Che tempo che fa alla Fondazione Prada

SANDRA GASTALDO
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Stava appeso, fino a qualche giorno fa, nelle calli e agli imbarcaderi. A guardarlo, immersi nel caldo afoso, si poteva provare un vago refrigerio. Non fosse altro che per la distrazione prodotta dalla contemplazione dei dettagli, dalla meraviglia per l’inconsueto spettacolo offerte dal manifesto che raffigura la tela La laguna ghiacciata alle Fondamente nuove nel 1708. Un dipinto di anonimo diventato emblema della mostra Everybody Talks about the Weather in corso fino al 26 novembre nella sede veneziana della Fondazione Prada, a Ca’ Corner della Regina. 

Usualmente esposto alla Fondazione Querini Stampalia nella sezione che accoglie le celebri “Scene di vita pubblica veneziana” di Gabriel Bella, questo esempio di pittura popolare si ispira a un’incisione di Vincenzo Coronelli inserita nella raccolta di vedute “La Brenta…“ (Venezia, 1709), terza parte della Singolarità di Venezia (opera pensata dall’autore in dieci volumi, solo tre dei quali furono pubblicati).

In un cartiglio collocato in basso, al centro della tela, si trovano alcune informazioni sull’evento raffigurato: “Li 15 ge(nna)ro si giaciò questa parte di laguna a guisa che il popollo vi chaminavan sopra le milgia lontani. Durò questo gi(or)ni dieci”.

Non è quella della Querini Stampalia la sola raffigurazione dello specchio d’acqua lagunare trasformato in una grande pista di pattinaggio. Un’altra godibile rappresentazione, ad esempio, figura nei depositi di Ca’ Rezzonico, museo del Settecento veneziano.

Il manifesto simbolo della mostra Evreybody Talks About The Weather, “La Laguna ghiacciata alle Fondamenta Nuove 1708”.

In questo caso, il cartiglio parla del 1788 e di una gelata cominciata il 28 dicembre e protrattasi fino al 10 gennaio. La tela di Ca’ Rezzonico restituisce immagini di barche imprigionate nella lastra spessa, maschere in passeggiata, facchini curvi sotto i carichi, che avanzano a piedi, provenienti dalla terraferma insieme a un gregge mentre dei saltimbanchi improvvisano una piramide umana in equilibrio incerto sullo scivoloso pavimento di ghiaccio.

Nel saggio Cento Scene di Vita Veneziana, a cura di Giorgio Busetto, pubblicato nel 1995 dalla Fondazione scientifica Querini Stampalia – tornando alla Laguna ghiacciata del 1708 in prestito alla Fondazione Prada – si ricorda, del resto, che di tempo in tempo, circa un paio di volte al secolo, la laguna ghiacciava, diventando interamente percorribile da Venezia alla terraferma, con carri, armenti e approvvigionamenti diversi. Ma – spiega sempre la pubblicazione – nel Settecento le gelate furono ben cinque.

Non è dunque un casuale omaggio a Venezia la scelta del quadro – appartenuto a un membro della famiglia Querini Stampalia, Girolamo, morto nel 1829 – come simbolo della mostra allestita a Ca’ Corner in coincidenza con la Biennale Architettura che s’interroga sul nostro futuro ma con uno sguardo rivolto al passato. Il dipinto della gelata veneziana, che fa anche da copertina al catalogo della Fondazione Prada, è importante e prezioso: non tanto per la qualità pittorica, quanto per il valore storico e documentario.

Venezia – sono parole del curatore della mostra Everybody Talks about the Weather, Dieter Roelstraete – è la città che sta affondando più rapidamente nell’emisfero settentrionale ed è un palcoscenico particolarmente toccante per mettere in scena richieste che la coinvolgono. 

Filmati di trasmissioni televisive dedicate alle previsioni del tempo

Quella di Ca’ Corner – dislocata tra il pian terreno e il primo piano nobile del palazzo, tra gli affreschi settecenteschi che ricostruiscono la vita di Caterina Cornaro, la veneziana regina di Cipro – è una mostra insolita. Si colloca in un tracciato multidisciplinare, che coniuga arti visive, scienza, filosofia e numerose altre aree di studio, avviato lo scorso anno a Venezia con Human Brains, esposizione dedicata al cervello, alla complessità delle sue funzioni e alla sua centralità nella storia dell’uomo.

Per trattare la crisi climatica, oggi, la Fondazione Prada mette a confronto semantica, arti visive, storia, ricerca scientifica, senza cercare di dettare soluzioni ma ampliando i piani di comprensione. Il progetto parte da una sorta di equazione empirica tra meteorologia e climatologia utilizzando insieme gli strumenti dell’arte e della scienza. La densità di EverybodyTalks about the Weather è data dal corredo di materiali documentari. Si va dai video scientifici (la pellicola di Al Gore, documentari della Nasa, un film dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti con Carlo Barbante dedicato all’importanza delle aree polari nella regolazione del clima, lavori di David Attenborough e di Telmo Pievani), a una raccolta di programmi televisivi di previsioni meteo da tutto il mondo, dagli articoli ai report ambientali, dalle documentazioni sugli eventi estremi e sulla paleoclimatologia fino agli oltre cinquecento titoli visionabili che costituiscono una sostanziosa bibliografia sul tema del clima.

