Cronache di uno sport giovane

Battendo sul Centrale di Wimbledon il leggendario Nole Đoković, Carlitos Alcaraz ha raccolto l’eredità del connazionale Rafa Nadal e aperto una nuova era del tennis.
ROBERTO BERTONI BERNARDI
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Battendo sul Centrale di Wimbledon [visto dall’alto nell’immagine di copertina] Nole Đoković, leggenda serba del tennis, campione antipatico come pochi ma le cui qualità sono indiscutibili, Carlitos Alcaraz ha raccolto l’eredità del connazionale Rafa Nadal e aperto una nuova era di questo sport. C’è stato il ventennio di Federer, Nadal, Đoković e Murray, gli unici quattro ad aver trionfato nel tempio della racchetta negli ultimi due decenni, e ora ci attende almeno un decennio, se non di più, caratterizzato dalla sfida fra il fenomeno di Murcia, ormai entrato a pieno titolo fra i grandi, e il nostro Jannik Sinner, sconfitto in semifinale proprio da Đoković. 

Vent’anni e un’avventura tutta da vivere, vent’anni e una sfrontatezza senza pari, vent’anni di passione, grinta e irriverenza, vent’anni di entusiasmo, di furia agonistica e di bellezza stilistica: questa è la cifra esistenziale e atletica di Alcaraz, astro nascente su cui è ora inopportuno concentrare troppe attenzioni, mettendogli addosso una pressione che potrebbe nuocergli, ma del quale non si possono non ammirare la maturità e la capacità di gestirsi al meglio anche nelle situazioni più complicate. 



Sapeva di poter vincere e ha vinto. Sapeva di dover affrontare un rivale ugualmente forte ma assai più esperto e non si è lasciato intimidire. Sapeva che con Nole non ci si può distrarre un secondo e non ha mai smarrito la concentrazione. È arrivato al tie break e ha vinto con merito, approfittando delle poche debolezze dell’avversario e infliggendogli una lezione umana e sportiva che resterà nella storia. 

Nole dice addio al Grande Slam, anche se fra un mese agli U.S. Open è molto probabile che sarà nuovamente protagonista, magari duellando ancora con Alcaraz e provando a rallentarne l’ascesa al trono, anche se ormai le gerarchie sono state ribaltate e fra il vecchio leone e il giovane rampante pure il pubblico ha scelto da che parte schierarsi. 

Ciò che stupisce di Carlitos, oltre a una freddezza che non si trasforma mai in cinismo, è il suo sapersi adattare a ogni contesto, trovandosi a meraviglia sia sulla terra rossa, terreno d’elezione per la maggior parte dei tennisti spagnoli, che sull’erba di Wimbledon che sul cemento. Al momento, questo ragazzo non sembra avere punti deboli, essendo oltretutto cosciente di avere ancora molta strada da compiere e non essendo incline all’arroganza o a montarsi la testa. A Londra si è consacrata una stella e ci auguriamo che possa brillare, in tutta la sua luminosità, per almeno un quindicennio. 

Sempre domenica, poi, si è disputata a Malta la finale degli Europei Under 19 fra Italia e Portogallo. I lusitani partivano favoriti, forti del 5 a 1 che ci avevano inflitto durante il girone di qualificazione, ma stavolta l’Italia di Bellini non si è scomposta né lasciata tramortire dal talento dei portoghesi, giocando al meglio delle proprie possibilità e riuscendo nell’impresa di salire nuovamente sul tetto d’Europa, vent’anni dopo la generazione dei Chiellini, degli Aquilani e dei Palladino. E se quella era ancora un’Italia “pura”, composta da tutti ragazzi bianchi e italiani da sette generazioni, questa è una meravigliosa Nazionale multietnica, in cui il gol di Kayode, di origini nigeriane, è nato grazie a un assist di Hasa, di origini albanesi. È un’Italia figlia delle nuove generazioni, dunque: multiculturale, nera, con le treccine, molto più europea rispetto al passato e per questo ancora più apprezzabile. Costituisce, infatti, la sconfitta di ogni razzismo, di ogni pregiudizio, di ogni frase fatta e di ogni luogo comune sull’immigrazione e sull’integrazione, di cui sempre di più comprendiamo non solo l’importanza ma diremmo quasi l’imprescindibilità.



Per una volta che possiamo raccontare i successi di uno sport giovane, pulito, desideroso di abbattere ogni barriera e di contrastare ogni forma di discriminazione, godiamoci questa gioia e facciamone il nostro manifesto giornalistico, culturale e politico, senza strumentalizzare chicchessia. Ha vinto quella parte del mondo che non si è ancora arresa alla barbarie, quell’idea di società che troppe volte non abbiamo saputo esprimere, il coraggio e l’intraprendenza di ragazzi che vivono queste conquiste con naturalezza e la saggezza di chi li ha messi nelle condizioni di essere fino in fondo se stessi. Ecco, la naturalezza è il vero segreto di questi successi. Loro,  infatti, nella stagione globale, senza confini né chiusure identitarie ci sono nati e ci vivono con gioia. Ora qualcuno vorrebbe riportare indietro le lancette della storia, erigere nuovi muri e tracciare frontiere che non hanno più alcun senso, se mai ne hanno avuto storicamente. Domenica scorsa abbiamo capito che, al netto di qualsivoglia esito elettorale, nel profondo della società, per fortuna, questo tentativo retrogrado e reazionario è destinato a fallire. 

Cronache di uno sport giovane ultima modifica: 2023-07-18T08:54:00+02:00 da ROBERTO BERTONI BERNARDI
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