La Spagna, il voto, l’epoca

Destre avanti e sinistre in lenta risalita per le elezioni in Spagna, chiave della futura governance europea; un voto nell'epoca in cui la menzogna non è più strumento al servizio di un progetto ma rappresenta il tutto, l'essenza e il fine della politica.
ETTORE SINISCALCHI
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Ultima settimana di campagna elettorale in Spagna. Brucia la penisola sotto le ondate di calore, bruciano i boschi delle isole Canarie, s’infiamma il confronto politico. È una campagna tesa, dura, scomposta. Cruciale per il paese, nuovamente sprofondato nelle “due Idee di Spagna” irriducibilmente contrapposte. Che ci riguarda da vicino, con la partecipazione della nostra presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al fianco dei neofranchisti di Vox. E con protagonisti inattesi, come il ritorno di José Luis Rodríguez Zapatero. È una campagna europea, mondiale anche, che ci dice molto di questi tempi, della cultura politica egemone, quella della menzogna, per una politica che ormai produce solo propaganda — non propaganda al servizio di un progetto ma propaganda pura, esistenziale, liberatoria —. È una campagna da guardare con attenzione perché ci fa capire l’epoca, il momento presente e forse — ahi! — quello futuro.

Intendiamoci, la menzogna è sempre stata parte della politica, e di qualsiasi forma associativa umana. Nel dibattito politico e nella propaganda, che non sarebbero propio la stessa cosa, è strutturale; a volte è auto-menzogna, dare per buoni presupposti erronei, su quelli misurare il reale, pensare le soluzioni. Ma contiene sempre un rischio, la verifica, la brutta figura. Conteneva, ora non più. Qui — in Spagna, nel mondo — ora, sta accadendo altro. È tecnica, è prassi, nella costruzione di senso e di lessico. Non è più solo una risorsa disponibile ma è l’unico obiettivo. È menzogna sistemica e, come nota, grande cercatore delle tracce dell’epoca nelle cose della politica, Guillerm Martinez su CTXT, è una pratica di successo, divertente, disinibita, allegra.

È la destra senza complessi, quella che rivendica il colonialismo come portatore di civiltà, il franchismo come necessario argine al terrore rosso, che evoca il fantasma dell’Eta e usa lo slogan, rivolto a Sánchez, “Que te vote Txapote” —  soprannome di Francisco Javier García Gaztelu, terrorista dell’ala dura dell’Eta, responsabile di decine di omicidi tra cui quello del giovane consigliere popolare di Ermua (Biscaglia), Miguel Ángel Blanco, sequestrato e ucciso nel luglio 1997, suscitando in tutta la Spagna, paese basco compreso, un grande movimento di ripulsa del terrorismo, che diede il via alla sua parabola definitiva —. Il coro, intonato nelle feste taurine, a Pamplona o a Teruel, è liberatorio, irridente, identitario, in sintonia — temo — con l’epoca. 

Ci son stati due confronti televisivi. Uno tra il presidente uscente Pedro Sánchez, deputato e segretario generale del Psoe, e Alberto Núñez Feijóo, senatore e presidente del Pp, sul circuito Atresmedia; l’altro tra i portavoce dei gruppi parlamentari dei sette principali partiti con rappresentazione parlamentare, su Rtve. Il 19, sempre sulla televisione pubblica, si terrà il dibattito conclusivo, che doveva essere tra i quattro principali partiti ma che sarà a tre, visto che Feijóo ha declinato l’invito, sì da non dare a Sánchez una seconda chance, lasciando i riflettori a lui, Santiago Abascal e Yolanda Díaz — da notare, il Pp lascia a Vox la rappresentanza delle opposizioni nell’ultimo dibattito a ridosso del voto, un grosso rischio forse non pienamente valutato.

Nel primo dibattito (qui una sintesi de El País) Feijóo ha vinto, è il parere pressoché unanime. Sánchez ha giocato spesso in difesa, senza riuscire, salvo in poche occasioni, a mettere all’angolo l’avversario. Feijóo ha martellato colpi, tenuto la distanza, si è fatto sotto toccando duramente ai fianchi. Niente KO ma vittoria ai punti. Finita la metafora pugilistica, tutti si aspettavano un Feijóo in difficoltà davanti al mattatore Sánchez e invece il galiziano è riuscito a non fare gaffe e, anzi, incalzare e portare a casa il confronto. Prescindendo totalmente dalla verità, questo sì ma, come abbiamo detto, ormai non conta. 

