘estate delle cinquanta stagioni ultima modifica: 2023-07-13T14:35:00+02:00 da ROBERTO BERTONI BERNARDI
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