Dalla Russia con dolore. Dissenso passato e recente

La voce della poeta Anna Achmatova simbolo di resistenza non solo culturale, ma politica e umana al regime sovietico, torna oggi più che mai attuale e necessaria.
PAOLA BORINO
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Era nata nel 1889 nei pressi di Odessa, ma considerava Pietroburgo la città-culla con i colori, le voci, gli odori che avevano impregnato la sua infanzia, trascorsa nella città imperiale. Molto giovane, nel 1911, in una Parigi che lei stessa descrive brulicante di vita e fermenti artistici, incontrò Amedeo Modigliani, allora ancora ignoto e molto povero; lei ne apprezzò da subito il tratto, lui la ritrasse più volte; l’unico disegno sopraggiunto è un semplice schizzo, una linea nera su sfondo bianco che delinea il contorno sorprendentemente evocativo di una figura “regale” [immagine di copertina].
Anna lo portò sempre con sé nei suoi numerosi spostamenti.

Trascorrevano insieme molto tempo, legati da un intenso rapporto di amicizia e stima…
fu lui a farmi conoscere la vera Parigi…
sedevamo su una panchina del Giardino del Lussemburgo, a due voci recitavamo Verlaine… felici di ricordare le stesse poesie…
Una volta non fummo chiari nel darci appuntamento e passando da lui non lo trovai a casa…
Tenevo tra le braccia un mazzo di rose rosse, la finestra era aperta… mi misi a
gettare rose nell’atelier…
Quando ci incontrammo, era stupito: come avevo potuto penetrare nella stanza chiusa, se la chiave l’aveva lui?
Gli spiegai…
“Non è possibile: erano sparse per terra così bene!”.
(da Anna Achmatova, “Le rose di Modigliani”, il Saggiatore)

Nel 1913 anche Pietroburgo era in pieno fermento culturale, movimenti di avanguardia artistica animavano le serate del Cane Randagio, la mitica “cantina” dove artisti e letterati si ritrovavano fino all’alba tra musica, letture, mostre e cabaret. Anna Achmatova leggeva le sue poesie e calamitava una attenzione religiosa: la sua voce ipnotizzava, il talento destava ammirazione e devozione, il portamento fiero, l’eleganza eccentrica, il fascino magnetico incantavano, consacrandola Regina incontrastata del leggendario luogo.

Serpeggiava però nel mondo letterario un patriottico entusiasmo per la Guerra imminente.
Il primo agosto del 1914 la Germania dichiarò guerra alla Russia, che avrebbe perso al fronte più uomini di ogni altro paese.
Anna sentì da subito il peso del massacro che si preannunciava.

Invecchiammo di cent’anni / e accadde nel corso di un’ora sola.

I successivi eventi storici stravolsero sempre più la sua vita.
Dopo la rivoluzione di ottobre, il poeta Nikolaj Gumilev, suo primo marito, fu fucilato per dissenso nel 1921. Negli anni Trenra il terrore stalinista strinse in una morsa l’Unione Sovietica: furono arrestate migliaia di persone, accusate di terrorismo senza diritto alla difesa.
La moglie di Stalin, Nadezda, si uccise nel 1932 a soli 31 anni, forse lei per prima inorridita da ciò che succedeva nel Paese.

Anna Achmatova non volle allontanarsi dalla Russia e manifestò la sua opposizione attraverso il silenzio, il diniego a piegare la sua poesia a strumento celebrativo del regime.
La forza di quel silenzio fu tanto eloquente che Anna Achmatova divenne simbolo di resistenza non solo culturale, ma politica e umana, riferimento e sostegno di persone comuni, che si sentivano rappresentate da lei.

Lo stesso dittatore evitò di colpirla direttamente, ma l’accerchiò, colpendone gli affetti più prossimi: il marito Nikolay Punin, che morì in un gulag, il figlio Lev Gumilev, incarcerato più volte e rinchiuso per quattordici anni in gulag a più riprese, liberato infine dopo la morte di Stalin.