Come ha vinto Feijóo? Martellando Sánchez con una valanga di dati — mezzi dati, reali, decontestualizzati, falsi — che, semplicemente, confutarli costa più tempo e noia per chi segue che buttarli in faccia all’avversario; ti fa debole, autogiustificatorio, avvalora la sussistenza delle accuse. Una conduzione senza polso da parte dei due giornalisti, Ana Pastor e Vicente Vallés — rispettivamente di La Sexta e Antena 3, due televisioni di Atresmedia, il settore televisivo del colosso editoriale Grupo Planeta —, ha accentuato i limiti di un format che ha consentito questo tipo di confronto. 

Le tecniche son quelle di sempre e quelle nuove, da Goebbels al Gish gallop. C’è da chiedersi, però, cosa lo staff di Sánchez pensava sarebbe accaduto, come ha preparato la sfida. Enric Juliana racconta su La Vanguardia di un Sánchez teso nei minuti previ al dibattito, col suo capo di gabinetto, Óscar López, che sembrava addirittura spaventato, mentre Feijóo rimetteva a posto le sue cartelle di dati con “piglio presidenziale”. La direzione che avrebbe preso l’incontro — le metafore ritornano sempre — era segnata coi pugili ancora nei rispettivi angoli.

Il dibattito tra i portavoce parlamentari di Rtve del 14 luglio; da sinistra: il giornalista Xabier Fortes, Aina Vidal (Sumar), Patxi López (Psoe), Cuca Gamarra (Pp), Espinosa de los Monteros (Vox), Gabriel Rufián (Erc), Aitor Esteban (Pnv) e Oskar Matute (EH-Bildu).

L’altro confronto (qui una sintesi) ha visto un parterre più ampio, un format agile ma non lassista, un dibattito non caotico ma neppure ingessato, condotto in porto con polso sicuro ma gentile da Xabier Fortes, volto di punta dell’approfondimento politico di Rtve. Si sono confrontati Patxi López (Psoe), Cuca Gamarra (Pp), Espinosa de los Monteros (Vox), Aina Vidal (Sumar), Gabriel Rufián (Erc), Aitor Esteban (Pnv) e Oskar Matute (EH-Bildu).

Qui non è che la menzogna non ci sia stata — figuriamoci, come dicevamo fa parte del nostro vivere collettivo, e privato pure — ma è stata e basta. C’era, ma era opinione, era quello che diceva una persona, che, da spettatore, potevi ritenere vero o no, corretto o meno, condivisibile o da respingere. Non era la non-verità, il dibattito politico nella logica del picchiaduro — i videogiochi di arti marziali —: mena senza dargli il tempo di pensare, senza nessun vincolo di responsabilità personale o verso i fatti. Si tratta, però, di un’isola in un panorama informativo che tende alla propaganda, alla semplificazione, come ridurre un confronto elettorale in una democrazia parlamentare al confronto tra due soli leader di partito, favorendo la personalizzazione e la propaganda — e questo è, mi sa, lo spirito giornalistico dell’epoca —.

Ci sono tre protagonisti inaspettati di questa campagna elettorale. La prima, non fosse che per orgoglio nazionale, è Giorgia Meloni. La presidente del Consiglio è intervenuta in streaming a un’iniziativa di Vox — importante, era la “contromanifestazione” con cui Vox metteva il suo timbro al varo della nuova giunta valenziana, che si teneva lo stesso giorno; il Pp valenziano ha sempre coltivato il bilinguismo, la nuova giunta esordisce chiudendo gli abbonamenti alle testate in catalano, anche una storica rivista per bambini, una bomba linguistica che rischia di scoppiare a breve nella stessa maggioranza —. In buon spagnolo, ha tenuto un breve e ispirato discorso, in cui si parlava soprattutto di difesa della tradizione alimentare e di ecologisti genocidi.

È la seconda volta per Meloni con Vox. La prima, di persona, nel giugno 2022 a Marbella, mentre l’Italia era in silenzio elettorale, fu “per sostenere la candidatura dell’amica Macarena Olona alla presidenza all’Andalusia insieme ai patrioti spagnoli guidati da Santiago Abascal”. Allora recitò la versione in castigliano dell’Io sono Giorgia, dettando la lista della sua idea binaria di civiltà e barbarie. “Non ci sono mediazioni possibili. Sì alla famiglia naturale, no alla lobby Lgbt; sì alla identità sessuale, no all’ideologia di genere; sì alla cultura della vita, no a quella della morte”. “Sì ai valori universali cristiani, no alla violenza islamista; sì alle frontiere sicure, no alla immigrazione massiva; sì al lavoro per i nostri cittadini, no alla finanza internazionale”. Concludendo con: “Sì alla sovranità del popolo, no ai burocrati di Bruxelles, sì alla nostra civiltà e no a chi vuole distruggerla”. 