Pubblicazioni sui cambiamenti climatici esposti all’interno di Ca’ Corner

Se spiazzante, ma coinvolgente, è il progetto espositivo, il titolo non lo è di meno. Deriva da uno slogan apparso nel 1968 su una vistosa locandina rossa creata dall’Unione studentesca socialista tedesca. L’affiche, diffusa nelle città universitarie della Germania occidentale, raffigurava il triumvirato rivoluzionario composto da Marx, Engels e Lenin e dichiarava con tono di sfida “Alle reden vom Wetter. Wir nicht“ (Tutti parlano del tempo. Noi no) .

Il messaggio – come spiega nel catalogo il curatore della mostra – era chiaro: mentre gli altri partiti si perdono in chiacchiere sul tempo, i socialisti affrontano questioni davvero importanti. A cinquant’anni di distanza – scrive Roelstraete – è difficile immaginare uno slogan politicamente più suicida di questo, che afferma con tanta baldanza ‘Noi no’.

A sottolineare quanto suoni stonato il proclama del 1968, nel 2019 l’artista tedesca Anne-Christine Klarmann concepisce una nuova versione del poster – che ritrae Judith Ellens (fondatrice di Eaternity, l’organizzazione svizzera che si occupa di clima e alimentazione), Carola Rackete e Greta Thunberg – e modifica lo slogan originale in “Tutti parlano del tempo. Anche noi”. 

Il tempo atmosferico è passato, in pochi decenni, da argomento adatto alle conversazioni educatamente formali tra estranei a tema bruciante della nostra quotidianità, del futuro del pianeta. Per raccontare questa trasformazione la mostra si muove, concettualmente, attraverso contributi diversi: dalle riflessioni dell’antropologo Amitav Ghosh (La grande cecità, 2016) agli scritti polemici di Antonio Gramsci (Piove, governo ladro! s’intitola una raccolta di apologhi apparsi sull’edizione torinese dell’Avanti! tra 1916 e 1918), ad esempio.

Il portego di Ca’ Corner accoglie Untitled (2023) di Vivian Suter, tele esposte molto vicine tra loro, in modo da ricordare file di biancheria che oscillano al vento

Ricreando un tangibile reticolo di connessioni, l’esposizione sviluppa nuclei tematici legati agli agenti atmosferici (vento, neve, pioggia) e problemi come la desertificazione, le migrazioni, l’inquinamento, l’innalzamento del livello del mare e li accosta visivamente a opere d’arte del passato – originali o in forma di copie espositive – e della contemporaneità, talvolta espressamente commissionate. Si aprono così percorsi che si snodano tra pannelli con informazioni di carattere artistico e storico e infografiche (sviluppate con il NICHE, The New Institute-Center for Environment Humanities dell’Università di Ca’ Foscari di Venezia) che approfondiscono il contesto sociale e climatologico direttamente o indirettamente associato alle opere.

Si fa strada così una nuova visione dell’arte e della storia. La fosca atmosfera dello stile spagnolo in auge in pittura tra Cinquecento e Seicento – ne è un esempio, in mostra, il “Ritratto di Dama” di Carlo Francesco Nuvolone (1640) – non sarebbe da attribuire solo a istanze morali, ma anche alla necessità di scaldare i corpi, sotto pesanti abiti che non indulgevano a scollature, e proteggerli dalle temperature rigide. Erano, quei due secoli, tra i più freddi della piccola era glaciale (tra il XIV e XIX secolo, ma il cui apice si ebbe nell’emisfero settentrionale tra Cinquecento e Settecento). E subito il pensiero va al Settecento e alle ripetute gelate della laguna, ma la linea del tempo si riavvolge un poco e appare immediatamente chiara l’abbondanza di paesaggi fiamminghi innevati e così l’occhio considera in modo nuovo i “Cacciatori nella neve” di Pieter Brueghel (1565) o il “Paesaggio con pattinatori” (1608 circa) di Hendrick Avercamp, pittore olandese del secolo d’oro e maestro indiscusso delle vedute invernali. 

Alle alluvioni rimanda “L’inverno” di Nicolas Poussin (parte del ciclo dedicato alle stagioni dipinto tra il 1660 e 1664) che allude agli allagamenti biblici, ma somiglia molto alla descrizione visiva riportata da un perfetto cronista.

Particolare del dipinto – nelle raccolte della Querini Stampalia – scelto come emblema della Mostra della Fondazione Prada

Con un salto d’epoca, non è possibile non interrogarsi, dopo essersi soffermati sulle tabelle climatiche, sullo Studio di Nuvole (1822) di John Constable (uno dei circa cento lavori che il pittore romantico dedicò alle dense formazioni nei cieli sopra la sua casa inglese ) e sugli sfumati di William Turner – in mostra c’è una copia espositiva di “Pioggia, vapore e velocità” del 1884 – che è immagine dell’inquinamento atmosferico prodotto dalla rivoluzione industriale e dal suo massiccio ricorso ai combustibili fossili. 

La mostra è visitabile gratuitamente dai giovani fino ai 18 anni e il mercoledì è offerto l’ingresso gratuito ai residenti nel comune di Venezia di età superiore ai 65 anni.

Che tempo che fa alla Fondazione Prada ultima modifica: 2023-07-18T10:15:21+02:00 da SANDRA GASTALDO
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