…ho passato diciassette mesi in fila davanti alle carceri di Leningrado.
Una volta qualcuno mi riconobbe. Allora una donna dalle labbra livide che stava dietro di me e che, sicuramente, non aveva mai sentito il mio nome, si riscosse dal torpore… e mi domandò in un orecchio (lì tutti parlavamo sussurrando):
Ma questo lei può descriverlo? E io dissi: Posso.
Allora una sorta di sorriso scivolò lungo quello che un tempo era stato il suo volto.

Anna era stata estromessa dalla Corporazione dei poeti per indegnità, era controllata, spiata attraverso microfoni nascosti nella sua casa sulla Fontanka, in cui conviveva con altre persone:

…d’un tratto, indicandomi con gli occhi il soffitto e le pareti, prendeva un pezzetto di carta, una matita, diceva ad alta voce qualcosa di molto frivolo:
“volete del tè?”… scriveva velocemente e mi porgeva il foglietto. Io leggevo i versi e… impressi nella memoria, glieli restituivo in silenzio.
“L’autunno è venuto così presto” diceva Anna ad alta voce, e, acceso un fiammifero, bruciava il foglietto in un posacenere”
(da “Incontri con Anna Achmatova” di Lidia Cukovskaja)

Requiem è un poema clandestino, imparato completamente a memoria da lei e le sue amiche, scritto per le madri che in tragiche, estenuanti ore di attesa davanti alle prigioni di Leningrado, dove era rinchiuso anche Lev, consegnavano pacchi per verificare la sopravvivenza dei figli: un pacco rifiutato era implicita comunicazione di morte.

E se un dì pensassero in questo paese
Di erigermi un monumento
acconsento ad essere celebrata

ma qui, dove stetti trecento ore e dove
non mi apersero i chiavistelli
Perché anche nella beata morte temo

di scordare come l’odiosa porta sbatteva
e – bestia ferita – una vecchia ululava

Collaborò a memorizzare e salvare l’opera del poeta Osip Mandelstam, suo grande amico, morto in un gulag in Siberia, del cui l’arresto era stata testimone.

E nella stanza del poeta prigioniero
Fan la guardia la paura e la musa, a turno,
E cammina la notte
Che non conosce alba.

Anna Achmatova fu riabilitata nel periodo del disgelo post staliniano, negli ultimi anni della sua vita. Aveva detto di credere alle coincidenze: morì il 5 marzo del 1966 e, per coincidenza, nel 1953 Stalin era morto nello stesso giorno dello stesso mese.
Al suo funerale partecipò una immensa folla che nella sua voce, nel suo dolore si era riconosciuta.
Per la dignità e compostezza con cui aveva affrontato le tragiche vicissitudini della vita, l’altra grande poetessa russa, Marina Cvetaeva

la chiamò come una zarina Anna di tutte le Russie
(da “Anna di tutte le Russie” di E. Feinstein, edizioni La tartaruga 2006).

Negli anni Ottanta, su iniziativa del dissidente Andrej Sacharov, è nata Memorial, associazione che ha documentato persecuzioni e crimini del regime sovietico.
L’associazione ha ricevuto il Nobel della Pace nel 2022, ma è attualmente al bando in Russia, a partire proprio dagli albori della guerra in Ucraina.

In un’intervista al manifesto dello scorso novembre, lo storico Sergej Bondarenko, membro di Memorial, fa risalire tale censura all’attualità del passato sovietico:

…nel nostro presente… tornato al clima di repressione e censura del dissenso…
forse peggio: non ci sono solo prigionieri politici, ma omicidi politici e guerre…

Bondarenko è curatore con Giulia De Florio di Proteggi le mie parole, edizioni e/o, una raccolta di dichiarazioni rese in tribunale da persone imputate in processi politici, anche per la protesta in strada con un cartello contro la guerra.
Per paradosso è proprio il luogo che processa il dissenso a offrire la possibilità di denunciare liberamente, pubblicamente, ufficialmente sopraffazioni e violenze subite.
L’ultima dichiarazione degli imputati in tribunale è una parola libera in un paese che, dall’invasione dell’Ucraina, considera nemica ogni voce di dissenso.

E con le ombre del passato sovietico, la voce di Achmatova, poeta del dissenso passato, torna più che mai attuale e necessaria.

Dalla Russia con dolore. Dissenso passato e recente ultima modifica: 2023-07-15T12:19:41+02:00 da PAOLA BORINO
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