Santiago Abascal e Giorgia Meloni il 13 luglio durante il collegamento in streaming della presidente del Consiglio con la manifestazione di Vox a Valencia; fonte: canale YouTube Vox

Questa volta, Olona non c’è, abbandonata Vox con polemiche, Meloni governa, Bruxelles è interlocutore e Giovanna d’Arco sta in secondo piano. Cita Scruton, parla di “patto tra morti, vivi e non nati che è base del pensiero conservatore” e segnala il nemico: “il fanatismo ecologista che sta portando la sinistra ad attaccare il nostro modello economico e produttivo. Un fondamentalismo ecologico che vede l’uomo come un essere non desiderato della creazione, che va sradicato e eliminato” – dalla sostituzione etnica il progetto mondialista passa al genocidio totale globale planetario, ci dice la versione rassicurante di Meloni —.

La posta in gioco è altra, europea, come nota ancora Enric Juliana su La Vanguardia in un pezzo significativamente intitolato Meloni entra nella storia di Spagna. Perché l’ambiente come nuovo fronte? Rimanda al progetto di Manfred Weber, presidente del Ppe della Csu bavarese, di rompere col Pse e costruire un’alleanza tra Ppe e “Conservatori” dell’Ecr, (come si definiscono le estreme destre nazionaliste europee, gli eurofascismi italiani, polacchi e ungheresi), estrema destra del gruppo Id, con l’appoggio di parte dei liberali di Renew. Sulla Legge sul Ripristino della natura, si è consumato un primo tentativo di costruzione della nuova alleanza, fallito per il voto difforme dall’indicazione del gruppo di una ventina di eurodeputati popolari — lo scontro nel Ppe è tra chi vuole mantenere il cordone sanitario per gli eurofascisti e chi ritiene sia il momento di “istituzionalizzare la bestia”. Sulla norma europea un ottimo approfondimento, anche politico, è stato fatto da Radio3 Scienza. “È molto importante che Vox governi in Spagna”, ha concluso Meloni chiarendo la portata europea del voto spagnolo.

José Luis Rodríguez Zapatero, qui in un intervento come presidente dell’Icd (Institute for cultural diplomacy), è il protagonista assoluto della campagna, al fianco di Pedro Sánchez in difficoltà; fonte Icd

Ma il protagonista inatteso, e assoluto, della campagna è José Luis Rodríguez Zapatero. L’ex segretario, due volte capo del governo, ha capito la gravità del momento, si è messo a disposizione del partito e si è lanciato in aiuto di Sánchez. Andando nei media, i pochi “amici” e i tanti ostili. Prima, contro la propaganda del Pp sull’Eta, rivendicando il ruolo dei suoi governi nella dissoluzione della banda armata, ricordando il boicottaggio a quel percorso messo in atto dal Pp e le concessioni invece fatte dai governi Aznar in cambio della cessazione delle azioni armate.

Zapatero capisce le chiavi della campagna, conosce la militanza, sa parlare ai moderati e alle sinistre. Tre settimane fa ha fatto un pubblico elogio a Irene Montero, ritirando il Premio Arcoìris del ministero di Uguaglianza, “Io non dimentico le cose e non dimentico Irene” — ha detto in appoggio alla ministra di Podemos, polo delle tensioni tra socialisti e viola nel governo, con un chiaro riferimento alla sua messa da parte nella compilazione delle liste di Sumar e alle ostilità del Psoe. In fondo, anche Sánchez è stato, in parte, messo da parte, dai suoi consulenti di campagna.

Il Sánchez smargiasso, guapo, ben accolto negli ambienti internazionali, poliglotta, molto madrileno, è stato silenziato dai consulenti, convinti di rispondere così alla campagna contro il sanchismo. Il risultato, a vedere il confronto televisivo, non è stato buono. Zapatero, di León, conciliante, rispettoso, chiaro nell’esposizione, semplice ma non semplificatorio, mai aggressivo ma senza timore di incrociare le lame con l’intervistatore, come nel programma di Antonio García Ferreras, su La Sexta, quando lo incalza a mostrare, non una smentita di una sciagurata dichiarazione di Feijóo — che gettava un’ombra preventiva sulla regolarità del voto per posta, puro trumpismo a la gallega — ma la dichiarazione originale fatta nel meeting del Pp.

José Luis Rodríguez Zapatero inchioda Feijóo alla gravità di una sua dichiarazione, e il giornalista Antonio García Ferreras al suo dovere professionale

Un Bambi d’acciaio — il cerbiatto disneyano era il soprannome datogli dai suoi detrattori, prima di scoprire che la gentilezza potesse essere contundente quanto e più dell’aggressività — che copre con la sua potenza di fuoco le spalle del segretario. La simpatia leonese a recuperare la spocchia madrilena, la capacità di rivolgersi a tutte le generazioni e classi e l’istinto per la campagna elettorale, al servizio del recupero socialista. Con Sumar e Yolanda Díaz che solo da poco hanno trovato una rotta per parlare al di fuori di sé, Zapatero sta lavorando a rassicurare e motivare gli elettori di tutta la coalizione di governo, dal Psoe a Sumar e Podemos.

Espinosa de los Monteros (Vox) accusa Oscar Matute (EH-Bildu) di essere il “braccio politico” dell’Eta; “Io ho sempre difeso la non violenza”, risponde il politico basco che in questa campagna si consolida come figura emergente della politica spagnola, confermando il lavoro parlamentare; fonte: Rtve

Terzo protagonista inatteso è Oscar Matute, deputato e leader di EH-Bildu, coalizione della sinistra sovranista basca (autodefinizione a prendere le distanze dai nazionalismi muovendosi nel terreno più elastico della sovranità) che raggruppa diverse entità, di una delle quali, Alternatiba, è il portavoce. Bildu è stata protagonista della propaganda delle destre di questa campagna elettorale, e dell’opposizione al governo Sánchez. Per il Pp l’Eta è viva e Bildu è il suo braccio politico. La menzogna sistemica. Nel dibattito su Rtve sia Gamarra che de Los Monteros lo hanno accusato di essere complice dei terroristi, ricordando la morte di Miguel Angel Blanco. Ma Matute non corrisponde alla caricatura che ne fanno. “Dice il rappresentante dell’estrema destra che tutti ci ricordiamo dov’eravamo nei giorni in cui abbiamo appreso della [sua ]morte. È vero, io mi ricordo che stavo a una veglia, la notte dell’assassinio, per chiedere la liberazione di Miguel Ángel Blanco, a Ermua”, ha risposto. Proveniente da Izquierda unida basca e dal sindacalismo comunista, da sempre contro il terrorismo, Matute è stato un protagonista del percorso del nazionalismo basco di sinistra nella lotta contro la violenza terrorista e per la scelta del confronto democratico, sotto la guida di Arnaldo Otegi. Condannato nel 2006, Otegi è vittima della discussa Ley de Partidos, fatta nel 2003 dal governo Aznar per rendere illegale l’organizzazione, definita braccio politico dell’Eta; successivamente la giustizia processò e condannò il gruppo dirigente, tra cui Otegi, per “apologia del terrorismo” e poi “ingiurie al re”, pena questa fatta decadere dal Tribunale europeo dei diritti umani che ha condannato la Spagna a risarcire Otegi per aver leso la sua libertà di espressione. 

EH-Bildu cresce nei voti e nei sondaggi, ottimi i risultati nelle ultime amministrative, giungendo a insediare la posizione del Pnv. La campagna di discredito del Pp per danneggiare Sánchez ha forse sortito l’effetto di rafforzarla ma Bildu, complessivamente, raccoglie i frutti di un percorso importante che, dopo la chiusura dell’ultimo conflitto armato dell’Europa occidentale, il terrorismo separatista basco, ha portato nei binari del confronto democratico il nazionalismo di sinistra basco. Matute piace a molti a sinistra, anche fuori dal paese basco.

L’aria generale è incerta. Il Pp è sempre avanti nei sondaggi, per ora non sembra presentare il conto l’ondata di censure e misoginia dei primi accordi con Vox. Il Psoe recupera lentamente e Sumar pure risale piano nella lotta per il terzo posto con Vox. Feijóo chiama al voto utile, per governare senza l’ipoteca di Vox, derogare il sanchismo. Vox chiama al voto contro il comunismo e per compensare la “mollezza” del Pp. Sánchez e Díaz chiamano a fare argine contro le destre trumpiste, negazioniste della crisi climatica, pronte a smantellare le conquiste sociali degli ultimi anni. Funzionerà il richiamo? Basterà contro queste destre, così simili e così diverse, a Madrid, Andalusia, Catalogna? Andalusia e Catalogna sono altre due chiavi del risultato. Ogni ora è fondamentale nella settimana che separa dal voto. Ne riparleremo dopo il confronto del 19, decisivo, in cui si vedrà se la scelta di Feijóo è stata giusta oppure un errore in grado di rovesciare le tendenze di un voto europeo, ma che tocca agli spagnoli esprimere.

Immagine di copertina: gli istanti prima del dibattito tra Pedro Sánchez Alberto Núñez Feijóo; fonte: Atresmedia

La Spagna, il voto, l’epoca ultima modifica: 2023-07-17T22:44:42+02:00 da ETTORE SINISCALCHI
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